venerdì 27 luglio 2012

Terremoti a Roma



Come abbiamo già fatto per Milano e Torino, cerchiamo di analizzare il rischio sismico della città di Roma.
Nel corso della sua lunga storia la città eterna non è mai stata rasa al suolo da un terremoto, ma ha conosciuto diversi terremoti e ha subito più danni di quanto si potrebbe pensare. I danni hanno riguardato abitazioni private, soprattutto nell'antichità e nel medioevo quando la qualità costruttiva era spesso scarsa, e monumenti e chiese in tutte le epoche. Ad esempio il Colosseo è tuttora in piedi, ma è stato lesionato non soltanto dal tempo, dalle guerre e dagli incendi, ma anche e soprattutto dai terremoti. Nel V sec. d.C. fu anche parzialmente ricostruito dopo scosse particolarmente forti, tanto che rimane una lapide a testimonianza del restauro dopo il sisma del 484. Inoltre, il modo come è stato danneggiato il Colosseo mostra l'importanza della risposta locale del terreno, dal momento che una metà del monumento (quella che poggia su un terreno alluvionale e guarda verso sud-ovest) è visibilmente più lesionata dell'altra.

Storia sismica di Roma

Le notizie sui terremoti nel periodo antico e medievale sono per forza di cose frammentarie e incerte. Comunque nell'antichità sono documentati una serie di terremoti (83 a.C., 72 a.C., 15 d.C.), di magnitudo stimata superiore a 5, che produssero danni abbastanza rilevanti; ad esempio quello del 15 avrebbe fatto crollare parte delle mura serviane.
Per quanto riguarda il medioevo, si ricordano alcuni terremoti del V secolo, (443, una lunga serie di scosse nel periodo 476-477, e 484), altri nel IX secolo (801, molto forte e probabilmente di derivazione appenninica, 847, 849), fino ad arrivare a quello del 1044. Questi terremoti dovrebbero aver comunque provocato danni e crolli a monumenti come il Colosseo, chiese, colonne, obelischi.
Per il periodo dopo il 1.000 si può utilizzare il database dell'Ingv, e in particolare la pagina che riporta la storia sismica di Roma (la presentazione del database macrosismico si trova qui). 
Anche in questo caso distinguiamo gli effetti locali di un terremoto (misurati con la scala Mercalli-Cancani-Sieberg, MCS) dall'intensità dello stesso (misurata dalla scala di Magnitudo del momento sismico, Mw).
I valori interessanti per quanto riguarda gli effetti locali sono quelli che superano il livello 5:

3:  leggera - Avvertita da poche persone.
4 : moderata - Avvertita da molte persone; tremito di infissi e cristalli, e leggere oscillazioni di oggetti appesi.

5 : piuttosto forte - Avvertita anche da persone addormentate; caduta di oggetti.
6 : forte - Qualche leggera lesione negli edifici e finestre in frantumi.
7:  molto forte -  Caduta di fumaioli, lesioni negli edifici.
8:  rovinosa - Rovina parziale di qualche edificio; qualche vittima isolata.

I terremoti veramente distruttivi sono quelli che comportano un'intensità tra 9 e 12 nella scala Mercalli.

A giudicare dai dati dell'Ingv la storia sismica di Roma non è poi così irrilevante, dal momento che due volte in mille anni si è raggiunto il livello Mcs 7, che rappresenta la cosiddetta soglia del danno, e una volta il livello Mcs è stato tra 7 e 8. Altre tre volte il livello Mcs è stato tra 6 e 7.
Storia sismica di Roma
Il terremoto più forte dell'ultimo millennio avvertito a Roma è stato quello del 1349, quando si raggiunse un effetto locale Mcs tra 7 e 8. Il terremoto del 1349 fu distruttivo in una vasta area dell'Italia centro-meridionale (dall'Umbria all'Irpinia), al punto che i sismologi hanno ipotizzato l'esistenza di tre eventi distinti, aventi come epicentro rispettivamente:
- il Viterbese, vicino a Bagnoregio (magnitudo Mw 5.91), a circa 85 km da Roma
- l'Aquilano, nel parco Sirente-Velino (magnitudo Mw 6.5), a circa 80 km da Roma
- il Molise, dalle parti di Venafro (magnitudo Mw 6.6), a circa 140 km da Roma
Vista la non grande distanza dagli epicentri (rispetto all'intensità delle scosse), è possibile che i danni prodotti a Roma siano stati l'effetto cumulato di almeno i primi due eventi, ma forse anche il terzo, quello del Molise, vista la sua intensità può avere prodotto effetti nella Capitale, anche perché come si sa, gli edifici già danneggiati sono più vulnerabili in caso di nuove scosse (non vi è comunque certezza sull'effettivo ordine temporale delle scosse). L'anno successivo il Petrarca, giunto a Roma in occasione del Giubileo, constatò la presenza di molti danni, con un gran numero di chiese distrutte, e sostenne che Roma non aveva mai vissuto un simile scuotimento dalla sua fondazione.

Prima dell'anno 1000, anche il terremoto dell'801 aveva raggiunto un livello locale 7-8 nella scala Mcs. Oltre a danneggiare il Colosseo, il terremoto avrebbe provocato il crollo della chiesa di Santa Petronilla e del tetto della basilica di San Paolo Apostolo. Probabilmente si trattò anche in questo caso di un terremoto localizzato nell'Appennino.

Il database non riporta il terremoto del 1227, che avrebbe causato la distruzione del monastero di San Clemente a Subiaco, e dovrebbe aver prodotto danni anche a Roma. Danni rilevanti si ebbero anche in occasione del terremoto di Cassino del 1231.

Non viene riportato neanche il terremoto del 1438 dei Castelli, di magnitudo Richter stimata 5.4/5.6, che dovrebbe aver prodotto qualche danno anche a Roma.

Dopo quello del 1349, negli ultimi mille anni il terremoto più forte è stato quello del 1703. Anche in questo caso siamo in presenza di più eventi, dal momento che sono stati ricostruiti i seguenti epicentri principali:
- 14 gennaio 1703, Appennino Reatino (Cittareale), magnitudo Mw 6.81, a circa 100 km da Roma
- 2 febbraio 1703, Aquilano (Montereale, Cagnano Amiterno), magnitudo Mw 6.65, a circa 85 km da Roma
Questi eventi furono distruttivi in una vasta area dell'Italia centrale, in particolare in Umbria, Abruzzo e Reatino, provocando migliaia di morti. Il database dell'Ingv riporta per entrambi gli eventi un effetto Mcs pari a 7 per la città di Roma: il primo fu in effetti più forte ma il suo epicentro fu un po' più distante. 

Oltre ai terremoti più forti dell'Appennino centrale, Roma può conoscere dei terremoti che si verificano nella zona dei Colli Albani, come pure terremoti locali centrati proprio nella stessa zona di Roma.

Nel 1812 un terremoto probabilmente centrato proprio nella zona di Roma (centro), di magnitudo Mw 5.03, produsse effetti leggermente inferiori a quello del 1703 (livello Mcs 6-7 anziché 7), portando crolli parziali in alcune chiese. Questo terremoto si verificò sei anni dopo il forte terremoto dei Castelli del 1806, che a Roma ebbe un effetto Mcs pari a 5-6, e dopo la replica del 1810. Questi eventi mostrano come i terremoti si presentino spesso insieme, richiamandosi l'un l'altro (probabilmente perché un evento va a sollecitare le faglie vicine).

Effetti simili a quelli del 1812 (Mcs 6-7) si ebbero anche in occasione del terremoto del 1899 ai Colli Albani (Mw 5.18), e in occasione del grande terremoto di Avezzano (1915), di magnitudo Mw 7.0, un potentissimo terremoto il cui epicentro si trova ad una distanza ragguardevole, circa 87 km dal centro di Roma. In quell'occasione a Roma (che comunque era molto più piccola e meno popolata di oggi) non ci furono morti, ma vi furono comunque danni a chiese e monumenti.

Effetti ancora inferiori (Mcs 6) si ebbero in occasione del terremoto dei Colli Albani del 1927 (magnitudo Mw 5.02). Naturalmente il livello Mcs 6 indica che il terremoto è avvertito come forte dalla popolazione, ma per fortuna non produce danni rilevanti.

I Colli Albani hanno conosciuto diversi altri terremoti, in genere di magnitudo Mw compresa tra 4.5 e 5, risentiti più o meno intensamente a Roma.

Oltre al terremoto del 1812, si ricordano alcuni terremoti locali, in genere di non forte intensità, come quello del 1895 di Castelporziano (Mw 4.8), che ebbe effetti Mcs 5-6 al centro di Roma, ma effetti maggiori in quelli che ormai sono diventati quartieri a sud della Capitale (Castel Romano 6-7, Castel di Decima, Castel di Leva, Fiumicino, Ostia Antica, Cecchignola tutti con 6).

In genere i terremoti locali si sviluppano dall'area a sud-est della capitale (come accadde in occasione del terremoto del 1811 di Ciampino, magnitudo Mw 4.83), oppure nella zona a sud (come nel caso della già citata scossa di Castelporziano, o anche di quella più leggera del giugno 1995 di magnitudo Mw 3.6 tra Acilia e Torvajanica), ma a volte possono interessare la zona nord, come il caso della scossa del 1909 di Monte Mario (Mw4.8). 

Il terremoto del 1919 di Anzio, centrato in realtà pochi km a sud di Aprilia, ebbe come intensità una magnitudo Mw 5.53, ed ebbe a Roma un effetto non trascurabile (livello Mcs 5-6).

Pericolosità sismica 

La mappa della pericolosità sismica  (che mostra l'accelerazione orizzontale massima del suolo attesa, in percentuali dell'accelerazione di gravità) relativa alla zona di Roma per un periodo di 475 anni, mostra come la città abbia una pericolosità medio-bassa, ma che sia comunque divisa in due, con una maggiore pericolosità nella zona sud-est:
Pericolosità sismica 10% in 50 anni
Per un periodo di 2475 anni la pericolosità aumenta decisamente, e viene confermata la posizione della città al confine tra aree a pericolosità diversa: la zona sud e sud-est della città assume una colorazione viola, che si riferisce ad un'accelerazione orizzontale di media intensità. Questo vale anche per tutta l'area dei Colli Albani. Un po' meglio se la passa la zona a nord-est della capitale (rossa), e decisamente meglio la zona a nord-ovest, di colore arancione. 
Pericolosità sismica 2% in 50 anni
Naturalmente queste mappe sono calcolate senza considerare le eventuali amplificazioni che possono verificarsi nei terreni sabbiosi, di tipo alluvionale, che purtroppo sono presenti in alcune zone di Roma.

Le faglie 

Tutto l'Appennino è percorso da una serie di faglie. La più vicina a Roma, quella responsabile dei terremoti del 1349 e del 1915, è la Lago del Salto-Ovindoli-Barrea (ITCS025 nel database DISS 3), lunga circa 115 km, che comunque dista non meno di 55 km da Roma. Ad essa sono associati secondo gli studiosi terremoti di magnitudo Mw fino a 6.7 (anche se in realtà il terremoto del 1915 fu di magnitudo 7.0).
Nella zona di Bagnoregio, ad est del lago di Bolsena, non è indicata la presenza di faglie, anche se in realtà vi si sono verificati importanti terremoti (il già citato del 1349, e poi 1655 e 1738).
Vi è poi la piccola faglia dei Castelli Romani (ITCS086), lunga appena una ventina di chilometri, che si distende da nord-est (appena a nord di Rocca Priora) a sud-ovest, appena a nord di Aprilia. Comprende paesi come Nemi, Genzano, Velletri e Lanuvio, e ad essa sono associati terremoti di magnitudo massima 5.6. I terremoti che si verificano nella zona di Anzio dovrebbero appartenere alla stessa faglia, anche se il terremoto del 1919 si è verificato qualche chilometro più a sud della fine indicata della faglia.
La faglia dista nella zona centrale appena una decina di km da Ciampino, e poco più di 20 dal centro di Roma.
Le faglie della zona di Roma

Conclusione

Roma può risentire:
- di una sismicità locale, con terremoti che storicamente sono stati di magnitudo Mw inferiore a 5, centrati in alcune zone della città, preferibilmente sud-est, sud e nord.
- dei terremoti che si possono verificare nella vicina area che va dai Castelli alla zona del litorale verso Anzio, che storicamente non hanno superato la magnitudo Mw 5.6.
- dei terremoti, molto più forti, che si possono verificare lungo l'Appennino, e in particolare nell'area Reatino-Aquilano, che storicamente hanno raggiunto anche la magnitudo Mw 7.

Il risultato è che nel corso della sua lunga storia Roma ha conosciuto un certo numero di terremoti, alcuni capaci di provocare crolli di monumenti e chiese. Tuttavia non c'è mai stato terremoto capace di radere al suolo la città e di provocare un elevato numero di morti nella popolazione, almeno negli ultimi secoli, quando la qualità costruttiva degli edifici è comunque migliorata rispetto all'antichità e al medioevo. Occorre comunque una certa cautela dal momento che i tempi geologici sono più lunghi di quelli storici, e inoltre considerando l'elevato numero di abitanti e la presenza di edifici costruiti senza criteri antisismici. Per conoscere il rischio sismico di una città occorre effettuare una divisione in zone in base all'amplificazione prodotta dal terreno (microzonazione, già effettuata in molte città del nord), perché come abbiamo detto i terreni alluvionali (presenti in alcune zone della città) possono amplificare gli effetti di un sisma; inoltre occorre conoscere il criterio con cui sono stati costruiti gli edifici. L'assenza negli ultimi decenni di terremoti forti come quello di Avezzano (che è stato 50 volte più potente di quello dell'Aquila del 2009 ed è stato anche più vicino a Roma), rende difficile valutare la risposta che gli innumerevoli edifici costruiti negli ultimi decenni potrebbero dare in caso di terremoto di una certa intensità.
Sarebbe bene che la cultura della prevenzione entrasse a far parte del bagaglio culturale degli italiani, e soprattutto delle sue classi dirigenti, e che in ogni città si controllasse che gli edifici siano in grado di sopportare un evento delle proporzioni attese per quell'area. Roma non è la città più a rischio d'Italia, ma non è neanche la più al sicuro, e visto l'elevato numero di abitanti, il danno anche economico di un eventuale sisma di proporzioni anche soltanto moderate potrebbe non essere indifferente.




sabato 21 luglio 2012

Terremoti a Torino



Come abbiamo già fatto per Milano, cerchiamo di analizzare il rischio sismico della città di Torino.
A prima vista Torino sembra essere una città al riparo dai terremoti, almeno se si considera la sua distanza dalle faglie attive che ormai sappiamo esserci in Emilia e Lombardia, per non parlare di quelle ancora più pericolose del Veneto e del Friuli. Ma esiste un rischio locale, dovuto magari alla presenza di altre faglie?

Storia sismica di Torino

I terremoti del passato ci offrono una prima utile indicazione. Anche in questo caso abbiamo utilizzato il sito dell'Ingv, e in particolare la pagina che riporta la storia sismica di Torino (la presentazione del database macrosismico si trova qui) dal 1.000 al 2.000 d.C.
Anche in questo caso distinguiamo gli effetti locali di un terremoto (misurati con la scala Mercalli-Cancani-Sieberg, MCS) dall'intensità dello stesso (misurata dalla scala di Magnitudo del momento sismico, Mw).
I valori interessanti per quanto riguarda gli effetti locali sono quelli che superano il livello 5:

3:  leggera - Avvertita da poche persone.
4 : moderata - Avvertita da molte persone; tremito di infissi e cristalli, e leggere oscillazioni di oggetti appesi.

5 : piuttosto forte - Avvertita anche da persone addormentate; caduta di oggetti.
6 : forte - Qualche leggera lesione negli edifici e finestre in frantumi.
7:  molto forte -  Caduta di fumaioli, lesioni negli edifici.
8:  rovinosa - Rovina parziale di qualche edificio; qualche vittima isolata.

I terremoti veramente distruttivi sono quelli che comportano un'intensità tra 9 e 12 nella scala Mercalli.

A giudicare dai dati dell'Ingv la storia sismica di Torino sembra decisamente modesta, sia come numero di terremoti che come intensità, dal momento che non si è mai raggiunto il livello 7, che rappresenta la cosiddetta soglia del danno.
Storia sismica Torino
Al massimo abbiamo quattro episodi con risentimento locale pari a 6 nella scala Mercalli: nel 1808 (epicentro nella valle del Pellice - Bibiana, magnitudo Mw 5.67), 1855 (Vallese, Svizzera, magnitudo Mw 5.81), 1887 (Liguria occidentale, Mw 6.29), 1914 (Tavernette, Mw 5.36). 
Tuttavia, è curioso che prima del 1700 non risultino terremoti risentiti a Torino. Questo fa ipotizzare che la storia sismica del Piemonte non sia stata studiata a sufficienza, rispetto ad altre regioni, forse a causa della bassa sismicità della zona. 
Andiamo allora a cercare altri dati. Utilizziamo il Catalogo Parametrico dei terremoti italiani, effettuiamo una ricerca su un rettangolo corrispondente grosso modo alla regione Piemonte, e scopriamo che come sospettavamo escono dei terremoti verificatisi prima del 1700. Intanto, escono altri terremoti abbastanza forti ma centrati in Svizzera, dunque lontano da Torino: nel 1375 (Beckenried, Mw 5.57), 1394 (Brig, 5.57); più altri terremoti centrati in Piemonte: nel 1502 (Tarantasca, Cuneese, 5.17), 1541 (Valle Scrivia, Alessandrino, 5.48), 1703 (Villafranca, 5.37), 1767 (Lanzo Torinese, 5.26).
Più forti i terremoti verificatisi nella Liguria occidentale: oltre a quello già citato del 1887, che fu molto forte, ricordiamo quello del 1644 (Mw 5.88).
A quanto pare dunque i terremoti più forti registrati in Piemonte negli ultimi mille anni hanno toccato la magnitudo 5.67: quello della Valle del Pellice del 1808, centrato a circa 40 km da Torino, e quello del 1828 (Valle dello Staffora, Alessandrino, sempre 5.67). Questi sono stati anche gli unici due terremoti che abbiano superato la magnitudo 5.5.
I terremoti più forti che sono stati risentiti nella regione si sono verificati in Liguria occidentale e Svizzera (che hanno anche sfiorato o superato la magnitudo 6), troppo lontano però per avere effetti notevoli anche su Torino. 
I terremoti più forti del Friuli vengono risentiti leggermente a Torino (intorno a livello 3), mentre quello molto forte della Garfagnana del 1920 è stato risentito più intensamente ma senza danno (livello 4-5). Il forte terremoto del Veronese del 1117 dovrebbe aver portato dei danni soltanto nel Piemonte orientale. 

Pericolosità sismica 

La mappa della pericolosità sismica (che mostra l'accelerazione orizzontale massima del suolo attesa, in percentuali dell'accelerazione di gravità) relativa alla zona di Torino per un periodo di 475 anni, conferma come la città sia a bassa pericolosità:
Pericolosità sismica 10% in 50 anni
Anche per un periodo di 2475 anni la pericolosità rimane bassa per Torino, mentre si intensifica il colore nelle zone ad ovest del Piemonte e nell'estremo nord al confine con la Svizzera, oltre che nella zona sud-est (Alessandrino), dove però la pericolosità rimane tutt'al più moderata:
Pericolosità sismica 2% in 50 anni

Le faglie 
I due terremoto del 1808 e del 1914, come il più recente ma meno intenso del 1990 (Canavese, 4.76) sono stati generati dalla piccola faglia del Piemonte occidentale (ITCS023), lunga circa 30 km, che passa da Torre Pellice a None passando per Pinerolo. Ad essa sono associati terremoti di magnitudo Mw fino a 5.7.
Vi è poi la faglia francese Briançonnais (FRCS001), sul versante francese delle Alpi, cui sono associati terremoti di magnitudo massima 5.5.
Le faglie vicino a Torino
Le faglie emiliane e lombarde distano da Torino più di 100 km, come anche quelle del Vallese (Svizzera), quella di Imperia dista circa 130 km, mentre è più vicina quella francese di Briançon, che dista circa 85 km dal capoluogo piemontese.
Interessante il fatto che il database DISS 3 non riporti faglie attive nel basso Piemonte, Cuneese ed Alessandrino. D'altro canto, le vecchie mappe segnalavano tra le faglie, la faglia del Monferrato, che dovrebbe collegare quella emiliana del Piacentino con quella del Piemonte occidentale, rappresentando dunque un'unica struttura sepolta dell'Appennino, parallela a quella emersa. Forse i geologi considerano ormai queste faglie come non più attive.

Conclusione

La storia sismica di Torino e le mappe dell'Ingv appaiono rassicuranti: la pericolosità sismica del capoluogo piemontese è bassa. D'altro canto l'intero Piemonte non ha mai avuto terremoti distruttivi, e non ha mai raggiunto la magnitudo 6.0 della scala Richter.
Se ha ragione l'Ingv e la faglia del Monferrato non è da considerarsi attiva, l'unica faglia attiva vicino Torino è quella del Piemonte occidentale, che peraltro non dovrebbe essere in grado di generare terremoti molto forti.










lunedì 16 luglio 2012

Terremoti a Milano



I terremoti che hanno interessato L'Emilia e il Veneto dall'inizio dell'anno sono stati spesso risentiti a Milano. Normalmente Milano non viene considerata una città sismica, ma questi eventi hanno fatto sì che molti si chiedessero se sia il caso di preoccuparsi anche per chi abita nel capoluogo lombardo.
Per conoscere la pericolosità sismica di una certa zona, si può studiare la sua storia sismica, che ci dice quali e quanti terremoti si sono verificati nel passato, e studiare l'eventuale presenza di faglie nella stessa zona, che potrebbero essere silenti da molto tempo, ma comunque attive e potenzialmente capaci di generare terremoti.

Storia sismica

Per quanto riguarda i terremoti del passato, si può utilizzare il sito dell'Ingv, e in particolare la pagina che riporta la storia sismica di Milano (la presentazione del database macrosismico si trova qui) dal 1000 al 2000 d.C.
Occorre distinguere gli effetti locali di un terremoto (misurati con la scala Mercalli-Cancani-Sieberg, MCS) dall'intensità dello stesso (misurata dalla scala di Magnitudo del momento sismico, Mw, e spesso confusa con la scala Richter, da cui comunque non si discosta molto quanto a valori). Un terremoto di una determinata intensità Mw può provocare effetti diversi in diverse località a seconda della distanza dall'epicentro, del tipo di terreno, e del tipo di edifici presenti.
I valori interessanti per quanto riguarda l'effetto locale sono quelli che superano il livello 5:

3:  leggera - Avvertita da poche persone.
4 : moderata - Avvertita da molte persone; tremito di infissi e cristalli, e leggere oscillazioni di oggetti appesi.

5 : piuttosto forte - Avvertita anche da persone addormentate; caduta di oggetti.
6 : forte - Qualche leggera lesione negli edifici e finestre in frantumi.
7:  molto forte -  Caduta di fumaioli, lesioni negli edifici.
8:  rovinosa - Rovina parziale di qualche edificio; qualche vittima isolata.

I terremoti veramente distruttivi sono quelli che comportano un'intensità tra 9 e 12 nella scala Mercalli.

Come si può vedere, la storia sismica di Milano è tutto sommato modesta, sia come numero di terremoti che come intensità, considerando che il livello 7 (gli effetti locali si vedono nella colonna a sinistra e nel grafico sotto) rappresenta la cosiddetta soglia del danno, che dunque è stata raggiunta una sola volta in mille anni, per l'esattezza nel 1117, in occasione del terremoto del Veronese, che dovrebbe essere stato il più intenso nella storia della Valpadana (la sua magnitudo Mw è stimata tra 6.5 e 6.7, ma comunque il suo epicentro fu all'incirca a 160 km da Milano).
Storia sismica di Milano
Sicuramente la storia sismica della gran parte d'Italia presenta eventi più importanti, per cui tutto sommato Milano si può considerare, riguardo ai terremoti e rispetto ad altre città italiane, una città fortunata.
Riguardo ai terremoti del passato avvertiti nel capoluogo lombardo, possiamo tralasciare quelli risentiti leggermente, come quelli di intensità media che si sono spesso verificati in Emilia, o terremoti più intensi ma lontani, come quelli dell'Appennino centrale, che a Milano hanno prodotto un effetto basso (inferiore a 5), e concentrarci soltanto su quelli che hanno raggiunto un'intensità locale quantomeno pari a 6. Oltre a quello del 1117, il database dell'Ingv ne cita soltanto tre: innanzi tutto quello del 1222, che ebbe come epicentro il basso bresciano, intorno al Lago di Garda, a circa 115 km da Milano, ebbe una magnitudo Mw 6.05 e portò gravi danni nel Bresciano, mentre a Milano il suo effetto (scala Mercalli) fu 6 (attenzione a non confondere il 6 della Scala Richter o Magnitudo momento con il 6 della Scala Mercalli!), quindi al di sotto della soglia del danno. Anche il terremoto del 1755 del Vallese (Svizzera), di magnitudo Mw 5.90, fu risentito a Milano con una intensità notevole (6), ma sempre al di sotto della soglia del danno (l'epicentro era infatti a circa 130 km da Milano). Arriviamo poi, nell'età moderna, al terremoto del Lodigiano del 1951, meno intenso (magnitudo Mw 5.24), ma che per la vicinanza ebbe effetti simili a Milano (sempre 6 nella scala Mercalli). 
Altre fonti riportano poi la notizia di un terremoto del 1396 a Monza, di magnitudo Mw 5.37. Questo terremoto non è riportato nel database dell'Ingv, ma data l'intensità e la vicinanza, si può ipotizzare che il risentimento a Milano sia stato almeno pari a 6. 

Pericolosità sismica 

Sempre dall'Ingv si può ricavare la mappa della pericolosità sismica  (che mostra l'accelerazione orizzontale massima del suolo attesa, in percentuali dell'accelerazione di gravità) relativa alla zona di Milano per un periodo di 475 anni, la quale conferma come la città sia a bassa pericolosità:
Pericolosità sismica Milano 10% in 50 anni
Anche per un periodo di 2475 anni la pericolosità rimane tutto sommato bassa, ma si cominciano a colorare le zone della provincia ad est della città, oltre che le province vicine, di Bergamo, Brescia, Lodi e Pavia:
Pericolosità sismica Milano 2% in 50 anni
Considerando che il colore azzurro si riferisce ad una accelerazione del suolo contenuta, probabilmente i sismologi pensano che il terremoto del Veronese del 1117 abbia un tempo di ritorno superiore a 2475 anni, per questo l'area di Milano rimane esclusa dalla possibilità di un evento che comunque provocò qualche danno, anche per un periodo così lungo.
Diverso è il discorso delle aree ad est di Milano, che come vediamo hanno una colorazione diversa.

Le faglie 
Il terremoto del Lodigiano del 1951, che ricordano in pochi, ci dice già qualcosa di interessante: a non grande distanza da Milano sono presenti delle faglie attive.
Le faglie più vicine a Milano
In questo caso, la faglia classificata come ITCS044 Portalbera-Cremona, che si estende per circa 60 km (dalla zona ad est di Pavia, passando per la zona a nord di Piacenza, fino ad arrivare alla zona a sud di Cremona, e comprende paesi come Belgioioso, San Colombano al Lambro, Casalpusterlengo, Codogno, Monticelli d'Ongina, Castelvetro Piacentino) e da cui ci si attendono terremoti di magnitudo Mw fino a 5.5. La faglia dista circa 30-35 km nella sua parte più occidentale dal centro di Milano, e sostanzialmente rappresenta un avamposto sepolto dell'Appennino.
Ad essa è collegata un'altra faglia, la ITCS018 Rivanazzano-Stradella, lunga circa 30 km, che si estende verso sud-ovest, sul proseguimento della precedente, verso l'Oltrepò Pavese, passando a sud-est di Voghera.
Vi sono poi le faglie alpine, o meglio le strutture alpine sepolte che dal Veronese e dal Bresciano si estendono verso ovest, fino a sfiorare il capoluogo lombardo.
Pochi sanno che nel 1802 nel bel mezzo della pianura padana si verificò un terremoto di una certa consistenza (magnitudo Mw 5.67) nella zona di Soncino e della valle dell'Oglio. Milano, distante circa 50 km dall'epicentro, conobbe un effetto tutto sommato limitato (valore 5 nella scala Mercalli modificata), ma certamente il terremoto fu avvertito con notevole intensità dalla popolazione. La faglia che lo generò fu la ITCS002, la faglia esterna delle Alpi sud-occidentali, che dalla pianura bresciana a sud del Garda, si estende verso ovest, fino ad arrivare alle porte di Milano (Gorgonzola), anche se la sorgente sismogenetica responsabile del terremoto del 1802 si trova nella zona di Romanengo. Secondo i sismologi questa faglia può produrre terremoti fino a magnitudo Mw 6.1, dunque un terremoto forte, superiore a quello del 20 maggio in Emilia.
Vi è poi la ITCS010, la faglia interna delle Alpi sud-occidentali, che dalla città di Brescia si estende verso ovest e poi nord-ovest, passando appena a sud di Bergamo (Dalmine) e poi fino a Merate e Robbiate, a circa 30 km dal centro di Milano. Secondo i sismologi questa faglia può produrre terremoti fino a magnitudo Mw 5.5.
Tra le due vi è una faglia più piccola, la ITCS072 Capriano-Castenedolo, estesa per circa 40 km nella bassa bresciana, e capace di generare terremoti fino a magnitudo Mw 6.1.
Le due faglie delle Alpi-Sud occidentali proseguono senza soluzione di continuità in Veneto e in Trentino, dove sono chiamate faglia Giudicariense (quella più a nord) e faglia del Monte Baldo. Quest'ultima è responsabile del terremoto del 1222, mentre in quella delle Giudicarie si trova la sorgente sismogenetica di Salò. Il terremoto di Salò del 1901 (magnitudo Mw 5.67) produsse effetti di livello 5 a Milano.
Milano può risentire poi dei terremoti delle due faglie svizzere del Vallese, come quello già citato del 1755 (Vallese orientale). Il terremoto del 1117 fu dovuto alla piccola (e per fortuna da allora silente) faglia della pianura dell'Adige, che si estende dalla zona a sud-est di Verona alla zona a nord di Mantova.
Tra le faglie emiliane, le più vicine a Milano sono quelle del Parmense e del Piacentino, le cui parti più occidentali distano rispettivamente circa 85 e 75 km dal centro di Milano.

Conclusione

La storia sismica di Milano e le mappe dell'Ingv appaiono rassicuranti: la pericolosità sismica del capoluogo lombardo è bassa. Tuttavia, la vicinanza con alcune faglie ritenute attive, e capace di generare terremoti abbastanza forti, unita all'elevata popolazione della città e del suo hinterland, che ne aumentano il rischio in caso di evento sismico, suggerirebbe una certa attenzione. L'Italia è un Paese sismico e Milano, sia pur relativamente fortunata rispetto ad altre zone, non fa eccezione.










sabato 14 luglio 2012

Grillo o Berlusconi?


In questi giorni si sono diffuse nella rete reazioni indignate contro Enrico Letta, esponente del Pd, per avere sostenuto in un'intervista al Corriere che il Pdl sia preferibile a Beppe Grillo. Le riserve su Grillo secondo Letta si basano sulle seguenti motivazioni: "In termini di programma di governo ho sentito tre cose da lui: non ripagare i debiti, uscire dall’euro, non dare la cittadinanza ai bambini nati da immigrati in Italia. Io sono all’opposto di queste idee. Preferisco che i voti vadano al PdL piuttosto che disperdersi verso Grillo".
L'aspetto interessante è che le reazioni degli "indignati" contro Letta non si sono basate sui contenuti del suo discorso, ma semplicemente sull'appartenenza alla "casta" dello stesso Letta e del Pd, sul fatto che Letta è il nipote di Gianni Letta, braccio destro di Berlusconi (secondo la solita visione italica per cui la famiglia viene prima di tutto e le colpe dei padri ricadono sui figli, anzi in questo caso addirittura le colpe degli zii ricadrebbero sui nipoti), sull'ipotesi che il Pd starebbe preparando un "inciucio" con il Pdl (inciucio è un altro termine poco sensato che viene usato per lanciare il sospetto di un'alleanza sottobanco o comunque per fini utilitaristici).
Personalmente, comunque, anche se non faccio parte della casta e non preparo inciuci, sono d'accordo con Letta (Enrico). Non che Berlusconi e il Pdl non abbiano difetti, anzi. Il Pdl è un partito personale, espressione degli interessi privati e personali del suo capo. La percentuale di suoi esponenti coinvolti in fatti giudiziari è molto elevata. Nel corso degli anni 2000, prima come Forza Italia-An e poi come Pdl, ha governato per circa otto anni, non intervenendo sui problemi strutturali dell'Italia, e lasciandola scivolare in un lento declino.
Tuttavia, quando ha vinto le elezioni è stato votato da milioni di italiani che lo hanno liberamente scelto, non ha preteso di imporre alla maggioranza la volontà della minoranza, non ha preteso di dire ai cittadini quello che dovevano fare.
Ora, chi è Grillo? Sarebbe preferibile a Berlusconi? Naturalmente per dare un giudizio completo, occorrerebbe vederlo all'opera. Tuttavia, ci si può basare su alcuni indizi, per vedere se si può considerare un uomo affidabile. Vediamone alcuni, che lasciano seri dubbi. Grillo è proprietario del marchio del suo movimento, per cui può cacciare chi vuole, come un despota. Sostiene che i figli degli immigrati non abbiano diritto alla cittadinanza; ha elogiato l'Iran, sostenendo che sia meglio di Israele: l'Iran che viola i più elementari diritti umani (mentre insulta tutti i giorni i nostri politici, che almeno non mandano in galera e non torturano nessuno); sostiene che la mafia sia migliore dello Stato, perché non uccide nessuno (!), e inoltre ha difeso la Lega e Bossi.
Ha sostenuto panzane come quella del latte che va bevuto crudo, o quella del signoraggio. Ha sostenuto che dobbiamo uscire dall'Euro. Poi come ho già detto più volta, insulta quelli che non la pensano come lui (e a giudicare dal linguaggio che usano gli "indignati" nei social network, direi che in questo ha fatto scuola).
Che credibilità può avere un uomo così? Be' io non so se sia meglio o peggio di Berlusconi, diciamo che è una bella lotta.

martedì 3 luglio 2012

I Giornali di destra e la Merkel

In seguito alla vittoria della nazionale italiana agli europei di calcio contro la Germania, i giornali di centro-destra, Libero e il Giornale (del quale mi sono occupato tempo fa), hanno "deliziato" i loro lettori con due prime pagine dal contenuto simile, che riprende l'epiteto che Berlusconi rivolse alla cancelliera tedesca Merkel in un'intercettazione di qualche tempo fa.
Raffinata l'ironia di Libero:

Ancora più oxfordiano il Giornale:

E pensare che i quotidiani dovrebbero rappresentare uno spazio di riflessione e di approfondimento, e si dovrebbero rivolgere all'élite del Paese, a quella minoranza dei cittadini che si prende la briga di acquistare un quotidiano per essere informato in maniera approfondita dell'attualità politica e non solo.
I giornali quotidiani hanno un ruolo se si vuole istituzionale, dal momento che hanno il compito di formare l'opinione pubblica, sia pure quella parte costituita dai propri lettori, che ne condividono la visione del mondo e della società. In questo senso si spiegano i contributi pubblici all'editoria, che dovrebbero garantire il mantenimento del pluralismo dell'informazione e delle idee.
Evidentemente i giornali vicini al centro-destra, e in particolare al Pdl di Silvio Berlusconi, hanno deciso di interpretare in questo modo il proprio ruolo. Non so quanti lettori abbiano questi giornali, al netto delle copie gratuite e degli altri espedienti per aumentare la tiratura, che sono tipici dell'editoria italiana, ma certamente da questi titoli non esce bene la destra italiana. Immagino che per loro questo linguaggio sia divertente, ma all'estero non la pensano certamente così, e visto che in questo modo fanno fare una figuraccia all'Italia intera, forse farebbero bene ad usare questo linguaggio nelle loro riunioni private, dove potranno divertirsi con le barzellette berlusconiane ed amenità consimili, piuttosto che far conoscere a tutti i contenuti eccelsi del loro pensiero.
Anche il solito insulto nei confronti delle donne, che vengono regolarmente giudicate per il loro aspetto fisico, non deve dare molto fastidio, in chi sostiene quel Silvio Berlusconi di cui è noto lo stile di vita e il pensiero sviscerato in tante battute e barzellette; d'altro canto ricordiamo cosa pensava chi ne frequentava i "party notturni".
Sarebbe però troppo facile limitarsi a rilevare il basso livello culturale della destra italiana. Se questa destra ha ottenuto la maggioranza ed è stata al governo per tanti anni, evidentemente è lo stesso livello culturale degli italiani che lascia a desiderare. Quindi è inutile farsi troppe illusioni: ci vorranno intere generazioni prima che la sensibilità dell'italiano medio consideri offensivo e insultante per la propria intelligenza prima ancora che per l'oggetto dell'insulto stesso, un titolo come quelli che quasi tutti i giorni ci propongono Libero e il Giornale.