sabato 30 ottobre 2010

Neoborbonici all'assalto


L'ultima dichiarazione dell'enigmatico Raffaele Lombardo, presidente della regione Sicilia, che ha sostenuto di non intendere festeggiare i 150 anni dell'unità d'Italia, può a prima vista sembrare un po' strana: ma come, non erano i leghisti a sostenere che il nord starebbe meglio da solo?
In realtà, negli ultimi tempi sta ottenendo sempre più consensi e visibilità la posizione dei "neoborbonici", che sostengono che l'Italia meridionale stesse molto meglio sotto i Borboni, e che in seguito è stata invasa e spogliata delle sue ricchezze dall'esercito sabaudo. In pratica, più che una liberazione, l'unità d'Italia sarebbe stata un'annessione, un'invasione. La posizione espressa da Raffaele Lombardo va in questa direzione: "Prima dell’unità d’Italia le cose erano invertite. Il regno delle Due Sicilie, questo pezzo del Paese, era più avanzato per industrializzazione e qualità della vita. L’unità non ci ha fatto bene, non abbiamo nulla da festeggiare".
Ora, ciascuno è libero di avere le idee che vuole, e se uno sogna di vivere sotto i Borboni, è liberissimo, ma chi sostiene che prima dell'unità d'Italia il Sud fosse più progredito del Nord, dice un falso storico, punto e basta. Del resto, basta vedere i dati sull'analfabetismo, rilevati dal primo censimento del 1861: il dato medio italiano era del 78%, e le regioni con il tasso più alto erano al Sud: la Sardegna con il 91%, la Basilicata con il 90%, la Sicilia con l'89%, la Calabria con l'88%, mentre il minimo era al nord-ovest, in Piemonte col 57% e in Lombardia col 53%. Già questo dato da solo basterebbe a smascherare la bufala di un Sud borbonico avanzato (si è mai visto un paese analfabeta e progredito?). Il dato del Veneto (dove l'analfabetismo era al 78%), superiore al Nord-ovest, Veneto che infatti è stata per molto tempo una regione povera e di emigrazione, mostra, se mai ce ne fosse bisogno, il legame tra povertà e analfabetismo. E' vero che nelle campagne la situazione era simile un po' ovunque, e infatti prima dell'industrializzazione, che in Italia è avvenuta in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, le campagne sono sempre state povere e arretrate. Ma almeno al Nord (o in certe aree del Nord) c'era un nucleo industriale, borghese e cittadino, quasi del tutto assente al Sud... Il dato migliore al Sud era della Campania (85%), dovuto chiaramente al nucleo storico di cultura rappresentato dalla città di Napoli.
La connessione tra analfabetismo e povertà è indicata anche dal confronto con gli altri Paesi: nel 1861 l'analfabetismo in Germania e Svizzera era solo del 20%, in Francia del 47% e in Gran Bretagna del 31%, e il reddito pro-capite era ad esempio in Gran Bretagna e in Francia di 6-7 volte quello italiano. Un altro dato che può indicare il livello di sviluppo degli stati italiani prima della riunificazione può essere quello dello sviluppo delle ferrovie. E' vero che la prima ferrovia italiana è stata la Napoli-Portici (1839, appena 7 km), che infatti viene magnificata dai neo-borbonici come esempio del superiore sviluppo del Sud dell'epoca... peccato però che al momento dell'unità, in tutto il Sud le ferrovie si estendessero per soli 100 km, contro gli 850 del Regno di Sardegna e i 524 del Lombardo-Veneto (Stati tra l'altro anche meno estesi)...
E' vero che l'unificazione avvenne anche secondo logiche repressive che sono state per troppo tempo sottaciute, ma da qui a ribaltare la realtà e dipingere un Meridione borbonico come un Eden ce ne corre... del resto, se la speranza di vita in Italia nel 1861 era di soli 33 anni, è evidente che in generale il Paese versava in gravi condizioni di arretratezza, rispetto ad esempio ai Paesi del Nord Europa, dove già superava i 40 anni.
La verità è che da allora l'Italia bene o male ha fatto molti passi avanti, e li ha fatti proprio perché è stata unita. La tesi neoborbonica secondo cui l'Italia del Sud ha subito uno sfruttamento da parte dello stato centrale, viene fatta propria dalla attuale classe dirigente del Sud come estremo tentativo di ricevere da Roma sovvenzioni a fondo perduto, che adesso non varrebbero più come contributo per lo sviluppo, ma come "risarcimento" per i maltrattamenti e il maltolto. Il Sud come la Libia, insomma. La fantasia non ha limiti...

domenica 24 ottobre 2010

Roma, la città impossibile


"Roma assorbe perfidamente tutto, in un inferno senza fine, ingannando con gli avanzi del suo essere Mito e Storia e con il suo sole quasi perenne. Ma è sporca, disordinata, per niente economica e il lavoro è un gioco al massacro." Ho trovato questo pezzo in un blog, "vivoaltrove.it", che racconta le storie degli italiani che sono andati a vivere all'estero. Ho dovuto copiarlo e incollarlo perché descrive perfettamente le mie sensazioni sulla capitale d'Italia. Ovviamente, la capitale è lo specchio del Paese (non che, per altri o per gli stessi motivi, si viva meglio a Milano o a Napoli). Ma, ad esempio rispetto a Milano, Roma presenta un maggiore tasso di incivilità e maleducazione (per non parlare dell'omofobia che non consente a coppie dello stesso sesso di muoversi liberamente in città senza rischiare di essere aggredite, a differenza di altre capitali europee), e una fetta più grande della sua economia si svolge in nero. La cultura delle regole è molto meno presente che al nord, e se a questo si aggiungono caratteristiche specifiche della città, come il traffico impossibile, anche per via delle manifestazioni che molto spesso si snodano tra le vie centrali della città, ne risulta una qualità della vita per nulla invidiabile, a dispetto dei tanti plus che Roma vanta rispetto alle città del nord.
Ma il problema principale, e il motivo per cui vivere a Roma è sempre più duro, è la speculazione edilizia. La superficie su cui si estende la città, all'interno del Raccordo Anulare, è enorme, e potrebbe contenere tranquillamente una metropoli con il doppio o il triplo degli abitanti; ma, invece di limitare le nuove costruzioni all'interno dell'area del comune, in modo da poter razionalizzare i servizi e la viabilità, si continua a costruire ovunque, tanto che si sta realizzando quell'assurdo progetto che si immaginò nel dopoguerra ma che poi non venne realizzato: collegare Roma al mare.
Il risultato è che una città di tre milioni di persone si trova a vivere in un'area grande come Londra. Il numero di automobili negli ultimi vent'anni è aumentato notevolmente, anche se non è aumentata la popolazione residente. Del resto il prezzo impossibile delle case spinge gli abitanti verso le periferie sempre più estreme, in modo che la mobilità diventa sempre maggiore; per recarsi nel luogo di lavoro non è raro che ci si impieghi più di un'ora (a volte anche due solo andata).
Roma è oggi una città soffocata dal traffico, in una maniera che si riscontra solo nelle metropoli dei Paesi in via di sviluppo (che magari hanno venti, e non tre, milioni di abitanti...). Per le cause della speculazione edilizia, chiedere ai sindaci che si sono succeduti negli ultimi vent'anni, a cominciare dal buon Veltroni...
Ultimamente, a causa del netto peggioramento dello stile di vita che ha fatto dimenticare per sempre gli anni della "dolce vita", si sta realizzando un fenomeno inedito: una certa quantità di persone, ancora minoritaria e di avanguardia, se ne ha la possibilità, fugge verso posti più tranquilli, che possono essere città di medie dimensioni dell'Italia del nord, o città estere.
A dispetto del clima e della bellezza della città, che la rendono ancora impareggiabile per un turista, Roma sta scadendo ad un livello che non merita, o che forse merita, visto lo scadimento della qualità della vita e dei servizi di quello che un tempo era considerato il Belpaese.

mercoledì 20 ottobre 2010

Il fallimento della RAI e la politica italiana

La notizia che la RAI è in un sostanziale stato di bancarotta (con un deficit che viaggia verso i 600 milioni di Euro) non è un fulmine a ciel sereno. E' chiaro che un carrozzone pubblico e gestito con logiche clientelari, dal momento in cui deve confrontarsi con un mercato, sia pur limitato a pochi concorrenti (Mediaset, La7, Sky), finirà per soccombere. Soprattutto quando al governo (e dunque a capo della Rai) c'è il proprietario del principale concorrente. In realtà non ci sarebbe neanche bisogno della concorrenza: in Italia tutte le industrie pubbliche (tipo Alitalia e la Tirrenia, per esempio) sono da sempre andate regolarmente in deficit, tanto poi pagava lo Stato (o meglio, i contribuenti).
Il fallimento della Rai è lo specchio della gestione dissennata (o meglio, assennata secondo le logiche predatorie dei partiti italiani) degli enti pubblici nel nostro Paese. I partiti nel dopoguerra si sono infiltrati in tutti i settori pubblici e li hanno gestiti (o meglio depredati) in base ai propri interessi (e a quelli delle rispettive clientele) e non in base all'interesse pubblico.
Poiché si era in una fase di espansione economica (e di debito pubblico gonfiato ad arte per nascondere le inefficienze), gli sprechi e le ruberie non si notavano, o non facevano notizia.
Ora che invece il debito pubblico è arrivato al 120% del Pil (come alla vigilia della crisi del 1992 e di Tangentopoli), ecco che i nodi vengono al pettine, e la politica italiana viene sorpresa con le mani nella marmellata, quando però i vasetti di marmellata stanno finendo e dunque ciò che un tempo era tollerato emerge come uno scandalo.
Questa volta però la classe politica (o meglio, Berlusconi) ha capito la lezione del periodo '92-'94, e dunque sa che per evitare una nuova Tangentopoli è necessario mettere il bavaglio all'informazione, e sopratutto impedire le indagini. Da ciò le diverse proposte di legge che Berlusconi e i suoi stanno preparando, tra cui il "processo breve" (per consentire a chi dispone di buoni avvocati di tirarla per le lunghe e non farsi giudicare), la legge sulle intercettazioni (per impedire a chi indaga di scoprire gli atti di corruzione) e altre amenità come il lodo Alfano (così almeno Lui si salva). L'unica speranza è che i finiani siano conseguenti e non accettino di votare altre leggi sfascia-giustizia.
Intanto la sinistra come al solito dorme, e si fa scavalcare da Fini, oltre che sul tema della legalità, sulla proposta di privatizzare la Rai. Immagino sia un grosso colpo per il Pd abbandonare la Rai, o meglio RaiTre, praticamente l'ultimo avamposto che gli resta. Potrebbe sembrare incredibile, ma a sinistra molti pensano che vada tutto bene così, finché ci sarà il controllo di RaiTre.
Certamente, prima di privatizzare la Rai, si dovrebbe fare una legge sul conflitto di interessi, altrimenti la Rai se la comprerebbe uno come Berlusconi, magari utilizzando amici, parenti e prestanomi.

martedì 19 ottobre 2010

A quando il nuovo crollo?

Mentre le Borse continuano a salire e gli stipendi dei manager sono più alti che mai, in America vengono pignorate ogni mese 100.000 case. Questo accade ormai da due anni, cioè anche quest'anno si prosegue al ritmo di circa 1 milione 200.000 case pignorate all'anno. Per quanto tempo il sistema potrà reggere prima di un altro crollo?
E' evidente che l'indebitamento dei "consumatori" americani è ancora a livelli insostenibili rispetto alla capacità produttiva del Paese, e infatti ciò è confermato dal persistere del debito estero americano: gli Americani (quelli a cui non è stata tolta la casa...) vivono ancora al di sopra delle proprie possibilità, e per far questo "devono" acquistare prodotti all'estero. Solo perché pagano in dollari, gli altri Paesi continuano ad accettare di vender loro i propri prodotti (se il dollaro non fosse la moneta di riserva mondiale, il pagamento in dollari non verrebbe accettato dagli altri Paesi, in quanto proveniente da un Paese iperindebitato e dunque a rischio insolvenza). Le banche centrali dei Paesi esportatori (Cina, Giappone, Germania) sono dunque piene di dollari... e cosa ci fanno? con questi dollari esse accettano persino di comprare i titoli del debito pubblico americano, che nel frattempo sta schizzando alle stelle. Insomma, l'America si è indebitata e si indebita a livello privato (così il PIL si gonfia e i governi sono contenti), poi quando ci sono le crisi interviene il governo che salva banche e imprese, in modo che una parte del debito si trasferisce dal settore privato al settore pubblico. A quel punto lo stato americano così indebitato deve emettere grandi quantità di titoli di debito, e questi vengono comprati dai Paesi che hanno venduto merci ai "consumatori" americani.
Si tratta di una partita di giro, di un gioco che non può durare a lungo.
Questo gioco è stato innescato dall'immissione di liquidità nel sistema da parte della banca centrale americana, per "risolvere" la crisi della new economy del 2000. Sarebbe come se per curare un drogato lo si fosse imbottito di droga. Lì per lì può funzionare, ma prima o poi si paga il conto.
E il conto l'America (e con essa tutto l'Occidente) lo sta pagando caro. Cosa accadrà nei prossimi anni non si sa: ci potrebbe essere un nuovo crollo, oppure una lunga inflazione che di fatto impoverirà la popolazione in maniera "soft" (cioè pesante, ma graduale e mascherata). Quello che è certo è che l'America è destinata ad impoverirsi. E noi con lei.
In tutto questo Obama non ha molte colpe (si è trovato a dover fronteggiare una crisi spaventosa, con il possibile crollo del sistema), ma verrà presumibilmente punito dagli elettori alle elezioni di mid-term di novembre. I Repubblicani, che hanno creato con gli otto anni di presidenza di Bush i presupposti per la crisi (o quantomeno li hanno accentuati), adesso protestano su tutto e andranno all'incasso a novembre.
Mentre l'America litiga e si ipoteca il futuro, la Cina continua la rincorsa e ormai è proiettata come prima potenza mondiale del 21° secolo.

lunedì 11 ottobre 2010

Repubblica nasconde le differenze Nord-Sud

In un recente articolo, Repubblica presenta i risultati di un'inchiesta sui casi di infezione che colpiscono i degenti negli ospedali. E' vero che vengono forniti i dati corretti, ma questi non vengono commentati, e tutto l'articolo è impostato in modo da far credere che in fondo non vi siano differenze tra Nord e Sud. Le storie che vengono raccontate sono, in ordine: un caso in Puglia, uno in Sicilia e Calabria (un paziente morto dopo essere stato ricoverato in due ospedali delle due regioni), e uno in Emilia-Romagna. Poi c'è un paragrafo intero dedicato ai 26 morti dell'Aurelia Hospital (ospedale privato romano). Il paragrafo successivo si intitola "Niente controlli da nord a sud". Dove però si dice subito: "Le infezioni colpiscono tutti gli ospedali senza risparmiare neppure i punti di eccellenza con una media nazionale dell'8,7 per cento (contro 7,7 della media europea), e oscillazioni che variano dal 5% al Nord al 17% al Sud. Va detto che nel Mondo i tassi di infezione più elevati si registrano nei Paesi del Medio Oriente (11,8%), e nel Sud Est Asiatico (10%), con un tasso lievemente inferiore negli ospedali della Costa Occidentale del Pacifico".
Ora, può darsi che l'articolista non abbia molta confidenza con i numeri, e non si renda conto che il 17% del Sud corrisponde a più del triplo del 5% del Nord, ed è quindi segno di una differenza enorme. Ma stupisce che l'articolista non faccia neanche il confronto con la media europea (il Nord è sotto la media europea, il Sud molto sopra), e non commenti neanche il dato incredibile che vede il Sud Italia fare peggio del Medio Oriente! In altre parole, è più facile infettarsi in un ospedale siciliano che in uno marocchino, per dire, ma questo naturalmente l'articolista non lo nota. I dati ci sono, ma l'articolo "stranamente" li lascia passare così, senza commento.
Seguono racconti di un'epidemia di legionellosi in Piemonte, di pazienti morti a Modena, a Roma, Napoli, Palermo, Vibo Valentia. Se chi legge non si sofferma a notare questo "particolare" può pensare che la situazione sia simile in tutta Italia, anche perché vengono citati molti casi del Nord, che però rientrano in un basso 5% e non nello spaventoso 17% del Sud.
Insomma, l'articolo sostiene che non si fanno i controlli "da nord a sud" senza però fornire i dati sui controlli, mentre laddove i dati vengono forniti, e sono eloquenti, ci si guarda bene da giungere a conclusioni che chiunque sappia leggere le statistiche (e che forse i redattori di Repubblica sperano essere in pochi...) sa trarre.

Purtroppo non è la prima volta che la Repubblica mostra di fare disinformazione sulle differenze regionali tra il Nord e il Sud del nostro Paese, per cui ci vuole una grossa dose di ingenuità per pensare si tratti di un semplice caso o di una svista. Ad esempio, in un articolo uscito qualche tempo fa, dal titolo "Io, evasore totale", l'articolista commentava: "Checché se ne pensi gli evasori totali stanno più al nord e al centro che nel mezzogiorno". Peccato che chiunque conosca un minimo l'argomento, sa che l'evasione è molto più diffusa al Sud che al Nord. Del resto la "prova" portata a supporto della tesi, fa acqua da tutte le parti: "Dei 3.200 scoperti da gennaio a maggio, il 35 per cento era nel settentrione, il 36 per cento al centro e il 29 per cento al sud". Peccato che al Nord la popolazione sia superiore (per fare un confronto si dovrebbe ovviamente "pesare" il dato sulla popolazione), ma a questo va aggiunto che al Nord anche i controlli sono superiori.

Repubblica in effetti tende a voler dare una visione dell'Italia come piuttosto omogenea. Quando esagera fa disinformazione, e bisogna stare attenti a leggere bene, perché se si legge superficialmente si casca nel tranello. Non siamo ai livelli di Libero e del Giornale, per dire, che non solo aggiustano, ma inventano di sana pianta le notizie. Ma l'impostazione di Repubblica non giova certo alla comprensione della realtà. Dopo però non si lamentino, i lettori e i politici di area centro-sinistra, se al Nord avanza la Lega, e se il Pd (il partito a cui Repubblica fa riferimento) delle tematiche nord-sud dà mostra di capire ben poco.

venerdì 1 ottobre 2010

Il Paese del capitalismo straccione

Lo sfruttamento dei lavoratori sta tornando in auge in Italia, come strumento principale utilizzato dai "datori di lavoro" per fare profitti. Il fenomeno è più diffuso al centro-sud (da Roma in giù) che al nord, ma si presenta in tutto il Paese. Alla base del fenomeno c'è la scarsa produttività del sistema, che per recuperare competitività deve (o vuole) scaricare i costi (umani oltre che economici) sui lavoratori. Infatti l'Italia ha i salari più bassi d'Europa, e il livello dei salari è legato in ultima analisi alla produttività del lavoro. Un Paese che ha poche imprese che fanno ricerca scientifica, che produce beni a scarso valore aggiunto, e dove la tassazione è molto elevata, non può certo produrre salari elevati.
La politica ha assecondato questa tendenza, introducendo una flessibilità del lavoro troppo elevata (dapprima col pacchetto Treu del '97 e poi con la legge Biagi del secondo governo Berlusconi), anche a compensazione della troppo rigida legislazione tradizionale sul lavoro. Il risultato è stata la nascita del precariato, un fenomeno unico in Europa, vale a dire flessibilità senza diritti e senza ammortizzatori sociali. La precarietà tra l'altro alla lunga non giova neanche alle imprese, perché non le spinge a ristrutturarsi e a migliorare la loro produttività. Il risultato è che si scaricano sui lavoratori le inefficienze del sistema, accentuando le disuguaglianze sociali. La crisi economica sta peggiorando ulteriormente la situazione, perché dal momento che già avere un lavoro è un privilegio, le aziende si sentono libere di sfruttare i lavoratori quanto vogliono. Meglio lavorare troppo e mal pagati che non lavorare per niente. Intanto, mentre il governo tira a campare per consentire al suo capo di non andare in galera, l'opposizione litiga sul papa straniero e amenità consimili.