giovedì 8 dicembre 2011

La crisi e il debito estero


Negli ultimi temi, negli ambienti della sinistra antagonista, si sta diffondendo la richiesta di uscire dall'Euro, per poter svalutare la moneta in modo da recuperare competitività nei mercati internazionali, senza dover chiedere sacrifici al lavoro dipendente e alle pensioni.
Secondo questa visione, l'attuale crisi dei debiti sovrani non è causata affatto dall'elevato debito pubblico dei Paesi cosiddetti Pigs (o Piigs se si vuole includere anche l'Italia), ma dai debiti esteri che questi Paesi hanno accumulato in seguito all'introduzione dell'Euro.
In pratica, una volta costituito l'Euro, i Paesi con una produttività e una competitività inferiore, come Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo, ma anche l'Italia, sarebbero stati "costretti" ad importare merci dai Paesi più produttivi, a cominciare dalla Germania; questo squilibrio avrebbe costretto poi gli stessi Paesi ad indebitarsi con le banche estere, e una volta scatenatasi la crisi finanziaria del 2008, i creditori esteri avrebbero cominciato a fare pressione su Paesi deboli perché mettessero i conti a posto, costringendoli a ridurre stipendi pubblici e pensioni, e impoverendo così la popolazione.
Non manca in questa ricostruzione un atteggiamento sospettoso e un po' complottistico nei confronti della Germania, che avrebbe voluto l'unione monetaria proprio per trasformare i Paesi periferici in mercati da invadere con le proprie merci, per poi strozzarli con vincoli di bilancio stringenti, mentre i Paesi periferici sarebbero delle vittime sacrificali, cadute inconsapevolmente nella trappola dei perfidi teutonici.

Cosa si può dire di questa ricostruzione?

In primo luogo, l'Euro non è stato voluto dalla Germania, ma dalla Francia, per compensare la sua ritrovata potenza dopo l'unificazione. In cambio della riunificazione, che ne faceva il Paese economicamente più potente d'Europa, la Germania ha dovuto rinunciare alla sua moneta, tradizionalmente stabile e segno di forza e affidabilità economica, e trasferirne le virtù all'intero continente. La creazione dell'Euro è stata in ultima analisi vista come un punto di forza dai diversi Paesi che vi hanno aderito, per poter contrastare meglio le potenze emergenti, dotate di popolazioni ben superiori a quelle dei singoli Paesi europei, e dunque in grado di divenire mercati potenzialmente troppo grandi per competere con essi senza essere uniti. La Germania ha però chiesto garanzie per poter far sì che la nuova moneta mantenesse le caratteristiche di stabilità che erano tipiche del Marco, ed è nato così il Trattato di Maastricht.
Inoltre, l'impoverimento della popolazione non ha colpito solo i Paesi dell'area Euro, dal momento che l'impoverimento è una realtà anche in Paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna. L'impoverimento è a mio avviso la conseguenza della globalizzazione che ha spostato una parte della ricchezza verso la Cina e i Paesi emergenti. Sostenere che la causa dell'impoverimento sia l'Euro, è assurdo.
Inoltre, il debito pubblico non è, come vorrebbe una certa sinistra, una grandezza che può crescere all'infinito senza creare problemi. Secondo la loro visione, il debito pubblico, finché lo Stato "chiede" soldi in prestito ai suoi stessi cittadini, non comporta problemi. Peccato che lo Stato non può pretendere che i cittadini gli diano i soldi, a differenza di quanto fa con le tasse, quindi non può aumentare la spesa all'infinito e pretendere di essere finanziato dai suoi cittadini. Se il debito sale troppo, una parte di questo potrebbe finire in mani estere, come accade anche a Paesi che non hanno l'Euro e non sono Pigs, ad esempio gli Stati Uniti (sì, lo so, gli Stati Uniti hanno il dollaro che funge da moneta di riserva, per cui inondano il mondo di dollari, come non potrebbero fare gli altri Paesi con la loro moneta). Inoltre il Trattato di Maastricht (che secondo questa visione critica è assurdo perché comporta vincoli sul bilancio pubblico, che invece dovrebbe poter crescere all'infinito) già prevedeva di tenere in ordine i conti pubblici, in altre parole, non si possono scusare i Paesi che non hanno saputo contenere la spesa pubblica, se non l'hanno fatto pur avendo avuto una quindicina d'anni di tempo per adattarsi alle nuove regole. Nei Paesi deboli infatti, la spesa pubblica improduttiva finisce per alimentare i consumi privati, che non essendo sostenuti da una produttività sufficiente, finiscono appunto per indebitare il Paese anche verso l'estero.
D'altro canto l'erroe di questa tesi è che dà per scontato che i Paesi deboli non siano capaci di aumentare la propria competitività attraverso riforme che rendano più facili le esportazioni, come una diminuzione del costo del lavoro, un aumento della tassa sui consumi, una diminuzione della spesa pubblica improduttiva, una riduzione dell'evasione fiscale ecc.
Anche per questo un debito pubblico troppo alto indica che qualcosa non va: se i Paesi in grado di assicurare uno stato sociale efficiente, come quelli nordici, hanno un debito pubblico contenuto, perché Paesi come l'Italia e la Grecia dovrebbero averlo al di sopra del 100% del Pil? Per pagare le pensioni baby?
E quelli che citano il Giappone come esempio di virtù (ha un debito pubblico al 230% del Pil, quindi per qualcuno è un esempio da seguire!), dimenticano che il Giappone è un Paese gerontocratico come l'Italia, con una mafia e una scarsa meritocrazia, come l'Italia. E allora perché il Giappone si può permettere un debito pubblico così elevato? Perché è un Paese che produce ed esporta, quindi ha in cassa enormi riserve in dollari. Se un Paese come la Grecia pretende di indebitarsi senza produrre, prima o poi fa il botto, Euro o non Euro. Purtroppo qualcuno racconta che i salari e le pensioni possano essere indipendenti dalla produttività di un Paese, salvo poi deludere chi eventualmente lo ascolta, quando, diononvoglia, le sue ricette vengono realizzate.
Inoltre si dà per scontato che l'uscita dall'Euro, con il conseguente default e la svalutazione, risolverebbero tutti i nostri problemi, proiettandoci verso un futuro radioso, come quello dell'Argentina. Argentina che attualmente nella classifica del reddito pro capite è 51a al mondo mentre l'Italia è al 29° posto, e il reddito medio argentino è la metà di quello italiano. Ma non importa, l'Argentina che a causa di una classe politica più demagogica e incompetente della nostra non è in grado di far sviluppare quel Paese come pure le risorse naturali consentirebbero, è diventato un modello da quando è andata al default, lasciando sul latrico migliaia di famiglie.
I sostenitori della svalutazione competitiva dovrebbero ricordare che essa è un modo per non risolvere i problemi, nascondendoli la polvere sotto il tappeto, e infatti la svalutazione competitiva risolve i problemi soltanto temporaneamente, perché dopo qualche anno si scopre che l'inflazione si sta mangiando i salari, che il Paese ha ricominciato a importare più di quanto esporta, e dunque è necessario svalutare di nuovo. Infatti la svalutazione competitiva sembra funzionare solo quando è sostenuta da un deficit pubblico eccessivo che nel breve termine nasconde i problemi (perché lo Stato regala soldi pubblici in modo da nascondere i problemi strutturali ed evitare conflitti sociali). Così ha fatto l'Italia fino al 1992, e infatti, caso strano, una volta accumulato troppo debito, nel 1992 ha rischiato la bancarotta. E da quel momento, con il debito pubblico ormai arrivato al 125% del Pil, ha dovuto ridurre la spesa pubblica, e così i problemi strutturali del Paese sono pian piano venuti fuori tutti.
Detto ciò, è vero che l'Unione europea ha bisogno di essere rivista per poter sopravvivere: in particolare ci dovrebbe essere una convergenza sui sistemi fiscali, non solo sui conti pubblici, e si dovrebbe prevedere qualche meccanismo che tenda a ridurre gli squlibri commerciali tra i diversi Paesi. Prima che competere tra loro, i Paesi dovrebbero convergere verso uno standard di competitività che renda il mercato interno omogeneo e uniforme. I Paesi che producono di meno devono poter ridurre il costo del lavoro, devono ricevere aiuti dall'Unione Europea per fare investimenti, e devono accontentarsi di avere salari più bassi finché non avranno recuperato il gap di competitività. D'altro canto, si è mai visto un Paese che produce poco e ha salari elevati? Non mi risulta che a Cuba i lavoratori vadano in giro in Mercedes...
Inoltre, occorre fare in modo che il trasferimento di capitali dai Paesi che in quanto esportatori dispongono di riserve (come la Germania) verso i Paesi periferici non comporti lo sviluppo di bolle, come è accaduto in Spagna e Irlanda, ma anche in Grecia, perché allo scoppio delle bolle i capitali si ritirano e i privati si ritrovano pieni di debiti, debiti che poi verranno presi in carico dallo Stato (infatti prima della crisi i conti pubblici di Spagna e Irlanda erano in ordine, quindi almeno nel loro caso, non è stata l'eccessiva spesa pubblica la causa della crisi in cui versano attualmente).
Ma sostenere che l'Italia e i Paesi più deboli devono uscire dall'Euro, dando per scontato che non siano capaci di fare le riforme e diventare più competitivi, e soprattutto dando per scontato che a lungo termine possano trovarsi in condizioni migliori da soli, piccoli Paesi in un mercato globalizzato, mi pare una tesi assurda. Purtroppo i sostenitori di queste tesi non sono a mio avviso particolarmente interessati all'effettiva soluzione migliore per i problemi italiani, perché in fondo, nella logica del tanto meglio tanto peggio, eventuali problemi economi e sociali che si potrebbero scatenare da una nostra uscita dell'Euro, potrebbero, nella loro ottica, fomentare la protesta sociale e quindi creare le condizioni per un più drastico cambiamento del sistema economico-sociale, cambiamento che loro evidentemente si augurano, magari traendo ispirazione da esempi (fallimentari) del passato.