domenica 19 febbraio 2012

Prevedere i terremoti? Verona e il 1117

Aggiornamento 26 luglio 2012.
Le scosse sismiche di fine gennaio in Veneto ed Emilia (Reggiano e Parmense), a cui sono seguite le due forti scosse di maggio in Emilia, seguite di un elevato numero di repliche, avvertite in molte regioni del centro-nord, hanno sollevato dubbi e paure nella popolazione. E in casi come questi torna la domanda: è possibile prevedere i terremoti? E' possibile sapere se nella zona in cui si abita c'è il rischio che si verifichi un terremoto molto forte?
Premetto che non sono un geologo, ma ho cercato ugualmente di trovare una risposta.

Gli strumenti che i geologi usano per conoscere la pericolosità sismica delle diverse zone sono:
1- lo studio e la catalogazione dei terremoti storici che hanno interessato in passato una determinata area.
2- lo studio delle faglie sismogenetiche, cioè capaci di produrre terremoti.
3- lo studio dei microterremoti e degli sciami sismici, che si verificano tutti i giorni in un Paese sismico come l'Italia, ma la maggior parte dei quali non viene avvertita dalla popolazione.

In base a questi dati è possibile individuare la pericolosità sismica delle diverse zone d'Italia, cioè la probabilità che si verifichino terremoti, e l'entità massima attesa.

L'ultimo punto, vale a dire lo studio delle scosse leggere e degli sciami sismici, consente di conoscere il comportamento delle diverse faglie, e di ricostruire il loro comportamnto nel tempo; in base ad esso sono stati prodotti interessanti modelli sperimentali per la previsione dei terremoti. Per il momento siamo soltanto, appunto, a livello sperimentale.

Per quanto riguarda il primo punto, in base ai semplici dati statistici, soprattutto per un Paese come l'Italia che è fortemente antropizzato ed ha una lunga storia, è già possibile determinare a grandi linee la pericolosità di una certa zona.
Prendiamo ad esempio la città dell'Aquila, colpita dal terremoto del 2009 (magnituo 5.9 della scala Richter): si può constatare come già in passato sia stata colpita da terremoti molto intensi. Il 2 febbraio 1703 un terremoto di magnituo Mw 6,7 (ovviamente per i terremoti del passato la magnitudo non può essere che stimata) provocò la morte tra il capoluogo e i paesi circostanti di più di 6.000 persone. Un altro terremoto si verificò nel 1572 (Magnitudo Mw 5.9, circa 500 morti), e in precedenza nel 1461, un terremoto di magnitudo 6.4 la distrusse in gran parte, mentre nel 1349 (Mw 6.3) vi furono 1.000 morti. Oltre a questi, negli ultimi secoli nel capoluogo abruzzese si sono verificati molti altri terremoti meno intensi, ma comunque di un certi rilievo. Insomma, la storia già da sola ci dice che nella zona dell'Aquila sono probabili, e si verificano periodicamente, terremoti molto intensi, con magnitudo Mw compresa tra 6 e 7.

Un altro esempio che si può fare è quello dell'Irpinia, colpita dal devastante terremoto del 1980 (magnitudo 6.9, circa 3.000 vittime). Ebbene, anche l'Irpinia in passato fu colpita da terremoti molto intensi, come quello del 1962 (Mw 6.2, 17 morti), quello del 1930 (Mw 6.7, 1.400 morti), quello del 1732 (circa 2.000 morti), e quello devastante del 1694 (Mw 6.9), che provocò oltre 6.000 vittime tra Irpinia e Basilicata. Oltre a questi, si ricordano altri terremoti che hanno colpito zone limitrofe, interessando l'Irpinia in maniera più o meno diretta, come quello del 1688 del Sannio. Anche qui, è evidente che siamo di fronte ad una zona ad elevata sismicità.

Altre zone ad elevatà sismicità dove in passato si sono verificati terremoti distruttivi sono alcune zone della Calabria e della Sicilia, dove si sono registrati i terremoti più intensi mai registrati in Italia, come quello della Val di Noto del 1693 (Mw 7.4), che provocò 60.000 morti anche a causa di un maremoto, o quello del 1908 di Messina e Reggio Calabria, anch'esso accompagnato da maremoto, che provocò oltre 100.000 morti.
Per quanto riguarda l'Umbria, colpita dal terremoto del 1997 (due scosse di Magnitudo Mw 5.8 e 6.1), si ricordano nel passato diversi terremoti, più o meno intensi, alcuni capaci di provocare gravi danni, morti e feriti (come quelli del 1599, 1703, 1719, 1730, 1747, 1751, 1789, 1791, 1832, 1838, 1859, 1878, 1917, 1984). In Umbria dunque i terremoti sono molto frequenti, anche se per fortuna è raro che raggiungano una intensità distruttiva.

Vi è poi il caso di Roma, che nella sua lunga storia è stata più volte colpita da terremoti il cui epicentro era in regioni vicine (come quelli più violenti dell'Umbra e dell'Abruzzo), o nella vicina zona dei Colli Albani (abbastanza forti ma meno violenti), più altri terremoti localizzati proprio nell'area della città, o verso il litorale, ma mai superiori alla Magnitudo 5. Alcuni di questi terremoti hanno provocato danni a monumenti e chiese, ma in tempi storici nella Città Eterna non si è mai verificato un terremoto distruttivo.

Il terremoto del 1117

Un caso interessante (o forse un po' inquietante) è quello che riguarda la zona di Verona. Nella Mappa della pericolosità sismica, che rappresenta un punto di riferimento fondamentale per conoscere la pericolosità sismica delle diverse zone d'Italia, la zona di Verona non è considerata ad elevata pericolosità. Nel sito dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), vi è una pagina che spiega, riguardo al terremoto del 25 gennaio 2012 del Veronese, che: "L’area interessata dall’evento e’ caratterizzata da una pericolosita’ sismica medio bassa ed i comuni colpiti sono distribuiti principalmente in zona 3 (bassa pericolosita’) ed in minor parte in zona 2 (media pericolosita’) nella classificazione sismica del territorio nazionale su base comunale. Tale classificazione deriva essenzialmente dalla notevole entita’ dei tempi intersismici caratteristici della regione. Storicamente infatti, l’area in questione e’ stata colpita da pochi terremoti ma di magnitudo rilevante: nel 1891 il terremoto della Valle d’Illasi di magnitudo fra 5.7 e 5.9 e nel 1117 il grande terremoto del Veronese di magnitudo probabilmente superiore a 6.5."

Dunque, la pericolosità sismica di una certa zona può variare a seconda della lunghezza del periodo preso in considerazione: infatti in determinate aree i terremoti forti si possono presentare molto raramente, mentre in altre essi possono essere più frequenti.

Il terremoto del 1117 del Veronese ebbe una Magnitudo stimata 6,49, il che significa che è stato circa 6 volte più intenso di quello dell'Aquila del 2009 (la scala Richter e le scale derivate come la scala Mw sono infatti logaritmiche, e vi è una differenza di circa 30 volte tra due terremoti aventi una Magnitudo di un solo punto di differenza).

La faglia del Veronese

E' certamente difficile ricostruire gli avvenimenti di circa mille anni fa, avvenuti in pieno medioevo, quando certamente non abbondavano gli intellettuali e gli autori delle cronache. Per la ricostruzione degli eventi del 1117 rimangono poche cronache a tra l'altro posteriori, qualche prova archeosismologica (antichi edifici crollati) e qualche lapide con riferimenti al terremoto.

In base alle fonti, si sarebbero verificati danni in un'area vastissima, comprendente tutto il Nord Italia ma anche parte di Germania Svizzera e Austria. La stima dei morti è di circa 30.000.

La storia sismica del Veneto è sicuramente importante, con molti eventi che furono risentiti in maniera più o meno intensa nella città di Verona, come è ricordato qui.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i terremoti risentiti nel capoluogo scaligero sono da attribuire alle faglie che sepolte sotto la pedemontana veneta, dal Vicentino verso il Friuli, oppure alle faglie subalpine che dal Trentino e dal Lago di Garda percorrono la pedemontana verso la Lombardia.
Ad esempio un forte terremoto si deve essere verificato intorno al 369 d.C., anche se pare abbia colpito soprattutto la zona di Belluno, quindi probabilmente non può essere considerato un terremoto specifico con epicentro nel Veronese.
Un forte terremoto si registrò nel 1222, ma a quanto pare l'epicentro fu nella zona di Brescia. Fortissimo fu il terremoto del 1348, ma l'epicentro fu in Carinzia, a nord del Friuli. Anche nel 1511 un devastante terremoto interessò il Friuli, e in misura minore il Veneto, mentre ricordiamo il forte terremoto dell'Asolano del 1695, che provocò centinaia di vittime tra il Veronese e il Vicentino, e quello della Valle d'Illasi del 1891.

Il terremoto del 1117 è invece un caso particolare, perché secondo i sismologi il suo epicentro fu localizzato nei pressi di Ronco all'Adige, un paesino a sud-est di Verona, ben lontano dalle faglie summenzionate.



Secondo il database DISS 3, in questa area si trova una faglia lunga di circa 50 km, orientata da nord-est a sud-ovest, catalogata come ITCS076 - Adige Plain, e che arriva ad ovest fino a Goito e alle porte di Mantova.
Negli ultimi secoli in questa faglia sono catalogati pochi terremoti, e tutti di magnitudo non elevata:
- 1465 Mantovano, Magnitudo Mw 4.63.
- 1693 Goito, Mw 5.27.
- 1841 Sanguinetto, Mw 4.83 (per la verità un po' fuori dalla faglia).
- 1907 Bovolone, Mw 4.94.

Considerazioni

La faglia denominata Adige Plain, negli ultimi secoli avrebbe prodotto una sola volta un terremoto di magnitudo 5.27, decine di volte più leggera di quella del 1117.
Se veramente il terremoto del 1117 è stato localizzato in quella faglia, saremmo di fronte ad un evento che ha un tempo di ritorno molto elevato, di mille anni o forse più.
L'Ingv ha elaborato Mappe di pericolosità sismica per periodo diversi. La mappa linkata sopra si riferisce a eventi che hanno un tempo di ritorno di 50 anni. Per tempi di ritorno più lunghi, aumenta la pericolosità delle zone sismiche, ed ecco che compaiono i colori rosso e viola anche in aree come quella di Verona, come si può vedere nelle seguenti mappe: tempo di ritorno di 975 anni, e tempo di ritorno di 2475 anni.

Non è facile ricostruire un evento come quello del 1117, che presenta documenti incerti e frammentari. Pare comunque che si verificarono danni in una vasta area del Nord Italia. Una ricostruzione dell'evento ci ricorda come si verificarono danni e crolli in città come Cremona (distante 94 km dall'epicentro), Nonantola (MO, 76 km), Parma (84 km), Malamocco (VE, 96 km), Castell'Arquato (PC, 120 km), Milano (155 km), Orsenigo (CO, 163 km), Pavia (160 km) Aquileia (UD, 180 km), Gemona (180 km), Pisa (185 km), Vercelli (215 km), Biella (240 km), e persino Montecassino (470 km), Bamberga e Augusta (Germania, circa 500 km), Reims (Francia, 680 km).

Personalmente mi riesce difficile credere che un solo evento possa aver prodotto danni in un'area così vasta. Ritengo più probabile che i danni relativi all'evento verificatosi in Veneto si siano limitati alla sola pianura padana.

L'elevato numero delle repliche documentate (oltre alla scossa del 3 gennaio, altre il 12 gennaio, 4 giugno, 1 luglio, 1 ottobre e 30 dicembre), può far pensare ad una sequenza sismica importante, ma anche a diversi terremoti con diversi epicentri. Ad esempio qui viene ipotizzato un secondo epicentro nel cremonese, oltre a quello del Veronese. I danni documentati a Montecassino potrebbe riferirsi ad un terremoto diverso, con epicentro nell'Appennino centro-meridionale. I danni riportati in Friuli potrebbero riferirsi anche essi ad un terremoto locale, considerata la distanza e il fatto che l'area Friuli-Carinzia-Slovenia ha una propria (ed elevata) sismicità.

Il database dell'Ingv DBMI11 ha elevato la stima della magnitudo dell'episodio del 1117 (da 6.49 a 6.69), ma ha nel contempo inserito un altro evento nella Toscana settentrionale, per giustificare i crolli documentati a Pisa.
In attesa di eventuali futuri nuovi studi e approfondimenti, stiamo a quanto dice la scienza, che dunque considera possibile che si possa verificare un terremoto di magnitudo 6.7 in una zona abbastanza centrale della pianura padana.


Link:
- La pericolosità sismica del territorio italiano - INGV (Youtube)
-Terremoti in Italia (da Wikipedia)
-Il terremoto di Verona e del Reggiano del 25-1-2012 -INGV (Youtube)
- Roma e i terremoti - INGV (Youtube)

giovedì 16 febbraio 2012

Norma Rangeri e l'Articolo 18


Il fatto che l'Italia sia un Paese fortemente ideologizzato lo si deve constatare tutti i giorni, e il dibattito sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non fa eccezione. Invece di cercare di risolvere i problemi, la politica punta i piedi e fa battaglie di principio su questioni secondarie, che non influiscono sulla vita reale dei cittadini se non in minima parte, ma avendo un certo potere simbolico, possono mobilitare l'attenzione dell'opinione pubblica, dividendola in schieramenti pro o contro. La moltiplicazione delle questioni di principio (come ad esempio la Tav, i ministeri a Monza o l'acqua pubblica) mostra il carattere demagogico della politica italiana.
Non fa eccezione l'articolo 18, difeso a spada tratta dai sindacati (che vanno in brodo di giuggiole quando vengono consultati e possono sedere al tavolo, mentre minacciano scioperi generali quando questo non accade), ma anche dalla cosiddetta sinistra "radicale", o per meglio dire, comunista, come se tutto il problema del lavoro, dei diritti dei lavoratori, della disoccupazione ecc., ruotasse intorno ad esso. In realtà si tratta soltanto di una bandiera, di un luogo dove puntare i piedi sperando di ottenere riconoscimento e consensi senza pensare veramente a risolvere i problemi reali, che sono ben più complessi.
Prendiamo ad esempio il dibattito tra Pietro Ichino e Norma Rangeri nella puntata di "Otto e mezzo" del 21 dicembre 2011.
Pietro Ichino, giuslavorista e parlamentare del Pd, da anni studia il modo di combattere il dualismo tra il lavoro ipertutelato di chi ha un vecchio contratto a tempo indeterminato, e l'estrema precarietà e lo sfruttamento a cui sono sottoposti coloro i quali hanno un contratto atipico e a tempo determinato.
Ichino provava a spiegare le ragioni della sua proposta che vorrebbe inserire anche in Italia il modello della "Flexicurity" di tipo scandinavo. Interessante la replica della direttrice del Manifesto Norma Rangeri:
"Io sono terrorizzata da questi modelli perfetti in cui il lavoratore vive in un paradiso perché passa da un lavoro all'altro senza perdere se non il 10% dello stipendio e nel frattempo viene professionalizzato, quindi può passare a lavori più interessanti, quando invece c'è una situazione in cui il lavoro è sempre diventato, soprattutto in Italia, un meccanismo dell'ingranaggio produttivo, senza più personalità né diritti".
Qui si vede come, con un lapsus freudiano, Norma Rangeri ammetta di essere terrorizzata da uno stato in cui le cose funzionano, e voglia lasciare tutto com'è.
Aggiunge la Rangeri: "Se noi fossimo in una situazione in cui la Danimarca, il modello danese, potesse essere importata in Italia saremmo i più felici, ma la Danimarca, ha sei milioni di abitanti, e ha il 75% di livello occupazionale, e spende tre volte tanto di stato sociale". Al che Ichino ha fatto notare che "La Danimarca è un Paese all'incirca delle stelle dimensioni del Piemonte dell'Emilia. La Svezia ha esattamente gli stessi abitanti della Lombardia e lo stesso reddito pro-capite. Si da il caso che le nostre Regioni dal 2001 hanno la competenza legislativa ed amministrativa integrale in materia di servizi e del mercato del lavoro. Mi si deve spiegare perché la stessa cosa che si può fare in Svezia o in Danimarca non si può fare in Lombardia o in Veneto".
Al che ha replicato la Rangeri: "Il nostro Paese è Italia, non è Lombardia o Piemonte, è un Paese che purtroppo ha una situazione generale che non è riassumibile con quella delle regioni più industrializzate. Bisogna fare i conti con tutto il Paese".
Ichino: "Sì ma una delle versioni della mia proposta è: cominciamo sperimentalmente laddove si può provare nelle condizioni migliori, ma voi avete sparato a zero anche contro l'ipotesi della sperimentazione".
E' interessante che, pur di non migliorare la condizione dei lavoratori, Norma Rangeri ricorra all'argomento "non ci sono i soldi", in genere utilizzato da chi sta dall'altra parte rispetto alle sue idee. Ma come, proprio quella parte politica che ha sempre considerato la questione della spesa come secondaria, anzi mostrando una certa simpatia per la crescita smisurata del debito pubblico, visto come baluardo contro il "privato" e il "capitalismo" (secondo la semplicistica equazione più stato = meno mercato), quando si parla dei diritti dei lavoratori, si preoccupa perché "non ci sono i soldi"? E l'argomento, usato in altre circostanze e tutto sommato corretto, che dal recupero dell'enorme evasione fiscale che c'è in Italia si potrebbero recuperare le risorse per accrescere lo stato sociale, che fine ha fatto? Per non parlare dell'altro argomento caro alla sinistra radicale, la famosa patrimoniale, che quando deve far piangere i ricchi viene evocata volentieri, ma quando potrebbe servire per migliorare la vita reale della gente reale, viene opportunamente messo nel cassetto?
Purtroppo si ha l'impressione che l'estrema sinistra ancora una volta preferisca che le cose vadano male, magari per lucrare facili consensi, da parte di chi preferisce contestare il sistema nel suo complesso invece di riformarlo.
Ora, visto che il Manifesto è in crisi, e a quanto pare non vende abbastanza per potersi mantenere solo con gli introiti dati dai lettori e dalla pubblicità, e la redazione si lamenta per la mancanza di denaro pubblico, si potrebbe replicare a Norma Rangeri, usando il suo stesso argomento: "Io sono terrorizzato da questi modelli perfetti in cui viene assicurato il pluralismo dell'informazione. Ma purtroppo siamo in Italia e non ci sono i soldi".

Link: il video della puntata: http://www.youtube.com/watch?v=6gRGqia1RPM

sabato 4 febbraio 2012

Alemanno e la neve a Roma


L'Italia è il Paese delle polemiche, si sa, e di fronte ad una nevicata abbondante a Roma, fenomeno raro, anche se non rarissimo, si potrebbe anche sostenere che in fondo è normale che la città venga colta impreparata da un fenomeno del genere.
Ma se si vuole seguire una tale linea argomentativa, non si dovrebbe ricorrere a polemiche, come ha fatto il sindaco Alemanno, il quale ha detto: "Qui non siamo noi a difenderci, qui siamo noi ad accusare". Il sindaco ha poi aggiunto: Io sto diffondendo in tutta la stampa il bollettino meteo che è stato diffuso giovedì in cui testualmente si parla di 35 millimetri di neve su Roma, e si parla di modesti accumuli.. soltanto giovedì sera ci hanno parlato di 15 centimetri, ma di che stiamo parlando".
Questa dichiarazione è veramente surreale, e per vari motivi. In primo luogo, dovrebbero spiegare al sindaco Alemanno che in meteorologia le precipitazioni si misurano in millimetri, che equivalgono a litri per metro quadro, e quando si parla di precipitazione nevosa, si intende di neve sciolta. In genere 1 millimetro di pioggia equivale a più o meno un centimetro di neve, a seconda del tipo di neve, che può essere acquosa o farinosa, il che significa che ci si potevano attendere da 15 a 35 centimetri di neve. Possibile che nessuno abbia spiegato questo elementare fatto fisico al sindaco Alemanno? Inoltre, Alemanno ha sostenuto che il bollettino parlava di precipitazioni "moderate", come se il termine moderate fosse sinonimo di "scarse", cosa che non è (moderate significa, ovviamente, a metà strada tra quelle leggere e quelle abbondanti). Quindi, pare che anche con l'italiano abbiamo qualche problema.. Inoltre, se come dice il sindaco, giovedì sera ha letto il bollettino in cui si parlava di 15 centimetri, evidentemente ha ricevuto una previsione che si è rivelata esatta, e abbastanza in tempo quantomeno per prendere alcune misure come la chiusura di scuole ed edifici pubblici. Cosa che tra l'altro il sindaco ha anche fatto parzialmente (lasciando le scuole aperte ma sospendendo la didattica).
Il sindaco ha anche aggiunto che una nevicata così abbondante a Roma non si verificava dal 1985, "quindi sono passati 35-40 anni", mentre dal 1985 ne sono passati 27. Va detto inoltre che la capitale fu colpita da una nevicata ancora più abbondante l'anno seguente, il 1986. Inoltre la pausa dal 1986 ad oggi è stata più lunga di quanto sia accaduto in passato, perché in precedenza a Roma si erano verificate nevicate abbondanti nel 1939, 1956, 1965 e 1971. Quindi le nevicate abbondanti a Roma sono rare, ma non si verificano ogni 35-40 anni come ha detto il sindaco.
Anche volendo escludere quella di oggi, e volendo accorpare i diversi episodi nevosi che si sono verificati a volte nello stesso anno (ad esempio nel 1956 nevicò diverse volte, come pure nel 1985), dal 1939 al 2011, quindi in 72 anni, abbiamo 6 episodi nevosi consistenti (1939, 1956, 1965, 1971, 1985, 1986), quindi mediamente uno ogni 12 anni.