domenica 9 maggio 2010

I problemi del Pd


Da quando è nato nel 2008, il Partito Democratico ha inanellato una serie di sconfitte elettorali. Da un lato la cosa è comprensibile perché l'Italia è fondamentalmente un Paese di destra, cioè un Paese la cui mentalità prevalente è di tipo conservatore (un po' come gli Stati Uniti, dove la maggioranza della popolazione dichiara di essere di idee conservatrici), dall'altro lato, è probabile che il partito ci abbia messo anche del suo, non risultando credibile come alternativa a Berlusconi e alla Lega.
Ma quali sono i problemi principali del Pd? A mio avviso, sono principalmente due.

1- Non ha un'ideologia

Secondo Veltroni e altri leader che hanno dato vita al Pd, viviamo in un'era postideologica, in cui un partito non deve avere un'ideologia precostituita con cui interpretare il mondo, ma deve essere capace di interpretare volta per volta l'epoca in cui si vive, e di risolvere i problemi che si pongono. Del resto, un partito nato dalla fusione di due vecchi partiti con le rispettive ideologie, non può certo adottarne una delle due: al massimo potrebbe tentare una nuova sintesi, lavoro quantomeno difficile. Ma allora, se il partito non si basa su un'ideologia ma sulle esigenze che volta per volta maturano dalla società, deve essere veramente aperto alla società civile, come accade nel Partito Democratico americano, dove un Obama "qualunque" ha potuto scalare il partito con la sola forza delle sue idee e del suo carisma. Altrimenti, se non ha un'ideologia e non è scalabile, il partito finisce per parlarsi addosso, per diventare un puro e semplice gruppo di potere, rappresentativo (forse) di una parte della popolazione, ma non certo della maggioranza.

2- Non è aperto alla società civile

Più che a un partito democratico, il Pd assomiglia a un partito oligarchico. Il suo gruppo dirigente è sempre lo stesso, formato da politici di lunga data, provenienti dai due partiti da cui esso è nato (Il Pci e la Dc). Al vertice del partito si alternano personaggi "pescati" in questo gruppo dirigente, e quando un leader ha esaurito il suo compito, torna (magari dopo un breve periodo di vacanza) nelle stesse fila da cui proveniva. E così i vari D'Alema, Fassino, Veltroni, Franceschini, Bindi, Parisi, Castagnetti ecc., sono sempre lì, a decidere volta per volta quale dovrà essere la politica del partito, a constrastarsi a vicenda, a tentare di imporre ciascuno la propria linea. Il meccanismo delle primarie così come è concepito è chiaramente insufficiente: le primarie vengono svolte tra personaggi scelti sempre nello stesso gruppo dirigente, mentre esse dovrebbero rendere il partito veramente scalabile, magari da qualcuno proveniente dal di fuori, dalla famosa società civile o dai famosi territori. Per questo le primarie si dovrebbero fare sempre, non solo quando conviene, o si pensa che convenga. Inoltre, una volta che si è scelto il leader, questi dovrebbe poter dettare la linea, senza che qualcuno gli metta il bastone tra le ruote. Obama dopo che ha vinto le primarie è diventato il leader del partito e ha dettato la linea, senza che altri per invidia o gelosia tentassero di contrastarlo.

Purtroppo l'arretratezza democratica del Pd è lo specchio dell'arretratezza dell'Italia, dove ai cittadini è dato poter scegliere tra un partito personale senza democrazia interna (il Pdl di Berlusconi, con il recente strappo di Fini ancora mal digerito e le cui conseguenze sono ancora tutte da valutare), e un partito oligarchico a finta e/o limitata democrazia interna.

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