giovedì 20 marzo 2014

La bufala dell'acqua pubblica


A febbraio, durante l'incontro tra Renzi e Grillo, in occasione dei colloqui per la formazione del governo, Grillo ha impedito a Renzi di parlare, usando tra gli altri argomenti, quello secondo cui Renzi vorrebbe privatizzare l'acqua: "noi siamo i conservatori, noi vogliamo l'acqua pubblica tu la vuoi privatizzare", e questa frase l'ha detta due volte. "Tu sei una persona buona che rappresenta un potere marcio, che noi vogliamo cambiare totalmente".
Dunque la privatizzazione dell'acqua sarebbe uno degli "scandali" per cui Grillo si rifiuta di abbassarsi al livello dei partiti tradizionali, e con cui rifiuta ogni dialogo.
Ma in cosa consisterebbe questo scandalo della privatizzazione?
Nel 2011 si tenne un Referendum per abrogare una legge del 2009 che consentiva a società private di intervenire nella gestione, e non nella proprietà, dell'acqua. Infatti, per legge l'acqua appartiene al demanio pubblico, e la proprietà è una cosa diversa dalla gestione.
Ma quali sono i motivi per cui il comitato per l'acqua pubblica si è battuto per abrogare la legge? Per prima cosa, si notano considerazioni che sembrano più che altro folkloristiche o tutt'al più poetiche: l'acqua è pura, è buona, è dolce, è trasparente ecc. Con questo ragionamento anche la terra, che è madre, ci nutre, ci ospita ecc., dovrebbe essere resa pubblica, ma siccome nessuno ha il coraggio di chiedere una cosa del genere, si preferisce mettere un paletto su un bene molto meno rilevante dal punto di vista economico, quindi di fatto si fa un discorso di principio, che non cambia nella sostanza le cose, come spesso accade in Italia.
A parte questo, ciò che si è voluto impedire è che i privati ottenessero un profitto dalla gestione dell'acqua. Essendo l'acqua un bene comune, dicevano i promotori, non è giusto che sia fonte di profitto.
Ma cosa è meglio, che la gestione sia pubblica o privata? La questione non è così semplice come viene presentata, ma è complessa, comunque si possono fare alcune considerazioni generali.
Da un lato, il settore pubblico tende ad essere inefficiente (quanto meno in Italia), e non è neanche detto che non sia costoso. E i costi non sempre sono chiaramente individuabili, perché non è detto che tutti i costi legati alla gestione dell'acqua finiscano in bolletta: i dipendenti pubblici, magari assunti secondo logiche clientelari, o i dirigenti, magari troppo pagati, potrebbero essere pagati dallo stato senza che il cittadino se ne accorga, cioè con le sue tasse anziché con la bolletta dell'acqua.
Dall'altro lato, il settore privato tende ad essere efficiente solo se stimolato dalla concorrenza o da regole certe, e comunque richiede un profitto per poter lavorare.
Dunque, al di là del principio (su cui si può discutere, ma che all'atto pratico conta poco) se sia "giusto" o meno che un bene pubblico possa portare un profitto, è evidente come il diavolo si nasconda nei particolari, e quindi è comunque necessario che lo stato ponga delle regole e vigili sulla gestione dell'acqua (mentre in Italia in genere i controllori e i controllati coincidono). Non è cioè sufficiente che l'acqua sia pubblica, come sembrano far credere quelli che difendono l'acqua pubblica in maniera ideologica, rifiutandosi persino di discutere con chi la pensa diversamente.
E la pessima situazione italiana è lì a ricordarcelo: soprattutto al sud, le condutture sono un colabrodo, spesso l'acqua arriva razionata, non arriva per nulla o arriva cattiva e salata, mentre in alcune zone mancano i depuratori per cui le acque reflue vengono scaricate direttamente nei fiumi o in mare. La bolletta per i cittadini è più alta (rispetto alle zone dove funziona meglio) per avere un servizio peggiore.
E' stato calcolato che rimettere a posto tutta la rete costerebbe 2/4 miliardi l'anno per i prossimi 20/25 anni, cioè una cinquantina di miliardi in tutto. Prima o poi questi soldi qualcuno li dovrà tirare fuori. I privati, chiedendo (giustamente, se chiamati a contribuire) in cambio un profitto, oppure lo stato stesso (cioè i cittadini), sperando (o vigilando) che non ne approfitti per moltiplicare le spese, assumendo amici e parenti, facendo passare mazzette ecc.
Insomma, l'alternativa non è tra il paradiso e l'inferno, ma tra due situazioni che probabilmente non saranno molto diverse tra loro.
Ancora una volta la politica italiana, invece di pensare a risolvere i problemi reali, fa battaglie di principio, su questioni inutili, secondarie (chi dovrà gestire l'acqua) o del tutto inesistenti, facendole passare per questioni di vitale importanza, e le usa come armi per delegittimare gli avversari.
Come è evidente per chiunque abbia un po' di buon senso, la cosa importante per quanto riguarda l'acqua (e non solo) è come viene gestita, non chi la gestisce.

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