mercoledì 11 dicembre 2013

I mitici anni 70


Secondo i critici "di sinistra" dell'Euro, si dovrebbe uscire dall'Euro e tornare ad un sistema come quello degli anni '70, in cui la banca centrale era sotto controllo del governo, che poteva dunque farle stampare la moneta necessaria a sostenere le sue spese; se questo generava inflazione (infatti negli anni '70 l'inflazione era al 20%) secondo loro questo non costituiva un problema, perché con la scala mobile i salari recuperavano il terreno perduto con l'aumento dei prezzi. Infatti negli anni '70 il Pil cresceva, i salari reali crescevano, e dunque andava tutto bene. I problemi, sostengono sempre questi "opinionisti" della rete, sono sorti negli anni '80, o meglio a partire dal 1981, quando il "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro spinse in alto i tassi di interesse. Il raddoppio del debito pubblico italiano degli anni '80 fu dunque dovuto al maggior tasso di interesse, e non alla spesa pubblica improduttiva o clientelare. Dunque, il famigerato Caf (Craxi Andreotti Forlani) viene riabilitato, la corruzione non c'entra niente, è tutta colpa della politica monetaria. Torniamo alla sovranità monetaria!
Ma cosa c'è di sbagliato in questa tesi?
Un piccolo particolare, e cioè che il debito pubblico cresceva anche negli anni '70. Magari meno che negli anni '80, ma cresceva anche negli anni '70, durante i quali passò dal 40% al 60%, il che significa che aumentò della metà. Questo da solo basta a smentire i sostenitori degli anni '70 come di un'epoca in cui tutto andava bene. E' infatti evidente come sul lungo periodo un sistema in cui il debito pubblico tende ad aumentare della metà ogni dieci anni sia insostenibile.
Guardando il grafico, si vede come l'aumento del debito pubblico si sia verificato più o meno in un periodo che va dal 1964 al 1994: all'interno di questo periodo è abbastanza inutile distinguere periodi "buoni" e periodi "cattivi", a meno che non si voglia decidere se sia meglio un calcio o un pugno.
Ma perché negli anni '70 il debito pubblico aumentava? semplice, perché lo Stato cercava di tenere in piedi con iniezioni di spesa pubblica un sistema che da solo non si reggeva.
E questo fa cadere anche la tesi secondo la quale la spesa pubblica si ripaga da sola, perché fa aumentare la domanda. In parte è vero che fa aumentare la domanda, ma evidentemente questo non è sufficiente a ripagare l'aumento della spesa. In pratica, non è vero che la spesa pubblica si autofinanzia sempre e comunque: lo fa solo se è produttiva, cioè se è finalizzata a costruire qualcosa che darà un ritorno economico. E questo è provato dal fatto che, ogni volta che un Paese ha dovuto sostenere un forte aumento della spesa pubblica per fare una guerra (come ad esempio gli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, durante la quale il debito pubblico passò in pochi anni dal 40% al 120% del Pil) il debito pubblico ha conosciuto un forte aumento, anche se tutta la popolazione era impegnata a tempo pieno a lavorare.
Dunque, i sostenitori degli anni '70 come di un Paradiso economico si ingannano. Negli anni '70 lo stato spendeva a deficit, più di quanto incassasse, cioè la sua spesa non era produttiva, non generava valore, non generava un ritorno economico. Però siccome lo stato controllava la banca centrale, la usava per stampare la moneta di cui aveva bisogno, generando inflazione che in parte compensava l'aumento del debito. Dunque il debito cresceva sì, ma meno di quanto sarebbe stato se non avesse stampato moneta, perché stampando moneta scaricava una parte delle sue spese sui cittadini.
Dunque già negli anni '70 l'Italia cercava di nascondere sotto il tappeto il difetto di competitività che aveva rispetto agli altri paesi europei con iniezioni di spesa pubblica; negli anni '80 si cambiò paradigma, e venne ridotta l'inflazione separando Tesoro e Banca d'Italia e abolendo la scala mobile, ma per il resto non si affrontarono le radici del problema, cioè non si ridusse la spesa pubblica improduttiva, e dunque il debito pubblico continuò a crescere, a ritmi ancora superiori perché giustamente il mercato, cioè gli investitori italiani ed esteri, esigevano interessi elevati per ripagare il rischio di acquistare il debito di uno stato così poco affidabile. Dunque si fece, come al solito in Italia, una riforma a metà, anzi si posero le premesse per una riforma che poi non si fece. Invece gli Stati che non avevano un deficit strutturale, come la Germania, cioè non spendevano sistematicamente più di quanto incassavano, si finanziavano tranquillamente il loro debito sul mercato. Quindi i tassi di interesse elevati negli anni '80 non erano la causa del debito, ma la conseguenza di uno Stato con conti pubblici non a posto (cioè in deficit strutturale).
Nel 1992 con la crisi valutaria, cominciarono le manovre lacrime-e-sangue, che ridussero il deficit strutturale, ma lo fecero non riducendo (se non di poco) la spesa pubblica improduttiva, ma aumentando le tasse, e dunque condannando l'Italia ad una stagnazione che dura tuttora.
Che ci piaccia o no, non è possibile essere ricchi se non si è efficienti e produttivi. Purtroppo, spesso i desideri si scontrano con la realtà. Solo che gli adulti se ne rendono conto, e si adattano alla realtà dei fatti. I bambini no.
In ogni caso, anche se tutta questa ricostruzione fosse sbagliata, i teorici degli "anni-70-paradiso" dovrebbero spiegare come mai negli anni '70 il debito pubblico sia aumentato, contraddicendo le loro teorie farlocche sulla spesa pubblica sempre buona, sull'inflazione che non è un problema e sui tassi di interesse come unica causa del debito pubblico.

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