mercoledì 24 dicembre 2014

Check-up Renzi


Finalmente, con l'approvazione della manovra economica (o legge di stabilità), il governo Renzi ha mostrato se è in grado di cambiare veramente l'Italia, e di invertire la tendenza che ci vede stagnanti da vent'anni, caso unico al mondo.
Il primo dato che emerge è che la pressione fiscale rimane sostanzialmente stabile, intorno al 43%. Il che significa che non è vero che le tasse scendono, o meglio, se alcune scendono (ad esempio i famosi 80 euro, cioè un bonus o una detrazione fiscale su una parte dei contribuenti), altre salgono (ad esempio la nuova Imu, o le imposte sui fondi pensioni ecc.), e il risultato è più o meno zero.
Ora, pensare che si possa imprimere una vera svolta spostando qualche voce qua e là, è veramente ottimistico, anzi è un inganno.
A questo punto, prima di andare avanti, sarebbe forse bene puntualizzare alcune cose.

- L'italia è uno dei Paesi con la pressione fiscale più elevata, e soprattutto è uno dei Paesi con la total tax rate (pressione fiscale totale sulle imprese) più alta al mondo.



- Non è possibile crescere con le tasse troppo alte. Se ad esempio un'azienda deve pagare il 40% di tasse, NON è la stessa cosa che se ne deve pagare il 60%. I politici (e i sindacalisti) forse pensano che sia uguale, magari perché pensano che le aziende abbiano disponibilità illimitate, e quindi se ne destinano una parte (o una gran parte..) alle tasse, magari per mantenere il ceto politico e l'enorme apparato burocratico-amministrativo, non cambia niente. Ma non è così. Più tasse per un'azienda significa meno possibilità di investire e di assumere, e più probabilità di fallire. Magari qualcuna ce la fa lo stesso, ma alcune scapperanno all'estero, mentre altre falliranno. Statisticamente funziona così.
Certo, puoi fare il Jobs Act sperando che incentivi le assunzioni, ma nella sostanza, se l'economia non riparte, le assunzioni saranno comunque poche.
Quindi: se non si abbassa la pressione fiscale in maniera consistente, non è possibile far ripartire il Paese.

- Questo però è quanto ci è stato promesso per vent'anni dal signor Berlusconi. Che però non ha ridotto un bel niente, semplicemente perché non ha voluto (o saputo) ridurre la spesa pubblica. Infatti, se non riduce la spesa, un Paese con un debito pubblico già enorme come l'Italia, non può permettersi di ridurre la pressione fiscale. Siccome però ridurre la spesa significa colpire interessi e scontentare qualcuno, i politici preferiscono non farlo. Tanto sanno che spesso i loro elettori neanche si rendono conto di questa elementare verità, e tendono a credere alla promessa di "meno tasse", senza neanche chiedere: "ok, e dove taglierai la spesa"?
Quindi, va ricordato che: se non si abbassa la spesa pubblica in maniera consistente, non è possibile ridurre la pressione fiscale.

- Ora, l'Italia non cresce da vent'anni ed è uscita stremata dalla crisi, e dunque ha un disperato bisogno di riprendersi. Dunque, se il Paese non riparte, è destinato ad un inevitabile declino.

Fino a questo momento, dopo dieci mesi di parole e promesse, Renzi, alla prova dei fatti (cioè della prima finanziaria), non ha ridotto la spesa pubblica, e non ha avviato una seria riduzione degli sprechi della pubblica amministrazione. Basti pensare che ha messo nel cassetto lo studio di Cottarelli sulla spending review, che suggeriva tra le altre cose di ridurre le migliaia di società partecipate dagli enti locali, molte delle quali in perdita, dotate solo di consigli di amministrazione (cioè puri stipendifici) o comunque con più dirigenti che dipendenti.

Dunque dobbiamo concludere che Renzi, fino ad ora non vuole veramente risanare l'Italia, e dunque non vuole veramente fermare il declino.

Sinceramente non ho ancora capito se non vuole agire, o se non può, nel senso che il suo partito (o l'apparato di burocrazia, sindacati e partiti ecc.) glielo impedisce, per non colpire determinati interessi, e alla fine si è adagiato in questa situazione. E in fondo non è neanche importante. Rimane il fatto che, fino ad ora, e sono già passati dieci mesi, non si è vista una reale volontà riformatrice da parte sua e di questo governo. A questo punto, se si doveva andare avanti a piccoli provvedimenti, molto lenti, senza fretta, tanto valeva tenerci Letta.

Dunque, a quanto si vede oggi, l'Italia continuerà nel suo declino. E non è difficile prevedere che anche l'anno prossimo non ci sarà crescita (se non forse uno zero virgola che non significa niente), e non ci sarà una diminuzione dei disoccupati.




venerdì 19 dicembre 2014

La Russia e il crollo del Rublo


In questi giorni in Russia sta accadendo qualcosa di simile a quello che potrebbe accadere all'Italia qualora decidesse di uscire dall'Euro per tornare alla Lira e svalutare: assalto agli sportelli bancari, per ritirare i soldi e spenderli o portarli all'estero prima che perdano valore, assalto ai negozi per fare acquisti prima che i prezzi salgano, chiusura di negozi per evitare le perdite date dalla continua svalutazione della moneta. Nel frattempo la banca centrale russa sta cercando di frenare la caduta del rublo. Se si andrà avanti così per qualche mese, si rischia un effetto a catena, con chiusura di aziende, perdita di posti di lavoro, e impoverimento generale della popolazione.

Questi eventi ci dovrebbero insegnare alcune cose:

- Contrariamente a quanto ci fanno credere gli [segue epiteto poco lusinghiero] anti-Euro, svalutare non è bellissimo, e quando un paese vede diminuire il valore della propria moneta, cerca di difenderla, dunque non svaluta volentieri, anche a costo di dar fondo alle proprie riserve. Morale: nessuno svaluta volentieri.
- Svalutare non è una passeggiata, e comporta conseguenze negative, a cominciare dall'aumento dei prezzi dei beni importati e dalla fuga dei capitali.
- Se l'Italia dovesse uscire dall'Euro, dovrebbe prima passare per un periodo di transizione in cui si porrebbero questi e altri problemi. Soltanto in seguito, forse, potrebbe trarre vantaggio dalla svalutazione ed aumentare le proprie esportazioni, ma prima dovrebbe fronteggiare una situazione di caos che potrebbe durare mesi, come accadde ad esempio in Argentina nel 2001, dove il default produsse migliaia di senzatetto, la disoccupazione salì al 25% e si formarono nuove favelas intorno alle grandi città, le cosiddette "Villa Miseria".


sabato 13 dicembre 2014

Uscire dall'Euro?

Dal blog di Beppe Grillo
Dopo che già personaggi del calibro di Salvini e della Meloni si sono pronunciati contro l'Euro, è la volta del Movimento 5 Stelle, che ha deciso raccogliere le firme per uscire dall'Euro. Purtroppo la gente non sa cosa è in gioco, e quali disastri si rischiano, ma è invogliata ad uscire, per la banale considerazione che "quando c'era la Lira si stava meglio". Ora, ammesso e non concesso che i problemi dell'Italia siano dovuti all'Euro (e ciò è chiaramente falso, dato che ci sono paesi che hanno l'Euro e stanno meglio di noi), il problema è che uscire non è la stessa cosa che non entrare, per cui, anche se forse l'Euro non è stata una buona idea, una volta che ci stiamo dentro, ci conviene rimanere. Infatti, se un paese come l'Italia decidesse di uscire, in pratica ammetterebbe di voler rinunciare a stare nel gruppo che conta, che la propria economia e l'amministrazione pubblica non sono all'altezza degli altri paesi europei, che non è in grado o non vuole riformarsi per diventare più competitiva, e che dunque preferisce giocare in serie B, e questo lo direbbe apertamente, al mondo intero. E, cosa ancora più grave, lo direbbe vent'anni dopo essere entrata, e dopo aver sottoscritto dei trattati, quindi sarebbe l'ennesima prova di inaffidabilità da parte dell'Italia, dopo i diversi precedenti storici che ci hanno visto spesso cambiare alleanza e non rispettare i patti, come accadde ad esempio in occasione delle ultime due guerre mondiali.
E pensare che gli altri paesi e i mercati non ci farebbero pagare cara questa decisione, ma che ci lasceranno uscire per poi magari farci continuare a scambiare prodotti e servizi con loro, senza pagare pegno, è quantomeno ottimistico.

Ma cosa accadrebbe esattamente se l'Italia decidesse di uscire dall'Euro?

In primo luogo, va detto che si aprirebbe uno scenario incerto, con molte variabili, non tutte sotto il nostro controllo, per cui va sottolineato che nessuno lo sa con certezza. E questo già dovrebbe farci riflettere non una, non due, ma cento volte, prima di prendere una decisione del genere. Sarebbe come se uno scalatore, nel mezzo di un'arrampicata, sentendosi stanco e avendo delle difficoltà ad arrivare in cima, invece di fare uno sforzo e continuare a salire, decidesse di buttarsi, sperando che le cose vadano meglio.
Comunque, in base alle esperienze passate, e a quello che si sa dell'economia e dei mercati, si possono ipotizzare alcune conseguenze.
- Una volta annunciata l'uscita dall'Euro, i risparmiatori e i correntisti italiani, insomma tutti quelli che hanno qualcosa da parte, si precipiterebbero in banca per ritirare i propri soldi, cercando poi di portarli all'estero, prima che vengano ridenominati nella nuova moneta (che chiameremo neo-Lira per chiarezza), dato che con ogni probabilità questa nuova moneta si svaluterà pesantemente (quelli che vogliono uscire dall'Euro, lo propongono proprio per potere svalutare la nuova moneta, sperando poi che i prezzi più bassi delle nostre merci all'estero possano consentire un aumento delle esportazioni).
- Poiché però le banche non possiedono materialmente tutto il denaro che i risparmiatori richiederebbero (perché per legge devono avere a disposizione solo una frazione del totale dei risparmi), andrebbero subito fallite. Per evitare il fallimento delle banche, il governo dovrebbe essere costretto a chiudere gli sportelli, come si fece in Argentina nel 2001 (il famigerato "Corralito"), impedendo agli italiani di ritirare i propri soldi, e costringendoli a vedere rinominati i propri risparmi nelle neo-Lire.
- Anche i possessori dei titoli di Stato italiani, si precipiterebbero a vendere i propri titoli prima che il debito venga rinominato in neo-Lire, sia per evitare la svalutazione, sia per il timore che lo Stato italiano decida unilateralmente di non pagare i debiti, o una parte di essi (infatti per lo Stato italiano sarebbe impossibile ripagare i debiti in Euro, ma avrebbe grosse difficoltà anche a ripagarli nella nuova moneta, dato il probabile calo del Pil e quindi delle entrare fiscali). Dunque lo spread salirebbe alle stelle, e lo Stato italiano non sarebbe più in grado di finanziarsi sui mercati. A questo punto sarebbe costretto a chiedere un prestito al Fondo monetario internazionale (dubito infatti che l'Europa accetterebbe di prestare i soldi allo Stato italiano dopo avere subito lo scherzetto dell'uscita dall'Euro), il quale porrebbe condizioni lacrime-e-sangue, oppure lo Stato potrebbe decidere di nazionalizzare la banca centrale e mettersi a stampare moneta per comprare direttamente il suo debito. Questo fenomeno, detto monetizzazione del debito, produrrebbe una grossa inflazione, impoverendo la popolazione italiana.
- Per evitare questi scenari, l'Italia potrebbe uscire dall'Euro senza annunciarlo, magari in un weekend, a banche chiuse, stampando in segreto le nuove lire (sempre che ciò sia possibile farlo in segreto, senza che la notizia trapeli in qualche modo e divenga di pubblico dominio...), e il lunedì potrebbe di colpo annunciare che si passa alla neo-Lira, e che anche i titoli di Stato vengono rinominati nella nuova moneta. Questo significherebbe imporre una perdita secca a tutti i correntisti e i possessori del debito pubblico, ma soprattutto agli stranieri, che si vedrebbero restituire i loro crediti in una moneta svalutata. Alcuni potrebbero rifiutare questa decisione e impugnarla presso corti internazionali, così che potrebbero nascere lunghi contenziosi giudiziari, come quelli che ancora interessano l'Argentina, che fece default nel 2001. Comunque, le perdite che subirebbero le banche straniere che ora possiedono titoli del debito pubblico italiano, potrebbero scatenare una crisi finanziaria anche in questi paesi (Germania, Francia ecc.). Questo provocherebbe una fuga dei capitali anche dagli altri paesi dell'area Euro, anche dei paesi periferici che potrebbero essere considerati i più deboli e quindi i più a rischio, e un conseguente aumento dei tassi di interesse dei loro titoli pubblici, e dunque lo stesso Euro rischierebbe di crollare. La crisi dell'intera area Euro potrebbe tramutarsi in una nuova crisi mondiale.
- I possessori dei titoli di stato, anche italiani, subirebbero gravi perdite qualora lo Stato decidesse di non ripagare, in tutto o in parte, i suoi debiti. In tal caso le banche, che ne possiedono una parte, andrebbero comunque fallite, e dovrebbero essere nazionalizzate.
- Le grandi imprese che hanno debiti in obbligazioni estere, non potrebbero rinominare i propri debiti nelle nuove Lire, per cui vedrebbero aumentare il loro valore reale, e dunque alcune rischierebbero di fallire, altre dovrebbero ridurre i propri investimenti o dar vita a dolorose ristrutturazioni, e ciò potrebbe provocare una recessione.
- I cittadini italiani vedrebbero di colpo aumentare i prezzi dei beni importati dall'estero, in seguito dalla svalutazione della neo-Lira, a cominciare dal petrolio e dal gas, che provocherebbe a cascata un aumento dei prezzi dei beni trasportati su gomma (quindi anche i generi alimentari). Dunque ci sarebbe un aumento dell'inflazione per il solo fatto di svalutare. Questo aumento dei prezzi non sarebbe probabilmente eccessivo (ad esempio, potrebbe essere del 5% a fronte di una svalutazione del 30%), ma andrebbe comunque a colpire la parte meno abbiente della popolazione. Se però lo Stato fosse costretto a monetizzare il debito, l'aumento dell'inflazione potrebbe essere ben superiore.
- Gli interessi sui titoli di stato dopo l'uscita dall'Euro aumenterebbero, quindi lo Stato italiano rischierebbe di fallire, oppure sarebbe costretto a tagliare drasticamente la spesa pubblica, aggravando la caduta del Pil, oppure dovrebbe ricorrere alla monetizzazione del debito, se già non lo aveva dovuto fare prima. Se poi lo Stato fallisse, dopo non sarebbe più in grado di finanziarsi sui mercati internazionali per un certo numero di anni, come è accaduto all'Argentina, perché nessuno vorrebbe più prestare denaro a un paese che ha fatto default,
- Le aziende estere che operano con quelle italiane, potrebbero rifiutarsi di mantenere i contatti commerciali con la neo-Lira, dato che i contratti in essere sono stati fatti in Euro, e quindi potrebbero nascere migliaia di contenziosi legali, e ci sarebbe un blocco di molte attività commerciali, con conseguente crollo del Pil.
- Anche dopo il cambio nella nuova moneta, molti risparmiatori potrebbero comunque decidere di portare i propri soldi all'estero, per evitare future, ulteriori svalutazioni, quindi ci sarebbe ugualmente una fuga di capitali, e una conseguente diminuzione del Pil e dei prestiti bancari. Le banche rischierebbero comunque di fallire, e sarebbe probabilmente necessario nazionalizzarle.
- Alcuni paesi europei e non potrebbero decidere qualche ritorsione nei confronti dell'Italia, ad esempio ponendo dazi sulle nostre merci, riducendo in tal modo l'effetto positivo dato dalla svalutazione, che in teoria dovrebbe consentire di esportare di più.

Dunque, se proprio dobbiamo uscire dall'Euro, sarebbe meglio (o meno peggio) farlo in segreto, senza annunciarlo, e senza passare per un Referendum. Questo però significherebbe per il governo ingannare gli italiani, oltre che gli altri paesi dell'area Euro. Per ora la nostra Costituzione impedisce di fare Referendum sui trattati internazionali e sulle questioni fiscali, ma nel caso la raccolta di firme avesse un grande successo, oppure nel caso in cui alcuni partiti proponessero seriamente di rivedere la Costituzione per poter poi fare veramente il Referendum, la fuga di capitali potrebbe iniziare per il semplice effetto annuncio. Come è accaduto nel 2011, lo spread potrebbe aumentare, per la semplice paura di alcuni investitori che lo Stato italiano non sia in grado di ripagare il proprio debito, e dunque lo Stato italiano potrebbe andare verso il fallimento anche prima di prendere una decisione definitiva sull'Euro.

Se non vivessi in Italia, potrei gustarmi la scena di questo suicidio collettivo degli italiani a distanza, mentre Beppe Grillo se lo gusterebbe da una delle sue ville in riva al mare. Chi ha i milioni da parte, se è furbo, li avrà già portati all'estero in modo da guadagnarci sul cambio, e da non finire in mutande, come invece accadrebbe alla gran parte degli italiani, e degli elettori e sostenitori di Grillo. Io purtroppo non sono milionario, quindi non potrei divertirmi sulle disgrazie altrui, e dire "ve la siete cercata" non sarebbe una grande soddisfazione, anche se in fondo sarebbe vero.

mercoledì 3 dicembre 2014

Susanna Camusso e il settore terziario


Nella puntata di "Di Martedì", talk show politico di La7, del 2 dicembre è stato ospite il regista inglese Ken Loach. La presenza del regista britannico, famoso per i film sulla condizione operaia, è stata un'occasione per parlare delle politiche attuate negli anni '80 da  Margaret Thatcher, primo ministro inglese dal 1979 al 1990. Ken Loach ha accusato, come era prevedibile, la Thatcher di avere colpito i diritti dei lavoratori, e di avere impoverito il popolo.
A dir la verità non sembra sia così, almeno a giudicare dal reddito pro capite della Gran Bretagna, paragonato a quello di Italia, Francia e Germania.

Certo, la Gran Bretagna potrebbe avere disuguaglianze maggiori, tuttavia, non sembra proprio essere un paese povero. D'altro canto, il fatto che accolga immigrati dal resto d'Europa (i giovani italiani ne sanno qualcosa..) fa pensare che non si poi ridotto così male.
Susanna Camusso, segretario della Cgil, anche lei ospite, ha confermato le parole di Ken Loach: secondo lei, la Thatcher "ha trascurato e spostato nell'attività finanziaria e terziaria riducendo molto il peso dell'industria nell'attività produttiva della Gran Bretagna, nell'illusione che la finanza sarebbe stato il mondo del futuro".
Ora, al di là di come la si pensi sulla Thatcher e sulla finanza, occorre rilevare che lo spostamento delle attività economiche dal settore secondario (industria) al settore terziario (servizi) è un fenomeno che si è verificato in tutti i paesi avanzati, Italia compresa.
Confondere il terziario con la finanza, insinuando magari che si tratti di un'economia finta, di carta, è un errore. Basta consultare Wikipedia, dove si spiega che il settore terziario riguarda:

servizi a rete, cioè trasporti e comunicazioni;
servizi facility management
servizi commerciali;
gastronomia, turismo, ospitalità;
servizi assicurativi e bancari;
attività amministrativa degli organi di stato;
servizi avanzati, come fornitura di attrezzature, macchinari e beni, informatica, ricerca e sviluppo, consulenza legale, medica, fiscale e tecnica, analisi e collaudi, formazione, marketing.

L'idea che i servizi non producano niente, che siano una parte secondaria delle attività economiche è semplicemente assurda. I paesi avanzati sono quelli in cui il settore predominante è quello dei servizi. 
Lo si può vedere ad esempio dal numero di addetti nei due settori negli Stati Uniti: il settore terziario è preponderante, e in continuo aumento.




Del resto, questo sembra abbastanza facile da capire: come era già accaduto con l'agricoltura, lo sviluppo produttivo consente di impiegare sempre meno lavoratori nell'industria. Ma questo non vuol dire che l'industria produca di meno, anzi, semmai produce di più. Anche l'agricoltura va così: oggi è in grado di sfamare sette miliardi di persone, anche se in molti paesi impiega meno del 3% della forza lavoro. Quindi, siamo nell'era post-industriale, ma ciò non significa che le industrie siano destinate a scomparire, ma solo che non impiegano più la maggioranza dei lavoratori.
Inoltre, l'era dei servizi è associata ad una migliore qualità della vita: è sicuramente più piacevole, o almeno, meno scomodo, lavorare in un ufficio, che in una fabbrica.


Nel '700, quando la stragrande maggioranza dei lavoratori era nel settore dell'agricoltura, i fisiocratici credevano che l'agricoltura fosse la vera base della ricchezza. Invece, la Camusso è rimasta all'800, quando lo sviluppo dell'industria ne fece l'attività principale, e si cominciò a pensare che fosse lì la "vera ricchezza", nella "produzione" di beni fisici, tangibili.
La Camusso (come anche Landini) ha in mente una società fondata sulle grandi industrie, sugli altiforni, sulle miniere, con milioni di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro ripetitivo per tutta la vita, e i sindacati che li proteggono.


Non  ho motivi particolari per difendere la Thatcher, sarà stata anche una pessima statista, anche se mi chiedo come mai sia stata votata e rivotata per tanti anni, se era così pessima. Ma se la sua colpa è stata quella di aver incentivato lo sviluppo del settore terziario a scapito di quello industriale, non mi pare che sia una colpa così grave. Anzi, non deve essere stato neanche un suo merito particolare, dato che questa tendenza si registra anche negli altri paesi avanzati.
Comunque, la storia va avanti lo stesso, e non torna indietro, nonostante le nostalgie di Landini e della Camusso. Al massimo potranno riuscire a frenare l'Italia, rendendolo un paese meno presente nei settori in cui oggi si produce più ricchezza, un po' come il Papa, che contribuisce a frenare lo sviluppo della società italiana nel versante della laicità e dei diritti civili.