lunedì 9 giugno 2014

Renzi è di destra?


La rapida ascesa di Matteo Renzi ha provocato non pochi mal di pancia tra gli elettori tradizionali di sinistra, anche se la sua netta vittoria alle primarie di fine 2013, sia tra i delegati che tra gli elettori, ha certificato un cambiamento di opinione della maggioranza di essi, che l'anno prima gli aveva preferito Bersani. Tuttavia, molti, in quella che ora è diventata la minoranza Pd, ma anche tra gli elettori della sinistra radicale, continuano a pensare che Renzi sia di destra, una sorta di Berlusconi infiltrato nel Pd.
Ma quanto c'è di vero in questo?
Ovviamente, per rispondere a questa domanda dobbiamo prima chiederci se la distinzione destra/sinistra sia ancora valida, e in ogni caso, cosa significhi essere di sinistra.
I motivi per cui Renzi non viene considerato di sinistra, al di là del suo abile uso del mezzo televisivo per comunicare e del suo uso di un linguaggio più semplice e incisivo e del suo modo di fare meno paludato rispetto ai politici tradizionali, si trova nel suo richiamo a concetti quali la crescita dell'economia e il riconoscimento del merito, oltre alla sua provenienza dal partito popolare, dunque alla sua storia di centro. Scartiamo subito quest'ultimo aspetto: se provenire dal centro è sufficiente per scomunicare qualcuno, allora il Partito Democratico non si doveva fare, e il partito del filone Pci-Pds-Ds doveva continuare ad avere come discriminante quella di avere un puro pedigree di sinistra. In questo modo non si sarebbero mai vinte le elezioni, ma ci si sarebbe potuti guardare allo specchio e sentirsi superiori, senza la responsabilità di dover governare, un po' come fanno i grillini oggi. Oppure si poteva andare avanti con l'opzione D'Alema-Bersani: si rimane nel fortino in cui ci si sente superiori, però dopo aver constatato che da soli non si vincono le elezioni, si accetta di allearsi con forze di centro, e persino di centro-destra, pur di governare. In questo modo, però, come si è visto, si perdono consensi e comunque si scontenta il proprio elettorato.

Ma torniamo a Renzi. In primo luogo va detto che la politica non è una scienza esatta, ma consiste nel cercare di portare avanti i propri principi, adattandoli alla realtà della propria epoca. E quando la realtà cambia, bisogna avere l'intelligenza e la flessibilità sufficienti per cambiare. Pensare di poter applicare oggi le ricette di cinquant'anni fa è semplicemente illusorio. Ora, negli ultimi decenni la sinistra aveva ignorato il tema della crescita, ma questo è per forza un carattere distintivo della sinistra? A ben guardare no: quando l'Italia era ancora un Paese non sviluppato, i dirigenti di sinistra, comunisti e socialisti, o almeno i più consapevoli di essi, promuovevano delle politiche di sviluppo volte a far uscire dallo stato di povertà endemica le cosiddette masse popolari. Del resto, nell'ideologia marxista-leninista, lo sviluppo dell'industria pesante è una condizione necessaria per industrializzare la società e creare le basi per il progresso sociale (il motto di Lenin era: elettrificazione più soviet). Dunque, non è vero che la crescita sia un tema estraneo alla sinistra. Viceversa, all'inizio del dopoguerra, in Italia la Confindustria pensava che il Paese sarebbe rimasto per gran parte agricolo, e non immaginava che potesse diventare un Paese industrializzato e dal benessere diffuso. E il ventennio berlusconiano ci ha mostrato una destra occupata soltanto a difendere le proprie posizioni di rendita e privilegio, mantenendo il Paese bloccato e senza crescita. Dunque, non è vero neanche che la destra sia interessata sempre e comunque alla crescita. Spesso la destra è un ostacolo alla crescita, nella misura in cui difende i gruppi sociali che già ce l'hanno fatta e si sono ricavati un posto al sole. E questo è tanto più vero in un Paese corporativo come l'Italia.

Ma allora perché in Italia si fa fatica a pensare che la crescita sia un tema di sinistra? A mio avviso, la ragione si trova nella storia degli ultimi decenni. Con il boom economico, l'Italia si ritrovò ad essere un Paese che correva verso il benessere, e nello stesso tempo si imborghesiva, così che i valori del consumismo e dell'edonismo diventavano predominanti. La reazione della sinistra, basi vedere le analisi che faceva Pasolini, furono principalmente le seguenti: dare per scontato che la crescita ormai c'era e sarebbe durata, non vederla di buon occhio nella misura in cui imborghesiva la società, e però cercare di sfruttarla per redistribuire il reddito e fare riforme che consentissero un progresso civile. E così dopo il 1963, arrivarono le pensioni sociali e il diritto di famiglia, l'aborto e il divorzio, lo statuto dei lavoratori e la scala mobile. La ricchezza già c'era, e la sinistra pensava solo a sfruttarla per migliorare le condizioni delle masse.


Ma con la crisi degli anni '70, la destra liberale diede vita ad una controffensiva, con Reagan in America e la Thatcher in Europa, per aumentare di nuovo i profitti che si stavano erodendo. E così la sinistra si mise a "resistere", cercando di salvare quanto aveva conquistato nei decenni precedenti. Ma è solo in Italia che la sinistra costruì una mitologia basata sul conflitto come mezzo necessario per ottenere risultati, e questo perché in Italia la stagione del conflitto coincise con la stagione del progresso (anni '60/'70). E così ancora oggi, molti elettori di sinistra pensano che essere di sinistra significhi combattere contro i "padroni", scioperare, dire di no, essere contro, essere all'opposizione ecc. Invece in altri Paesi lo stato sociale è stato introdotto senza i conflitti che ci furono da noi, basti pensare che in Gran Bretagna lo stato sociale fu introdotto dal primo governo dopo la guerra, quello di Clement Attlee insediatosi nel 1945.

In ogni caso, oggi la situazione è cambiata: in Italia l'economia non cresce da vent'anni, e dopo la crisi, il Pil è sceso del 10%. In queste condizioni, ignorare il tema della crescita e pensare soltanto a redistribuire la torta, quando la torta diventa sempre più piccola e l'Italia rischia di diventare un Paese povero, è semplicemente assurdo.
Ecco perché la sinistra radicale, quella guidata dai vari Bertinotti e Diliberto, che voleva solo combattere, resistere e redistribuire, è praticamente scomparsa. E così rischiava di scomparire anche quella più moderata dei vari D'Alema, Bersani, Fassina e Cuperlo, che è rimasta per anni in una condizione di ambiguità, che però prima o poi doveva essere sciolta.
E così una parte dei voti della sinistra radicale, quelli che sono sempre contro a prescindere, è confluita nel Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, trovando in lui una base per sognare un mondo totalmente diverso, senza sapere bene come dovrebbe essere fatto.
E d'altro canto la crisi ha anche scardinato la destra, dato che le imprese che si confrontano nel mercato e non hanno santi in paradiso, hanno per forza di cose abbandonato Berlusconi e la Lega, che nei lunghi anni di governo si erano limitati a difendere l'esistente, senza ridurre la burocrazia, e senza rendere più efficiente il sistema, dato che il loro elettorato era tutto sommato benestante e non chiedeva riforme particolari, se non un po' di tasse in meno, ma senza soffrire particolarmente se queste non scendevano. Ora che la stessa base industriale italiana rischia di scomparire, l'alleanza tra le piccole e medie imprese e le categorie protette che sono rimaste con la destra (avvocati, notai, imprese che lavorano per lo Stato ecc.), è venuta meno.



Ecco spiegato il fenomeno Renzi: l'Italia è in declino, e le categorie privilegiate, sia quelle tradizionalmente di sinistra (pensionati, operai delle grandi imprese, dipendenti pubblici intoccabili), sia quelle tradizionalmente di destra (professionisti, pensionati e dirigenti pubblici benestanti o ricchi, aziende protette e fuori dal mercato) sono sempre meno numerose. Se la nave rischia di affondare, bisogna fare qualcosa, non si può rimanere chiusi dentro, a "resistere" (sinistra radicale) o a festeggiare (destra berlusconiana), e naturalmente neanche a gridare (grillini).

Dunque Renzi è di sinistra perché non vuole distruggere ma salvare lo stato sociale, facendo crescere l'economia e riducendo un po' di privilegi, un po' come fecero Blair in Gran Bretagna e Schroeder in Germania. Poi è chiaro che se c'è la crescita, in un'economia di mercato ci sarà anche qualche imprenditore che si arricchisce, ma se preferiamo diventare tutti più poveri pur di non darla vinta ai "capitalisti", basta dirlo. Io non sono d'accordo, ma rispetto questo punto di vista.

C'è anche chi teme che introducendo un po' di meritocrazia, l'Italia diventi una giungla come gli Stati Uniti, dove chi rimane indietro finisce per strada. Non scherziamo. Intanto in Europa c'è una cultura diversa, meno individualismo e più società. E poi, in America c'è un'enorme concentrazione di capitali, ed i mezzi di informazione sono in mano alle corporation. In Italia le grandi aziende sono pochissime, e quelle che ci sono fuggono (vedi la Fiat). Rifiutare di introdurre un po' di concorrenza in Italia per paura di diventare come gli Stati Uniti, sarebbe come se un obeso rifiutasse di sottoporsi ad una dieta dimagrante per paura di diventare anoressico. La politica, se è intelligente, cerca di affrontare i problemi che si pongono al momento. Per ora il problema dell'Italia è evitare il declino, quindi noi dobbiamo affrontare questa malattia e non un'altra.

domenica 8 giugno 2014

I nodi di Hartmann


I nodi di Hartmann sono dei punti in cui si incontrano le linee che costituirebbero una rete, secondo la teoria formulata dal medico Ernst Hartmann nel 1950. Questa rete o griglia sarebbe composta da rettangoli larghi 2 metri e mezzo e alti 2 metri. Chi si trova a stazionare in corrispondenza dei nodi soffrirebbe delle cosiddette "geopatie". La rete, detta rete di Hartmann, sarebbe causata da determinati raggi, chiamati "raggi della Terra" o "raggi tellurici". Stazionare a lungo in corrispondenza dei nodi, ad esempio avendo il letto posizionato nel punto sbagliato, potrebbe causare delle malattie, tra cui il cancro. Chi si sveglia sempre stanco farebbe bene a correre ai ripari!
In seguito, queste teorie sono state sviluppate nella cosiddetta "geobiologia", che cercherebbe di misurare gli "aspetti energetici" di un determinato luogo, ed è stata collegata ad alcune credenze come il Feng Shui, ed è utilizzata nella bioarchitettura, che si occupa di progettare case a prova di "energia negativa".
La spiegazione che viene data riguardo a questi raggi è di tipo vagamente scientifico, dato che si parla di "radiazioni gamma-ionizzanti" e di "onde elettromagnetiche".
La "scienza ufficiale" non avrebbe accolto queste teorie, per via degli "interessi" che avrebbero le case farmaceutiche a nasconderci la verità, e a venderci medicine che non ci curano o magari addirittura ci fanno ammalare.

Ma cosa può fare un profano di fronte ad una teoria come questa? Come può sapere se è vera oppure no?

In primo luogo, deve fare una piccola verifica sulle proprie conoscenze. Cosa so io di questo argomento? Nel caso specifico, si parla di malattie, ma soprattutto di fisica. Quali sono le mie conoscenze di fisica, per sapere se questi concetti esprimono qualcosa di reale? Ad esempio,nei libri di fisica, questi "raggi della Terra", si trovano? Se ho dei dubbi, posso consultare un manuale, oppure cercare informazioni in rete, naturalmente scegliendo le fonti autorevoli (se non so neanche distinguere le fonti autorevoli, devo stare ancora più attento). E scoprirò che dei "raggi della Terra" non si parla né nei manuali di fisica, né ad esempio su Wikipedia. Quindi, anche se cercano di ammantare di scientificità questa teoria, associando questi raggi alle onde elettromagnetiche, che effettivamente esistono, i loro autori però basano la loro teoria su qualcosa che non è mai stato osservato e di cui nei libri di fisica non si parla, i fantomatici "raggi della terra". E questa è una tipica mossa pseudoscientifica: si accostano concetti scientifici a cose inesistenti. D'altro canto, come sappiamo non esiste una "scienza ufficiale" a cui si contrapporrebbero delle "scienze alternative". La scienza è una sola, e soprattutto quelle branche che sono note da tempo come l'elettromagnetismo, è difficile che si siano "perse" un fenomeno come questo: se veramente esistesse una forma di onde elettromagnetiche che costituisce una rete intorno alla terra, non si vede come mai la scienza (quella che conosce bene le onde elettromagnetiche, tanto è vero che le usa per gli scopi più diversi, dai telefoni cellulari ai forni a microonde), non dovrebbe essersene accorta. Anzi, visto che per quanto se ne sa le onde elettromagnetiche non si dispongono a griglia, questa sarebbe una forma ben strana di onde, che contraddirebbe le conoscenze attuali sull'elettromagnetismo. Il che ci potrebbe pure stare (del resto Einstein ha contraddetto la fisica classica, creando però al suo posto una teoria alternativa), ma prima di fare un passo del genere, di buttare a mare secoli di osservazioni, bisognerebbe portare delle prove.
In secondo luogo, per farmi un'idea su una teoria che non conosco, devo usare l'intelligenza, e chiedermi quali sarebbero le conseguenze qualora la teoria fosse vera. Se veramente esistessero dei punti in cui una radiazione di un qualunque tipo è molto più elevata che altrove, e questo producesse dei danni agli esseri viventi, l'erba o gli alberi non dovrebbero crescervi. Guardando un prato, dovremmo osservare una rete di rettangoli in cui l'erba non cresce. Oppure, una casa o una via che sono state costruite con le camere da letto proprio in corrispondenza di una delle linee, potrebbe avere, con una grande quantità di camere e di letti in corrispondenza dei nodi, un'insolita quantità di malati e di morti. Oppure gli uccelli in gabbia, che a differenza degli umani non possono spostarsi almeno durante il giorno, dovrebbero morire qualora si trovassero in corrispondenza dei nodi. Se invece tutto ciò non accade, evidentemente questi nodi o non esistono, oppure i raggi che vi passano non sono così pericolosi. Del resto, lo stesso Hartmann ipotizzò che negli ospedali, i malati posizionati nei letti che si trovavano in corrispondenza dei nodi, tendevano più facilmente a morire. Strano però che né lui né i suoi seguaci siano mai riusciti a dimostrare una cosa del genere, eppure di ospedali nel mondo ce ne sarebbero abbastanza per accorgersi di un fatto del genere: ci sarebbero certi letti "maledetti" in cui i pazienti ricoverati su di essi, morirebbero sempre. Ecco un punto fondamentale che segna la differenza tra chi fa scienza e chi non la fa: i primi fanno un'ipotesi ma poi cercano di verificarla, i secondi fanno un'ipotesi, e poi la danno per vera senza verificarla.
Qualcuno però potrebbe obiettare che questi nodi potrebbero comunque esistere. Effettivamente, potrebbero esistere. La scienza non dice che una cosa non esiste. Solo, pretende che chi sostiene che una certa cosa esista, porti le prove. L'onere della prova spetta a chi sostiene che una certa cosa esista. E la sua teoria deve essere verificabile. Se dopo più di 60 anni dalla teoria di Hartmann, questi fantomatici raggi tellurici non sono stati scoperti, né è stato dimostrato che dormire o trovarsi per molto tempo in una certa posizione aumenti il rischio di ammalarsi, c'è una buona probabilità che la teoria non sia vera.
Un modo per far credere di "saperla lunga", da parte degli autori di queste teorie pseudoscientifiche, è pubblicare bibliografie o citazioni di dottori, professori ecc. Il problema è che chiunque può scrivere un libro, se trova un editore che, fiutando l'affare, è disposto a pubblicarglielo (il pubblico che acquista certe cose si trova sempre...), inoltre è possibile autoprodursi un libro, ed è ancor più facile scrivere lunghissime pagine su internet, e poi usarle come "prova", magari linkandosi a vicenda con altri autori di pagine simili. Ma per provare qualcosa in ambito scientifico non basta scrivere qualcosa, bisogna anche convincere la comunità scientifica, portando prove.

Dunque, di fronte ad una teoria di cui non aveva mai sentito parlare, l'atteggiamento migliore per il profano, per chi non è esperto di scienza, è chiedersi se sia riconosciuta dalla scienza "ufficiale", e se non lo è, non crederci, o almeno essere fortemente scettico.

Vi è poi un altro aspetto interessante: nonostante il fatto che si contrappongano alla "scienza ufficiale" che sarebbe corrotta dagli "interessi", si scopre che anche i sostenitori di questa e altre teorie non sono privi di interessi, dato che vendono libri, riviste e persino dei dispositivi per rilevare la presenza di queste fantomatiche "radiazioni" e per "riequilibrarle".
Dunque, un'altra domanda che il profano si può porre è: con questa teoria alternativa, c'è qualcuno che ci guadagna? dietro di essa c'è un business? Se sì, aumenta ulteriormente la probabilità che sia una bufala.

sabato 7 giugno 2014

Il Fiscal Compact: un cappio al collo?

Negli ultimi tempi si parla molto del Fiscal Compact, cioè di quel trattato, sottoscritto nel 2012/2013 dai Paesi dell'area Euro, che impone ai singoli Paesi di rispettare alcune regole di bilancio a partire dal 2016, dal pareggio di bilancio da conseguirsi ogni anno, alla riduzione del debito pubblico, fino a portarlo al 60% in venti anni.
Un aspetto interessante è che in Italia si parla di Fiscal Compact più che negli altri Paesi europei, e alcune forze politiche lo hanno usato come argomento durante la campagna elettorale per le europee.
In un certo senso ciò è comprensibile, perché l'Italia è uno dei Paesi con il debito più alto, quindi la richiesta di abbassarlo, portandolo al 60% in vent'anni, si traduce per l'Italia in una maggiore attenzione ai conti pubblici, rispetto a Paesi che partono con un debito più basso.


                                                       (dal blog di Beppe Grillo)

Tra le posizioni più radicalmente contrarie si distingue quella di Beppe Grillo, secondo cui "Il Fiscal Compact ammazza l'Italia", perché ci costringerebbe a fare una manovra da 50 miliardi l'anno per vent'anni (scrive Grillo: "In questa situazione il Fiscal Compact, che taglierebbe la spesa pubblica dai 40 ai 50 miliardi all'anno per vent'anni in mancanza di una fortissima crescita, del tutto impossibile, è irrealistico. Consegnerebbe l'Italia alla miseria con tagli neppure immaginabili alla spesa sociale, dalla scuola alla sanità, e ucciderebbe ogni possibilità di ripresa. Il Fiscal Compact lo ha firmato il signor Rigor Montis e lo ha ratificato il parlamento delle larghe intese che lo ha sostenuto. Il Fiscal Compact lo paghino Berlusconi, il pdexmenoelle, Napolitano e Monti se vogliono. Il M5S lo cancellerà."). Se fosse vero questo, Grillo avrebbe sicuramente ragione, ma in questo caso ci dovremmo domandare: come è possibile che i governi europei abbiano sottoscritto un trattato simile? I paesi col debito più basso dovrebbero essere veramente sadici, a costruire un meccanismo che ucciderà le economie di quelli col debito più alto (a cominciare da Italia e Grecia), e questi ultimi dovrebbero essere veramente masochisti ad aver sottoscritto un vincolo così micidiale. Ma dato che le economie sono interconnesse, e che se crollasse un'economia grande come quella italiana, si trascinerebbe con sé il resto d'Europa, e potrebbe anche provocare una nuova crisi mondiale (come si temeva nel 2011, nell'anno dello spread, quando gli occhi del mondo erano puntati, con preoccupazione, sull'Italia), in ultima analisi, più che "criminale", il Fiscal Compact sarebbe una misura folle e suicida.

Tuttavia, a ben guardare le cose non stanno così. Infatti, in condizioni normali già da solo il pareggio di bilancio rende quasi automatica la diminuzione del debito pubblico: se ogni anno lo stato non si indebita ulteriormente rispetto agli anni precedenti, è sufficiente una modesta crescita per ridurre il debito, che ricordiamo, è la misura di un rapporto, cioè debito pubblico totale diviso per il prodotto interno lordo. Dunque, basta aumentare il denominatore, il Pil, che già il debito scenderà da solo. Non a caso, i Paesi che hanno avuto per un certo periodo una crescita economica sostenuta, si sono ritrovati con un basso debito, senza doverlo ridurre, ma solo perché era aumentato il Pil. Ne è un esempio l'Italia del boom economico, che vide diminuire il debito al di sotto del 40% sul Pil, anche se in assoluto la spesa pubblica cresceva, solo perché il Pil cresceva ancora di più.
Si potrebbe obiettare che siamo ben lontani dagli anni del boom, e che la crescita non si vede da tempo. Questo è vero, ma rimane il fatto che se non riprende un minimo di crescita, l'Italia è comunque destinata a finire male. Quindi, il Fiscal Compact ci sprona a crescere, cosa che comunque dovremmo fare anche se non ci fosse, se non vogliamo tornare ad essere un Paese povero.
Naturalmente, per crescere, un Paese ingessato come l'Italia, dovrebbe fare delle riforme, quindi viene il sospetto che chi si oppone al Fiscal Compact non vuole le riforme. Non a caso, fino a questo momento le maggiori critiche al Fiscal Compact sono venute dalla "vecchia sinistra" (Fassina, Vendola), da leader populisti (Grillo, Meloni), e da un leader conservatore come Berlusconi, che nel corso dei suoi lunghi anni di governo si è distinto per non aver fatto riforme che rendessero più efficiente la pubblica amministrazione, e capace di far crescere l'economia italiana.

Un altro aspetto da considerare, è che il rapporto debito/Pil si riferisce al Pil nominale, che in presenza di inflazione, può crescere anche se non cresce la ricchezza reale. Se io l'anno scorso ho guadagnato 100.000 Euro, e quest'anno ne guadagno 102.000, il mio reddito nominale è aumentato del 2%, ma se nel frattempo anche l'inflazione è aumentata del 2%, il mio reddito reale è rimasto lo stesso. Ma se nel frattempo devo pagare le rate del mutuo, ad esempio di 500 Euro al mese, rispetto al mutuo la mia ricchezza è ufficialmente cresciuta, quindi il mio debito è diminuito.
Come si sa, l'inflazione è la peggiore nemica dei creditori (in questo caso la banca che mi ha erogato il mutuo), che si vedono ridurre il valore reale del loro credito, anche se viene regolarmente rimborsato, ed è la migliore amica dei debitori, che si vedono ridurre il valore reale del loro debito, che quindi possono rimborsare con meno problemi.
Non a caso il governo giapponese di Shinzo Abe ha deciso qualche tempo fa di aumentare l'inflazione, o almeno ci ha provato, facendo stampare alla banca centrale un'enorme quantità di moneta. E questo dovrebbe far riflettere quelli che sostengono che il debito non è un problema e che il Giappone con il suo debito al 240% è una prova che ci si può convivere benissimo. Il debito pubblico è comunque un problema, solo che ci sono diversi modi per ridurlo. Usare l'arma dell'inflazione, come sta facendo il Giappone, è un modo per scaricarlo sulla popolazione in maniera subdola, riducendo il potere d'acquisto dei cittadini.
Comunque, anche rispetto all'inflazione, si potrebbe obiettare che in un'Europa a guida tedesca, e con la Bce che ha lo scopo di tenere l'inflazione sotto al 2%, è difficile che si crei un'inflazione notevole. Questo è vero, ma il combinato di una leggera inflazione e di una leggera crescita, in presenza di un pareggio di bilancio, sono già sufficienti a ridurre il debito pubblico rispettando il Fiscal Compact, senza ricorrere a quelle manovre lacrime-e-sangue paventati da alcuni.
In questo grafico interattivo si vede come non ci vogliano miracoli che rispettare il vincolo. Come si vede, è sufficiente un'inflazione all'1% e una crescita reale all'1,2%  per rispettare il vincolo.

Si possono modificare le singole voci per vedere come varierebbe l'andamento al variare di esse.

Con un'inflazione al 5%, si potrebbe rispettare il vincolo anche senza crescere, e anche se i tassi di interesse salissero al 5%. Ovviamente questa sarebbe una condizione poco felice, perché la ricchezza reale degli italiani diminuirebbe, quindi di fatto lo Stato scaricherebbe il proprio debito sui cittadini:


Manipolando i dati, si vede come per rispettare il patto è comunque necessario avere un buon avanzo primario (primary surplus), il che significa che lo Stato non solo non deve fare nuovi debiti, ma deve persino avere più entrate che uscite, al netto degli interessi, e questo deve avvenire stabilmente per vent'anni. In queste condizioni non è facile crescere, perché lo stato, costretto ad avere più entrate che uscite, non può stimolare la crescita con nuovi investimenti, a meno che non sia estremamente efficiente e riesca a ridurre gli sprechi in maniera considerevole, liberando nuove risorse.
Ad esempio, in assenza di avanzo primario, anche in presenza di una crescita costante al 3% e di un'inflazione al 2%, il patto non verrebbe rispettato, anche se in vent'anni il debito scenderebbe comunque all'84%:


Quest'ultimo scenario non sarebbe affatto negativo, anzi sarebbe sicuramente migliore del primo: magari avessimo una crescita del 3% l'anno per vent'anni! D'altro canto una crescita del genere non si stabilisce per decreto, soltanto azzerando l'avanzo primario: il governo Berlusconi nel periodo 2001-2006 azzerò l'avanzo primario, eppure non riuscì a produrre nuova crescita. Quindi, per crescere non basta spendere: bisogna spendere bene.

In sintesi, ci possiamo chiedere: per un Paese come l'Italia, rispettare il Fiscal Compact sarà facile? No, se non facciamo le riforme, se non riprendiamo sia pur di poco a crescere, e se non diventiamo più efficienti. Sì, se facciamo tutte queste cose. Ma se non le facciamo, siamo destinati comunque ad un inevitabile declino.

Ma c'è un altro aspetto che non viene considerato dai critici del Fiscal Compact, e cioè che non sono state previste sanzioni automatiche ed effettive per i Paesi che non lo seguissero. Questo significa che, all'atto pratico, almeno per ora il Fiscal Compact funziona più che altro come obiettivo di massima. Insomma, la cosa importante è che i singoli Paesi si impegnino a raggiungerlo, quindi l'Unione Europea si sta comportando come una maestra che valuterà la buona volontà degli allievi, magari promuovendoli lo stesso o al massimo rimandandoli. In queste condizioni, la tanto vituperata Germania (cioè il governo Merkel) ha dato prova di realismo: sembra quasi che si accontenti che i singoli Paesi non aumentino ulteriormente i loro debiti, e ciò è assicurato dal vincolo del pareggio di bilancio, sempre che il Pil non continui a scendere, si intende.




venerdì 6 giugno 2014

Grillo e l'evasione fiscale

Se chiedessi ad un elettore o ad un simpatizzante del Movimento 5 Stelle se Grillo e il movimento intendono lottare contro l'evasione fiscale, sicuramente mi risponderebbe di sì. Eppure, ascoltando i discorsi di Grillo e leggendo il suo blog, si può notare una cosa un po' inquietante: Grillo non parla mai di evasione fiscale.
Magari però ci è sfuggito qualcosa, quindi per sicurezza facciamo una ricerca su google: nel blog di Grillo compare mai la parola evasione?


Come si può vedere, nel blog si parla di evasione, ma non nella cartella principale, dove compaiono i post di Grillo e Casaleggio, ma nelle cartelle interne, cioè nei forum delle liste civiche e nelle interrogazioni parlamentari. Andando avanti nelle pagine successive dei risultati di Google, si trovano, nei primi 50 risultati, tra i post principali, soltanto i seguenti articoli:
- Uno intitolato "Yacht ed evasione fiscale", del 2010, scritto per la verità da altri autori (Ferruccio Sansa, Marco Preve), ma che comunque compare nella cartella principale del blog. In questo post si denuncia il fatto che in Italia si trovano molti yacht battenti bandiere straniere, spesso di paradisi fiscali, e ciò viene fatto probabilmente per non pagarci le tasse.
- Un altro, intitolato "I veri evasori", del 2012, anch'esso non scritto da Grillo (l'autore è Paolo Cicerone), in cui si sostiene che la vera evasione non è quella degli artigiani e dei commercianti, cioè dei "piccoli", ma quella dell'economia criminale, delle grandi imprese e degli extracomunitari.
- Un articolo intitolato "Passaparola- L'Italia che evade", del 2012, firmato da Bruno Tinti, dove c'è effettivamente una trattazione abbastanza ampia sul tema, e l'evasione viene effettivamente considerata un problema, senza sottovalutare il problema o scusare qualcuno.
- Un articolo del 2010, intitolato "Lo spesometro", non firmato, quindi scritto probabilmente da Grillo o Casaleggio. Qui si parla dello spesometro, introdotto da Tremonti (chiamato "Tremorti"), che viene definito con un epiteto non proprio elogiativo, e viene presentato come uno strumento di vessazione per il piccolo contribuente, mentre il governo Berlusconi, con la complicità (ovviamente) del Pd (o Pd-l) varava lo scudo fiscale per proteggere i grandi evasori.

Ma voglio restringere la ricerca al periodo successivo al 31 ottobre 2013, cioè quando si avvicinavano le elezioni politiche e ormai il M5S era diventato un partito di rilevanza nazionale. Ecco cosa si trova:

- Un articolo del maggio 2014, intitolato: "Punto 6 programma elettorale M5S: Abolizione del pareggio di bilancio", firmato Sergio Di Cori Modigliani, dove è scritto che il Movimento 5 Stelle si oppone al pareggio di bilancio, perché è figlio di una dottrina "liberista", ed è una scusa per operare "tagli lineari" allo stato sociale. Sull'evasione fiscale si dice: "In un paese come l’Italia in cui l’evasione fiscale tocca la punta massima in Europa (quindi poche entrate) e la spesa di enti pubblici (cioè le uscite) raggiunge picchi vertiginosi (l’Italia ha il più alto numero di enti pubblici nel pianeta, il 90% dei quali è improduttivo, serve soltanto a dare posti di lavoro a tempo indeterminato alle clientele dei partiti verticali) parlare di pareggio di bilancio non ha alcun senso. Se esistesse la volontà politica, lo si potrebbe risolvere in un pomeriggio. Ma non c’è. Non c’è mai stata." Questo è molto interessante: alla vigilia delle elezioni europee, il blog di Grillo non dice che il pareggio di bilancio, che sarebbe utile per rimettere a posto i conti di un paese con un debito pubblico elevato come l'Italia, si deve raggiungere non con tagli lineari ma combattendo l'evasione fiscale e riducendo la spesa pubblica improduttiva. No: ci dice che il pareggio di bilancio non si deve fare, perché "non c'è la volontà politica" di combattere l'evasione e gli sprechi.
Che dire: evidentemente loro questa volontà non ce l'hanno. Essendo un partito che si candida alle elezioni, il Movimento 5 stelle ci dovrebbe dire se lui ce l'ha o no, questa volontà di combattere l'evasione, invece ci dice che non ce l'ha nessuno, quindi va bene così. E il post si conclude con: "Il Movimento 5 Stelle vuole abolire immediatamente tale parametro per consentire alla Banca d’Italia la possibilità di poter varare un piano di investimenti che rilanci l’economia.". Spero non significhi che secondo il Movimento 5 Stelle la Banca d'Italia dovrebbe stampare moneta, per pagare direttamente gli investimenti, ma comunque il concetto è chiaro: per loro la spesa pubblica deve aumentare, non deve diminuire.

Ma la prova definitiva che il Movimento 5 Stelle non considera l'evasione fiscale una priorità, si vede nel programma elettorale per le elezioni politiche del 2013, dove non c'è il minimo accenno all'evasione fiscale. Qualcuno potrebbe pensare che si sia trattato di una dimenticanza, ma in tal caso sarebbe una dimenticanza molto grave, che farebbe pensare che il programma sia stato scritto con i piedi. In ogni caso, ad oggi, dopo più di un anno, il programma non è stato aggiornato, e questa "dimenticanza" è rimasta tale.

Ma perché Grillo e il Movimento non vogliono ridurre l'evasione fiscale e non la denunciano come un problema? Il motivo è molto semplice: perché l'evasione è un comportamento illegale diffuso nella popolazione, mentre l'ideologia grillina prevede un popolo buono e onesto a cui si contrappone una "casta" di politici, grandi imprese e banche, che sarebbero responsabili di tutti i problemi dell'Italia. Dunque l'evasione viene sottaciuta perché farebbe crollare questa ideologia populista, e richiamerebbe la cosiddetta società civile alle sue responsabilità. Ma per i populisti, si sa, il popolo è puro e innocente, e le colpe sono sempre degli altri.