lunedì 4 luglio 2011

Violenza minoritaria


La guerriglia nel cantiere Tav della Val di Susa ha a mio avviso spostato l'attenzione in maniera eccessiva sulla violenza diretta ed esplicita, sicuramente da condannare, di cui si sono resi protagonisti alcuni manifestanti, i cosiddetti "black block". Ma a mio avviso c'è una forma di violenza più subdola, di cui si sono resi protagonisti quelli che hanno teorizzato o tentato il blocco del cantiere.
Il TAV è una grande opera europea, avallata da tutti i governi d'Europa, di destra e di sinistra, e dunque fino a prova contraria è approvata dalla maggioranza degli italiani (oltre che degli altri popoli europei). Che io sappia l'Italia è l'unico Paese in cui la costruzione della ferrovia ha generato tante proteste.
In ogni caso, anche ammettendo che si tratti di un'opera inutile e dannosa (ma ho dubbi sul fatto che noi siamo gli unici intelligenti che l'hanno capito in tutta Europa), visto che trova d'accordo la maggioranza della popolazione, e visto che siamo in democrazia, bisogna accettare la volontà della maggioranza anche se non si è d'accordo. Certo, si può tentare di convincere chi non è d'accordo, chi si ritiene non informato ecc., delle proprie ragioni, ma se non ci riesce, si deve accettare la volontà della maggioranza.
Se si vuole, questa è una prova di senso democratico, prova che non hanno passato non tanto quelli che sono andati a manifestare o quelli che hanno espesso dissenso (manifestare o esprimere dissenso è lecito), ma quelli che hanno provato a bloccare il cantiere. Tentare di bloccare un cantiere voluto da un governo democraticamente eletto, e anche dal precedente governo di diverso colore politico, è un atto di violenza. Se veramente i "No Tav" sono sicuri di avere dalla propria parte la maggioranza della popolazione (italiana, non solo quella del luogo) avrebbero potuto indire un Referendum. Se avessero una rappresentanza politica sufficiente, potrebbero (anzi avrebbero potuto) andare a far valere le proprie ragioni in sede di Unione Europea.
Insomma, una protesta deve essere adeguata alla portata di ciò contro cui si protesta, quindi non ha senso limitarsi al livello locale quando si contesta un'opera voluta dal governo e dall'Europa.
Purtroppo però in Italia c'è la tendenza ad anteporre l'interesse particolare a quello generale.
Posso capire al limite le proteste della popolazione locale, che essendo coinvolte direttamente hanno il diritto di manifestare la proprio contrarietà, al limite al livello della disobbedienza civile, che comunque non è violenza (ed essendo poi pronti a pagarne le conseguenze). Ma se si dovesse sempre partire dalle opposizioni locali, non si potrebbe fare niente, ad esempio non si sarebbe potuta costruire l'Autostrada del Sole, che ha espropriato case e terreni.
La pletora di argomenti che vengono portati dai "No Tav" è interessante, perché con quella logica non si sarebbe mai fatto niente. Ad esempio si sostiene che è inutile costruire una ferrovia di tal genere, perché i dati dimostrano che negli ultimi anni il traffico delle merci e delle persone tra Italia e Francia non è aumentato. Ma con questa logica si poteva sostenere che costruire l'Autostrada fosse inutile, visto che all'epoca gli Italiani erano poco motorizzati e al massimo disponevano di una 500 o una 600. A cosa serve l'autostrada, ad andare al mare? Si può andare in bicicletta, si può andare a piedi, si può andare in treno (sempre che, almeno quello, si potesse costruire...).
Una volta costruito il corridoio Lisbona-Kiev, con una ferrovia ad alta velocità disponibile, è sensato pensare che via sia un aumento del traffico di persone e merci. L'Europa unita è nata con l'idea che l'unione delle economie di diversi Paesi potesse fare "massa critica", un po' come è accaduto negli Stati Uniti, e generare più benessere. Certo, si può essere contro questa movimentazione delle merci, come del resto si potrebbe pur sempre rinunciare all'autostrada e muoversi a dorso di mulo...
E' chiaro che nulla e dovuto, ma alla base c'è sempre una volontà politica. In Italia però tendono spesso a prevalere i no, dettati dalla logica dell'interesse particolare e locale, oltre che da una generica paura nei confronti delle novità.
Il discorso dei costi, poi, è ridicolo. Quando non si vuole qualcosa, si parla dei costi, senza contare i benefici. Un'opera pubblica è un investimento, che ha un costo, ma si prevede che in futuro porti anche un ritorno economico. Anche il discorso degli interessi economici, è ridicolo, perché qualunque cosa si faccia, c'è sempre qualcuno che ci guadagna.
In ogni caso, il punto che volevo sottolineare non è se sia o no giusto fare il TAV, ma la violenza insita nel tentativo di bloccare con la forza il cantiere. Una violenza minoritaria di chi pensa di avere il diritto di decidere contro la volontà della maggioranza, perché più informato, più intelligente, più preparato ecc. E' la sindrome leninista della "minoranza illuminata", che si sente in diritto di parlare e agire per conto del popolo, di avere il popolo dalla propria parte anche quando non ce l'ha.

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