sabato 21 dicembre 2013

L'Italia non è un PIGS

Nel 2010 un oscuro ma valente economista scriveva:
"There has been some debate in the media about the meaning of the capital “I” in the
PIGS acronym. We belong to those that believe that the “I” country is Ireland, rather than Italy. This conclusion does not rest on nationalism (an attitude that economic crises usually foster, but that should not shape economic reasoning), but on the analysis of some key macroeconomic indicators. First, according to the last release of the World Economic Outlook database (IMF 2010), unlike Portugal, Ireland, Greece and Spain, Italy did not feature a two digit government deficit in 2009, while being at the same time the only country in this group with positive growth prospects for 2010;7 this means that Italy was able to withstand the impact of the global financial crisis thanks to its structural features (in particular, to its high rate of private saving) rather than by loosening the public purse strings. Second, unlike Portugal, Ireland, Greece and Spain, in the decade since the inception of euro Italy featured a below unity inflation differential with Germany;this means that the Italian economy did not experience as dramatic a loss of competitiveness as PIGS did. This casual evidence is reinforced by more formal econometric testing."
"This suggests that external debt (be it private or public) rather than public debt per se should be a matter of concern.
Take Italy as a counterexample. As a matter of fact, Italy has withstood so far the global financial crisis, despite having a debt of around 120 GDP points. In 2007 its public debt was 117 GDP points, larger than the Greek one, but its external debt was only 21 GDP points (as compared to 104 GDP points in Greece). Another counterexample is provided by Japan, that has the largest public debt worldwide (over 200 GDP points, some 17% of world
GDP). Nobody is worried by a Japanese financial crisis, perhaps because Japan is also the largest net external creditor, with net foreign assets equal to about 50% of its GDP."

In sostanza, questo economista sosteneva che l'Italia non può essere annoverata tra i cosiddetti PIGS, e che la sua economia era uscita indenne dalla crisi perché pur avendo un debito pubblico elevato, aveva risparmi privati elevati, e d'altro canto non aveva sperimentato un differenziale di inflazione con la Germania e dunque non aveva perso competitività rispetto ad essa.
Il documento si può trovare qui.
Ma chi era questo economista negatore della crisi italiana? Ebbene sì, lui, Alberto Bagnai. Quello che nel 2011, nel pieno della crisi dello spread, apre un blog e comincia a sostenere che dobbiamo uscire dall'Euro, che la Germania nazista ci vuole sottomettere, e altre amenità. Un cambiamento radicale in una tempistica a dir poco curiosa!
Ma chi aveva ragione, il Bagnai versione 2010 o il Bagnai versione 2011?
Evidentemente, il primo. Infatti, è evidente che l'Italia non è un PIGS.
I sostenitori dell'uscita dall'Euro portano come argomento principale il fatto che la crisi dei PIGS (Paesi periferici dell'area Euro: Portogallo, Irlanda, Spagna, Grecia) sia dovuto ad uno squilibrio nella bilancia commerciale, per cui l'eccessivo indebitamento con l'estero avrebbe poi provocato la crisi quando, in seguito alla crisi finanziaria del 2008, i capitali sono fuggiti lasciando questi paesi pieni di debiti privati, che poi sono stati trasferiti nel settore pubblico, il quale a sua volta ha dovuto salvare le banche aumentando il proprio debito. In pratica si dice: "siccome la Spagna e l'Irlanda hanno subito la crisi dell'Euro, l'Italia deve uscire dall'Euro". Bel modo di ragionare! Tutto ciò avrebbe senso se anche l'Italia avesse subito le stesse conseguenze. Ma è andata così? Evidentemente no.
Prima della crisi iniziata nel 2008 l'Italia non ha conosciuto alcun boom dovuto a bolle speculative a loro volta causate da investimenti dall'estero, tanto è vero che la sua economia è rimasta stagnante nei primi anni 2000. Il suo peggioramento nella bilancia commerciale è stato relativo e dovuto più all'aumento del prezzo del petrolio e alla concorrenza con paesi extra-Ue che esportavano merci a basso valore aggiunto, che all'invasione di prodotti tedeschi. Paul Krugman, non certo sospettabile di essere un economista pro-Euro o pro-Germania, dice: “Italy is often grouped with Greece, Spain, etc. in discussions of the euro crisis. Yet its story is quite different. There were no massive capital inflows; debt is high, but deficits aren't”.
D'altro canto, l'indebitamento totale dell'Italia è inferiore a quello dei PIGS. La crisi dell'Italia è tutto sul debito pubblico, ed è stata dovuta alla fuga dei detentori esteri del debito pubblico, i quali hanno temuto che, nell'ambito di una crisi generalizzata dell'Euro, l'Italia, avendo il debito più alto associato a bassa crescita, non fosse in grado di sostenerlo.
D'altro canto, alcuni paesi non-Euro hanno avuto lo stesso tipo di crisi da tassi di interesse bassi, debito estero e bolle (Usa, Uk, Islanda, Ungheria, Romania). Dunque, se è vero che l'Euro, abbassando i tassi di interesse dei paesi periferici e rendendoli più credibili e più appetibili per gli investimenti esteri, ha favorito la nascita delle dinamiche che poi allo scoppio della crisi ne hanno provocato il collasso, non è una causa necessaria per questo tipo di dinamiche. E curioso ad esempio che nessuno parli dell'Islanda che, fuori dall'Euro, ha avuto più o meno gli stessi problemi dell'Irlanda, dentro l'Euro.

mercoledì 11 dicembre 2013

I mitici anni 70


Secondo i critici "di sinistra" dell'Euro, si dovrebbe uscire dall'Euro e tornare ad un sistema come quello degli anni '70, in cui la banca centrale era sotto controllo del governo, che poteva dunque farle stampare la moneta necessaria a sostenere le sue spese; se questo generava inflazione (infatti negli anni '70 l'inflazione era al 20%) secondo loro questo non costituiva un problema, perché con la scala mobile i salari recuperavano il terreno perduto con l'aumento dei prezzi. Infatti negli anni '70 il Pil cresceva, i salari reali crescevano, e dunque andava tutto bene. I problemi, sostengono sempre questi "opinionisti" della rete, sono sorti negli anni '80, o meglio a partire dal 1981, quando il "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro spinse in alto i tassi di interesse. Il raddoppio del debito pubblico italiano degli anni '80 fu dunque dovuto al maggior tasso di interesse, e non alla spesa pubblica improduttiva o clientelare. Dunque, il famigerato Caf (Craxi Andreotti Forlani) viene riabilitato, la corruzione non c'entra niente, è tutta colpa della politica monetaria. Torniamo alla sovranità monetaria!
Ma cosa c'è di sbagliato in questa tesi?
Un piccolo particolare, e cioè che il debito pubblico cresceva anche negli anni '70. Magari meno che negli anni '80, ma cresceva anche negli anni '70, durante i quali passò dal 40% al 60%, il che significa che aumentò della metà. Questo da solo basta a smentire i sostenitori degli anni '70 come di un'epoca in cui tutto andava bene. E' infatti evidente come sul lungo periodo un sistema in cui il debito pubblico tende ad aumentare della metà ogni dieci anni sia insostenibile.
Guardando il grafico, si vede come l'aumento del debito pubblico si sia verificato più o meno in un periodo che va dal 1964 al 1994: all'interno di questo periodo è abbastanza inutile distinguere periodi "buoni" e periodi "cattivi", a meno che non si voglia decidere se sia meglio un calcio o un pugno.
Ma perché negli anni '70 il debito pubblico aumentava? semplice, perché lo Stato cercava di tenere in piedi con iniezioni di spesa pubblica un sistema che da solo non si reggeva.
E questo fa cadere anche la tesi secondo la quale la spesa pubblica si ripaga da sola, perché fa aumentare la domanda. In parte è vero che fa aumentare la domanda, ma evidentemente questo non è sufficiente a ripagare l'aumento della spesa. In pratica, non è vero che la spesa pubblica si autofinanzia sempre e comunque: lo fa solo se è produttiva, cioè se è finalizzata a costruire qualcosa che darà un ritorno economico. E questo è provato dal fatto che, ogni volta che un Paese ha dovuto sostenere un forte aumento della spesa pubblica per fare una guerra (come ad esempio gli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, durante la quale il debito pubblico passò in pochi anni dal 40% al 120% del Pil) il debito pubblico ha conosciuto un forte aumento, anche se tutta la popolazione era impegnata a tempo pieno a lavorare.
Dunque, i sostenitori degli anni '70 come di un Paradiso economico si ingannano. Negli anni '70 lo stato spendeva a deficit, più di quanto incassasse, cioè la sua spesa non era produttiva, non generava valore, non generava un ritorno economico. Però siccome lo stato controllava la banca centrale, la usava per stampare la moneta di cui aveva bisogno, generando inflazione che in parte compensava l'aumento del debito. Dunque il debito cresceva sì, ma meno di quanto sarebbe stato se non avesse stampato moneta, perché stampando moneta scaricava una parte delle sue spese sui cittadini.
Dunque già negli anni '70 l'Italia cercava di nascondere sotto il tappeto il difetto di competitività che aveva rispetto agli altri paesi europei con iniezioni di spesa pubblica; negli anni '80 si cambiò paradigma, e venne ridotta l'inflazione separando Tesoro e Banca d'Italia e abolendo la scala mobile, ma per il resto non si affrontarono le radici del problema, cioè non si ridusse la spesa pubblica improduttiva, e dunque il debito pubblico continuò a crescere, a ritmi ancora superiori perché giustamente il mercato, cioè gli investitori italiani ed esteri, esigevano interessi elevati per ripagare il rischio di acquistare il debito di uno stato così poco affidabile. Dunque si fece, come al solito in Italia, una riforma a metà, anzi si posero le premesse per una riforma che poi non si fece. Invece gli Stati che non avevano un deficit strutturale, come la Germania, cioè non spendevano sistematicamente più di quanto incassavano, si finanziavano tranquillamente il loro debito sul mercato. Quindi i tassi di interesse elevati negli anni '80 non erano la causa del debito, ma la conseguenza di uno Stato con conti pubblici non a posto (cioè in deficit strutturale).
Nel 1992 con la crisi valutaria, cominciarono le manovre lacrime-e-sangue, che ridussero il deficit strutturale, ma lo fecero non riducendo (se non di poco) la spesa pubblica improduttiva, ma aumentando le tasse, e dunque condannando l'Italia ad una stagnazione che dura tuttora.
Che ci piaccia o no, non è possibile essere ricchi se non si è efficienti e produttivi. Purtroppo, spesso i desideri si scontrano con la realtà. Solo che gli adulti se ne rendono conto, e si adattano alla realtà dei fatti. I bambini no.
In ogni caso, anche se tutta questa ricostruzione fosse sbagliata, i teorici degli "anni-70-paradiso" dovrebbero spiegare come mai negli anni '70 il debito pubblico sia aumentato, contraddicendo le loro teorie farlocche sulla spesa pubblica sempre buona, sull'inflazione che non è un problema e sui tassi di interesse come unica causa del debito pubblico.