martedì 28 giugno 2011

Tremonti sì o no?


Sono mesi ormai che il ministro Tremonti è oggetto di critiche più o meno velate da parte di altri esponenti della maggioranza (parlamentare, dato che nel Paese ormai sembra essere minoranza). A volte gli stessi giornali di destra lo hanno "avvertito" con titoli che insinuavano che stesse tramando con la Lega ecc. La critica principale riguarda il fatto che Tremonti avrebbe chiuso i "cordoni della borsa", impedendo di fatto una crescita economica.
Chi ha ragione?
A mio avviso, bisogna in primo luogo ricordare che, se è vero che l'Italia ha subito la crisi meno di altri Paesi, questo non è stato dovuto tanto alle iniziative di Tremonti, quanto al fatto che l'Italia non ha dovuto salvare le banche, che in altri Paesi sono state esposte allo scoppio di bolle immobiliari (come ad esempio in Gran Bretagna, Irlanda e Spagna). L'assenza di bolle ha fatto sì che in Italia non ci sia stato un crollo dell'economia, così che lo Stato non è dovuto intervenire massicciamente neanche nella protezione dei disoccupati. Detto ciò, va dato atto a Tremonti di aver capito che il sistema poteva reggere da solo, senza grandi interventi, e che anzi era auspicabile non aumentare la spesa, per impedire che il debito andasse fuori controllo. Può sembrare banale ma non lo è: richiede una conoscenza della situzione economico-sociale del proprio Paese che non tutti hanno. Quindi: Tremonti non ha fatto magie ma è stato comunque lucido nel capire che di fronte alla crisi la cosa più sensata da fare era "non fare niente", e tenere duro anche di fronte alle richieste di più spese da parte dei titolari di altri ministeri.
Un appunto che invece viene giustamente fatto a Tremonti è la scelta dei tagli lineari, iniziati per la verità prima dello scoppio della crisi, cioè nell'estate del 2008 (ma lui sostiene di aver previsto la crisi...). I tagli lineari non sono la scelta mgliore perché non fanno distinzione tra i settori in cui la spesa pubblica è produttiva e altri in cui è per lo più composta da sprechi.
Un altro settore in cui il ministro è stato carente è stato quello della crescita: forse perché legato ai settori protetti come quello delle professioni, Tremonti non ha pensato minimanente a rilanciare la competitività del Paese aumentando la concorrenza, come tra l'altro chiesto dalla stessa Authority per la concorrenza, oltre che dai sindacati e dalla Confindustria. Eppure le liberalizzazioni sarebbero misure a costo zero che dunque si potrebbero portare avanti senza aumentare il deficit.
Detto ciò, Tremonti sembra aver capito che il vecchio mondo in cui la spesa pubblica trainava l'economia è finito, quindi con tutti i suoi limiti, deve essere comunque preferito ai rappresentanti del "partito della spesa", che si annidano anche nell'attuale maggioranza di centro-destra, e che scalpitano soprattutto ora che il centro-destra ha perso le elezioni ed è in crisi di consenso. Ma va ricordato che la Grecia è a due passi.
Quindi: tra Tremonti e un ministro capace di coniugare rigore e sviluppo, meglio quest'ultimo (ma dov'è?); tra Tremonti e il partito della spesa, meglio Tremonti.

venerdì 3 giugno 2011

Grillo e la politica dei no


La coazione a ripetere che ha portato gli esponenti del Pdl e della Lega a condurre una campagna elettorale controproducente anche dopo il primo turno, continuando cioè ad insultare gli avversari, ha colpito anche Grillo, con il post nel suo blog dove chiama Pisapia "Pisapippa" e sostiene che non c'è differenza tra lui e la Moratti, che comunque ha vinto il sistema ecc.
La coazione a ripetere è un tratto che non stupisce, perché è indicativo del carattere, della "natura" di chi si comporta in un certo modo, che appunto comportandosi in quel modo esprime se stesso. Dunque, se Grillo va avanti da anni insultando i politici di destra e di sinistra, oltre che tutti quelli che non la pensano come lui, non si capisce perché dovrebbe cambiare adesso.
La novità semmai è che tra i suoi seguaci, e anche all'interno del Movimento a 5 stelle da lui fondato, stia emergendo più di qualche perplessità. Infatti non ci vuole molto per capire che le persone non sono tutte uguali, che c'è chi è onesto e chi non lo è, chi è preparato e chi no ecc.
E' evidente che slogan come "sono tutti uguali", "devono andare tutti a casa" ecc., si giustificano soltanto da un punto di vista ideologico, cioè dal punto di vista di chi, insofferente per il "sistema" nel suo complesso, lo vuole cambiare alla radice. Voler fare la rivoluzione è lecito (anche se la storia ci ha insegnato che è molto pericoloso e spesso controproducente), ma allora devi aspettari di avere la maggioranza dei consensi. Quindi, auguri a Grillo, chissà se entro il 3150 riuscirà ad avere dalla sua parte la maggioranza dei voti. Nel frattempo persone più miti e più concrete cercheranno di cambiare le cose poco per volta, riformando il sistema da dentro, senza distruggere tutto e pretendere di avere la verità in tasca. Mentre Grillo, in compagnia di gente come Emilio Fede, continuerà a storpiare i nomi e ad insultare chi non la pensa come lui (cosa che tutti dovremmo avere imparato a otto anni che non si fa).
Del resto, la difficoltà di attrarre consensi oltre una piccola percentuale, è evidenziata dal fatto che a ben guardare quello che propone Grillo non è certo risolutivo per la vita delle persone. Acqua pubblica, Internet gratis, rifiuti zero, stipendi più bassi ai politici, sono cose più o meno condivisibili, ma certo non cambieranno la vita delle persone, soprattutto di chi non arriva alla fine del mese o non trova lavoro.
La sua politica dei no può raccogliere consensi, magari tra gli insofferenti e gli arrabbiati, ma solo a un certo punto.
No alla TAV, no alla terza linea della metro a Roma, no ai grattacieli nelle città, no agli OGM, no al nucleare, no agli inceneritori. Qui non conta discutere nel merito questi singoli aspetti, che possono essere più o meno condisivibili, quanto piuttosto notare come Grillo, insieme al suo "Movimento a 5 stelle", sia contrario a tutto.
Dicendo no a tutto, Grillo mostra di essere arci-italiano, più o meno come i preti e gli amministratori locali di destra e di sinistra che si oppongono a qualunque cosa venga decisa su un determinato (il loro) territorio.
A questo punto ci si può chiedere come mai certe cose (come la Tav o gli inceneritori) si fanno in tutta Europa, e solo noi dobbiamo essere così furbi da dire sempre no. Dicendo no anche a cose che si fanno in Europa, Grillo viene smascherato, perché di fatto sta ammettendo che per lui non solo il "sistema" in Italia è da buttare, ma anche in Europa. Quindi, anche se fa finta di prendersela con i politici italiani come se fossero il peggio del peggio, di fatto ci sta dicendo che non va bene niente in nessun paese d'Europa (e del mondo?).
Io più modestamente mi accontenterei di vivere in un normale Paese europeo.
La mia impressione è che il massimalismo di Grillo si risolverà in nulla, e che il Movimento a 5 stelle, composto spesso da persone oneste e preparate, potrà sopravvivere solo se si renderà autonomo dal suo fondatore e abbandonerà il linguaggio degli insulti, oltre che la politica dei no.

mercoledì 1 giugno 2011

Pdl, partito conservatore


La recente sconfitta alle elezioni amministrative ha posto il problema della leadership e della natura del Pdl, in chiara crisi di consensi. La mia tesi è che il Pdl sia un partito conservatore, che fino ad ora si era ammantato di un finto riformismo, un partito di cui sta emergendo la natura semplicemente conservatrice e dunque sta deludendo chi lo aveva sostenuto aspettandosi dei cambiamenti.
Non c'è nulla di male ad essere un partito conservatore, né ad essere un partito che fa gli interessi dei gruppi sociali privilegiati (ad esempio, le corporazioni professionali). Tutti hanno diritto ad essere rappresentati, anche gli avvocati e i farmacisti, per dire. Più difficile è proporsi nello stesso tempo come riformatori e progressisti, promettere di cambiare l'Italia e poi non farlo.
La crisi del Pdl è dovuta a questo, ma questa è la sua stessa natura. In fondo si poteva capire da subito, o quantomeno dal 2006, alla fine del quinquennio in cui Berlusconi ha governato con un'ampia maggioranza senza fare riforme, che questa era la natura del suo partito (che all'epoca si chiamava Forza Italia).
Il Pdl, come Forza Italia, è nato come negazione dei partiti tradizionali, dunque niente congresso, niente segretario, niente primarie, niente discussione interna, niente sezioni, niente radicamento sul territorio. Addirittura ai comizi della Moratti pare che abbiano dovuto reclutare e pagare dei giovani da far comparire come militani. Il Pdl è un non-partito, un partito del Capo, un partito "cesarista", si è detto.
La cosa interessante è che il suo elettorato è stato fino ad ora entustiasta di questo, come se fosse un plus, non un minus. Ma nonostante l'ottimismo dei suoi militanti, è evidente che un partito così non è in grado di operare profonde riforme nel Paese, perché qualunque lavoro importante richiede la collaborazione di persone comptetenti, la condivisione e anche la competizione di idee, di programmi, di obiettivi.
Caso strano, infatti, in tutti i paesi democratici è così che funzionano i partiti. Nei paesi democratici non esistono partiti in cui il leader non è in discussione, e neanche partiti in cui il leader è sempre lo stesso da 17 anni.
Ma come può un partito dove tutto viene deciso dall'alto, riuscire a risolvere i problemi reali del Paese, proporre una classe dirigente locale e nazionale, esprimere una cultura del dialogo, parlare con le persone per capirne i problemi? Il fatto che il Pdl abbia paura del suo stesso popolo, che rifiuti le primarie, che non concepisca l'idea di un congresso, che non consideri elettive le sue cariche, la dice lunga. Addirittura c'è stato il tentativo di bloccare il Referendum. Del resto la concezione del popolo che ha il Pdl è spiegata bene dalla concezione del leader che avrebbe un "rapporto diretto e speciale" con il "suo" popolo. Non siamo alla Corea del Nord, ma poco ci manca.
A ben guardare il popoulismo discende direttamente dal carattere in realtà elitario del Pdl: per recuperare il rapporto con il popolo in realtà distante, lo si evoca, senza coinvolgerlo veramente.
Può sembrare notevole il fatto che il suo elettorato ci abbia creduto e abbia approvato tutto questo per ben diciassette anni, e ancora oggi molti continuino a dire Forza Silvio, caccia questo e quello, fai questo e quello. Siccome le idee hanno conseguenze, la mancanza di cultura democratica, di volontà di partecipare, di vedere il leader come uno di noi, magari più bravo e più preparato, ma uno di noi, ha prodotto questo risultato. La democrazia non è stata inventata per caso. "Pensaci tu", "ghe pensi mi" o "dopo di me il diluvio" non sono idee accettabili in democrazia. Come diceva Tocqueville, i difetti della democrazia si risolvono con più democrazia, non con meno. Allo stesso modo, i difetti dei partiti italiani, emersi in maniera così netta con Tangentopoli, non si risolvono con meno partiti, o con partiti meno funzionanti o meno democratici, ma si risolvono riformando i partiti stessi. E fino ad ora non si è mai vista una democrazia senza partiti.
Un partito normale è un partito dove le idee e i principi vengono prima delle persone; certo le idee e i principi si devono incarnare nelle persone, ma se un leader lascia, non muore nessuno, soprattutto se ha 75 anni ed è capo assoluto da 17anni. Cambiare aria fa bene a tutti, fa bene alle amministrazioni locali e a quelle nazionali. Le monarchie assolute non sono governate meglio delle democrazie, neanche quelle illuminate.
Il Pd avrà tanti difetti (non ultimo quello di avere ai vertici la stessa oligarchia da troppi anni) ma almeno alla fine ha accettato il principio delle primarie, e quando un candidato proposto dal partito perde, è comunque il meccanismo delle primarie che ha vinto, quindi indirettamente ha vinto il partito che le ha fatte proprie. Accettare le primarie è un sintomo di forza, non di debolezza. Credere che il proprio leader sia l'unico possibile, dire "meno male che lui c'è", è invece sintomo di debolezza, di mancanza di idee e di prospettive.
I militanti del Pdl credono che Silvio è un grande? benissimo, quali sono i suoi insegnamenti? se ci sono, ci sarà qualcuno che li ha fatti propri e che ne potrà raccogliere l'eredità. Silvio voleva fare le liberalizzazioni? benissimo, qualcuno le può fare al posto suo. La verità purtroppo per loro è che Silvio non voleva fare niente, oltre alle promesse non c'è niente, e le sue promesse sono irrealizzabili perché per realizzare profonde riforme prima bisogna fare un lavoro paziente. Ad esempio, prima di tagliare le tasse bisogna ridurre la spesa pubblica. Cosa che ovviamente Silvio non ha fatto. Quindi ora gli elettori del Pdl (quelli che credevano onestamente che fosse un partito riformatore) si ritrovano con un pugno di mosche.
Ormai gli unici che appoggiano ancora il Pdl con convinzione sono quelli che ne avevano capito la vera natura, e lo appoggiavano per quello: il Pdl è un partito conservatore, che si pone come scopo principale quello di impedire alla sinistra di andare al governo, per mantenere l'attuale sistema di potere e gli attuali equilibri economici. Si tratta di una versione tutta italiana del vecchio motto "laissez faire", che in un Paese corporativo significa: lasciamo che il sistema vada avanti così, corporativo e feudale.
La mediocrità di molti esponenti del Pdl discende direttamente dal metodo e dai criteri con cui sono stati scelti: la fedeltà al capo, l'aspetto fisico, la capacità di generare consenso attraverso il mezzo televisivo ecc.
L'aggressività dimostrata nell'ultima campagna elettorale da parte degli esponenti del Pdl è semplicemente necessaria, per coprire quella mancanza di riforme che ha deluso i suoi elettori più ottimisti, quelli che avevano creduto alle promesse. Per recuperare gli elettori delusi non è rimasto altro che accusare gli avversari politici delle peggiori nefandezze.
Del resto l'aggressività e la demonizzazione dell'avversario sono da sempre tratti caratteristici della destra berlusconiana, basti pensare ai suoi giornali e ai suoi telegiornali, dal Giornale al Tg4.
Il Pdl si mostra ormai anche al grande pubblico per quello che è, il partito conservatore delle classi privilegiate, non un partito di popolo. Questo è legittimo, ma è importante capirlo.