sabato 7 giugno 2014

Il Fiscal Compact: un cappio al collo?

Negli ultimi tempi si parla molto del Fiscal Compact, cioè di quel trattato, sottoscritto nel 2012/2013 dai Paesi dell'area Euro, che impone ai singoli Paesi di rispettare alcune regole di bilancio a partire dal 2016, dal pareggio di bilancio da conseguirsi ogni anno, alla riduzione del debito pubblico, fino a portarlo al 60% in venti anni.
Un aspetto interessante è che in Italia si parla di Fiscal Compact più che negli altri Paesi europei, e alcune forze politiche lo hanno usato come argomento durante la campagna elettorale per le europee.
In un certo senso ciò è comprensibile, perché l'Italia è uno dei Paesi con il debito più alto, quindi la richiesta di abbassarlo, portandolo al 60% in vent'anni, si traduce per l'Italia in una maggiore attenzione ai conti pubblici, rispetto a Paesi che partono con un debito più basso.


                                                       (dal blog di Beppe Grillo)

Tra le posizioni più radicalmente contrarie si distingue quella di Beppe Grillo, secondo cui "Il Fiscal Compact ammazza l'Italia", perché ci costringerebbe a fare una manovra da 50 miliardi l'anno per vent'anni (scrive Grillo: "In questa situazione il Fiscal Compact, che taglierebbe la spesa pubblica dai 40 ai 50 miliardi all'anno per vent'anni in mancanza di una fortissima crescita, del tutto impossibile, è irrealistico. Consegnerebbe l'Italia alla miseria con tagli neppure immaginabili alla spesa sociale, dalla scuola alla sanità, e ucciderebbe ogni possibilità di ripresa. Il Fiscal Compact lo ha firmato il signor Rigor Montis e lo ha ratificato il parlamento delle larghe intese che lo ha sostenuto. Il Fiscal Compact lo paghino Berlusconi, il pdexmenoelle, Napolitano e Monti se vogliono. Il M5S lo cancellerà."). Se fosse vero questo, Grillo avrebbe sicuramente ragione, ma in questo caso ci dovremmo domandare: come è possibile che i governi europei abbiano sottoscritto un trattato simile? I paesi col debito più basso dovrebbero essere veramente sadici, a costruire un meccanismo che ucciderà le economie di quelli col debito più alto (a cominciare da Italia e Grecia), e questi ultimi dovrebbero essere veramente masochisti ad aver sottoscritto un vincolo così micidiale. Ma dato che le economie sono interconnesse, e che se crollasse un'economia grande come quella italiana, si trascinerebbe con sé il resto d'Europa, e potrebbe anche provocare una nuova crisi mondiale (come si temeva nel 2011, nell'anno dello spread, quando gli occhi del mondo erano puntati, con preoccupazione, sull'Italia), in ultima analisi, più che "criminale", il Fiscal Compact sarebbe una misura folle e suicida.

Tuttavia, a ben guardare le cose non stanno così. Infatti, in condizioni normali già da solo il pareggio di bilancio rende quasi automatica la diminuzione del debito pubblico: se ogni anno lo stato non si indebita ulteriormente rispetto agli anni precedenti, è sufficiente una modesta crescita per ridurre il debito, che ricordiamo, è la misura di un rapporto, cioè debito pubblico totale diviso per il prodotto interno lordo. Dunque, basta aumentare il denominatore, il Pil, che già il debito scenderà da solo. Non a caso, i Paesi che hanno avuto per un certo periodo una crescita economica sostenuta, si sono ritrovati con un basso debito, senza doverlo ridurre, ma solo perché era aumentato il Pil. Ne è un esempio l'Italia del boom economico, che vide diminuire il debito al di sotto del 40% sul Pil, anche se in assoluto la spesa pubblica cresceva, solo perché il Pil cresceva ancora di più.
Si potrebbe obiettare che siamo ben lontani dagli anni del boom, e che la crescita non si vede da tempo. Questo è vero, ma rimane il fatto che se non riprende un minimo di crescita, l'Italia è comunque destinata a finire male. Quindi, il Fiscal Compact ci sprona a crescere, cosa che comunque dovremmo fare anche se non ci fosse, se non vogliamo tornare ad essere un Paese povero.
Naturalmente, per crescere, un Paese ingessato come l'Italia, dovrebbe fare delle riforme, quindi viene il sospetto che chi si oppone al Fiscal Compact non vuole le riforme. Non a caso, fino a questo momento le maggiori critiche al Fiscal Compact sono venute dalla "vecchia sinistra" (Fassina, Vendola), da leader populisti (Grillo, Meloni), e da un leader conservatore come Berlusconi, che nel corso dei suoi lunghi anni di governo si è distinto per non aver fatto riforme che rendessero più efficiente la pubblica amministrazione, e capace di far crescere l'economia italiana.

Un altro aspetto da considerare, è che il rapporto debito/Pil si riferisce al Pil nominale, che in presenza di inflazione, può crescere anche se non cresce la ricchezza reale. Se io l'anno scorso ho guadagnato 100.000 Euro, e quest'anno ne guadagno 102.000, il mio reddito nominale è aumentato del 2%, ma se nel frattempo anche l'inflazione è aumentata del 2%, il mio reddito reale è rimasto lo stesso. Ma se nel frattempo devo pagare le rate del mutuo, ad esempio di 500 Euro al mese, rispetto al mutuo la mia ricchezza è ufficialmente cresciuta, quindi il mio debito è diminuito.
Come si sa, l'inflazione è la peggiore nemica dei creditori (in questo caso la banca che mi ha erogato il mutuo), che si vedono ridurre il valore reale del loro credito, anche se viene regolarmente rimborsato, ed è la migliore amica dei debitori, che si vedono ridurre il valore reale del loro debito, che quindi possono rimborsare con meno problemi.
Non a caso il governo giapponese di Shinzo Abe ha deciso qualche tempo fa di aumentare l'inflazione, o almeno ci ha provato, facendo stampare alla banca centrale un'enorme quantità di moneta. E questo dovrebbe far riflettere quelli che sostengono che il debito non è un problema e che il Giappone con il suo debito al 240% è una prova che ci si può convivere benissimo. Il debito pubblico è comunque un problema, solo che ci sono diversi modi per ridurlo. Usare l'arma dell'inflazione, come sta facendo il Giappone, è un modo per scaricarlo sulla popolazione in maniera subdola, riducendo il potere d'acquisto dei cittadini.
Comunque, anche rispetto all'inflazione, si potrebbe obiettare che in un'Europa a guida tedesca, e con la Bce che ha lo scopo di tenere l'inflazione sotto al 2%, è difficile che si crei un'inflazione notevole. Questo è vero, ma il combinato di una leggera inflazione e di una leggera crescita, in presenza di un pareggio di bilancio, sono già sufficienti a ridurre il debito pubblico rispettando il Fiscal Compact, senza ricorrere a quelle manovre lacrime-e-sangue paventati da alcuni.
In questo grafico interattivo si vede come non ci vogliano miracoli che rispettare il vincolo. Come si vede, è sufficiente un'inflazione all'1% e una crescita reale all'1,2%  per rispettare il vincolo.

Si possono modificare le singole voci per vedere come varierebbe l'andamento al variare di esse.

Con un'inflazione al 5%, si potrebbe rispettare il vincolo anche senza crescere, e anche se i tassi di interesse salissero al 5%. Ovviamente questa sarebbe una condizione poco felice, perché la ricchezza reale degli italiani diminuirebbe, quindi di fatto lo Stato scaricherebbe il proprio debito sui cittadini:


Manipolando i dati, si vede come per rispettare il patto è comunque necessario avere un buon avanzo primario (primary surplus), il che significa che lo Stato non solo non deve fare nuovi debiti, ma deve persino avere più entrate che uscite, al netto degli interessi, e questo deve avvenire stabilmente per vent'anni. In queste condizioni non è facile crescere, perché lo stato, costretto ad avere più entrate che uscite, non può stimolare la crescita con nuovi investimenti, a meno che non sia estremamente efficiente e riesca a ridurre gli sprechi in maniera considerevole, liberando nuove risorse.
Ad esempio, in assenza di avanzo primario, anche in presenza di una crescita costante al 3% e di un'inflazione al 2%, il patto non verrebbe rispettato, anche se in vent'anni il debito scenderebbe comunque all'84%:


Quest'ultimo scenario non sarebbe affatto negativo, anzi sarebbe sicuramente migliore del primo: magari avessimo una crescita del 3% l'anno per vent'anni! D'altro canto una crescita del genere non si stabilisce per decreto, soltanto azzerando l'avanzo primario: il governo Berlusconi nel periodo 2001-2006 azzerò l'avanzo primario, eppure non riuscì a produrre nuova crescita. Quindi, per crescere non basta spendere: bisogna spendere bene.

In sintesi, ci possiamo chiedere: per un Paese come l'Italia, rispettare il Fiscal Compact sarà facile? No, se non facciamo le riforme, se non riprendiamo sia pur di poco a crescere, e se non diventiamo più efficienti. Sì, se facciamo tutte queste cose. Ma se non le facciamo, siamo destinati comunque ad un inevitabile declino.

Ma c'è un altro aspetto che non viene considerato dai critici del Fiscal Compact, e cioè che non sono state previste sanzioni automatiche ed effettive per i Paesi che non lo seguissero. Questo significa che, all'atto pratico, almeno per ora il Fiscal Compact funziona più che altro come obiettivo di massima. Insomma, la cosa importante è che i singoli Paesi si impegnino a raggiungerlo, quindi l'Unione Europea si sta comportando come una maestra che valuterà la buona volontà degli allievi, magari promuovendoli lo stesso o al massimo rimandandoli. In queste condizioni, la tanto vituperata Germania (cioè il governo Merkel) ha dato prova di realismo: sembra quasi che si accontenti che i singoli Paesi non aumentino ulteriormente i loro debiti, e ciò è assicurato dal vincolo del pareggio di bilancio, sempre che il Pil non continui a scendere, si intende.




2 commenti:

  1. Ciao, se non ci sono sanzioni "automatiche" allora cosa l'hanno fatto a fare?

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  2. A quanto ho capito funziona così: le sanzioni sono semi-automatiche: la Commissione Europa valuterà la situazione dei Paesi tre vole all'anno, a febbraio, maggio e novembre, a cominciare dal novembre 2015, si accerterà se qualcuno sta deviando dal piano di rientro, valuterà se la deviazione è solo temporanea o sembra proprio strutturale (valutando la tendenza degli ultimi tre anni e la previsioni per i prossimi tre), e se pensa di sì, comincia a minacciare il Paese in questione di avviare una procedura di infrazione, a meno che non si siano verificati "eventi straordinari e fuori dal controllo del governo". Poi avvia la procedura di infrazione, e se il Paese non risponde, prendendo dei provvedimenti, potrà segnalarlo alla Corte di Giustizia Europea, che alla fine lo potrà sanzionare con una multa fino allo 0,1% del Pil. Diciamo che è un inizio, un'indicazione, è chiaro che i Paesi membri, una volta sottoscritto il patto, dovranno dimostrare di andare in quella direzione, ma sarà interessante vedere cosa accadrà all'atto pratico. http://en.wikipedia.org/wiki/Fiscal_compact

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