martedì 18 febbraio 2014

Lo pseudo-keynesismo che ha rovinato l'Italia

L'economista britannico John Maynard Keynes aveva spiegato come durante le crisi fosse utile sostenere la domanda con iniezioni di spesa pubblica, ma questa politica, che può avere un senso nelle epoche di crisi, fu utilizzata dai governi italiani a partire dalla metà degli anni '60, quando si accorsero che il boom era finito e la spinta propulsiva della crescita sostenuta stava venendo meno. E così decisero di stimolare l'economia con un aumento della spesa pubblica, non supportato da un adeguamento dell'imposizione fiscale. Una volta messa in moto la macchina della spesa pubblica, che nel tempo andava aumentando, gradualmente il livello delle tasse cominciò a crescere per inseguire la spesa pubblica stessa, ma non raggiungendola mai, si provocò un deficit strutturale che durò all'incirca trent'anni, dal 1965 al 1995. Quella che doveva essere un'arma da usare nelle epoche di crisi e poi rimettere nel cassetto, è diventata una sorta di doping permanente.
Solo a partire dal 1992, con la crisi della lira e il Trattato di Maastricht, si dovette porre un freno a questa politica, riducendo il deficit su livelli più contenuti. Intanto il debito pubblico era arrivato al 125% sul Pil, risultando tra i più alti d'Europa. Da quel momento l'Italia ha smesso sostanzialmente di crescere, risultando incapace di produrre una ricchezza aggiuntiva senza la droga del deficit.
Ancora oggi ci portiamo dietro il fardello del debito pubblico, ma non solo: cosa ancor più grave, ci portiamo dietro le distorsioni della spesa pubblica clientelare e inefficiente, basti pensare alle pensioni baby, alle pensioni d'oro, ai troppi centri di spesa senza controllo, ai molti dipendenti pubblici che non hanno nulla da fare, ai costi della politica più elevati che negli altri paesi ecc.
Anche la corruzione è in un certo senso una forma distorta di spesa pseudo-keynesiana: se quello che conta è "sostenere la domanda", va bene anche dare e ricevere mazzette, purché si facciano "girare i soldi".
Contrariamente a quanto normalmente si crede, tutto questo è stato voluto: dalle regioni alle province, dalle migliaia di municipalizzate inefficienti e in perdita, tutto questo sistema è stato voluto dai politici, non solo per alimentare le clientele ed assicurarsi la rielezione, ma anche perché alla base c'era la convinzione che comunque si sarebbe fatta "girare l'economia".
Fintanto che il debito pubblico era basso, il mondo cresceva, e i giovani erano più dei vecchi, quindi la somma dei redditi era molto più elevata di quella delle pensioni, questo sistema poteva pure funzionare, ma intanto si andava accumulando il debito pubblico, a scapito delle generazioni future. La concorrenza internazionale non era elevata come oggi, e con le ricorrenti svalutazioni l'Italia recuperava competitività nei confronti degli altri paesi, ma questo non era sufficiente a fermare la crescita del debito pubblico, che prima o poi avrebbe presentato il conto.
Ma poi tutto questo perché veniva fatto? Per recuperare il gap con gli altri paesi, illudendosi che esistessero "pasti gratis". Eppure basta ragionare un attimo: se questo sistema funzionasse, il Messico potrebbe diventare ricco come gli Stati Uniti semplicemente stampando più moneta e spendendo di più nel settore pubblico, o la Bulgaria potrebbe diventare ricca come l'Austria ecc. Anzi, la prova che il gioco non funziona è data proprio dall'Italia: se fosse vero che il deficit crea da solo ricchezza, l'Italia oggi sarebbe il paese più ricco d'Europa.

Qualche settimana fa al programma di Michele Santoro erano ospiti Renato Brunetta e Federico Rampini, l'uno politico di Forza Italia (ex socialista), e l'altro giornalista economico di Repubblica. Ebbene, entrambi si sono detti d'accordo con le politiche "keynesiane", si spesa a deficit. Eppure in teoria dovrebbero trovarsi su sponde opposte. Ecco, questa è la prova che su certe scelte strategiche la destra e la sinistra condividono le stesse idee, e dunque sono state d'accordo nel portare avanti la stessa politica fallimentare. Del resto il presidente del consiglio che ha aumentato di più il debito pubblico è stato Berlusconi, ricalcando la politica del suo amico-predecessore Craxi, di finto liberismo associato ad una spesa pubblica inefficiente e clientelare. 
Ultimamente si sta diffondendo l'idea che l'Italia dovrebbe andare in Europa a battere i pugni sul tavolo e reclamare il diritto a sforare il limite del 3% del deficit richiesto dai parametri di Maastricht. Come se fosse questo che serve all'Italia: spendere di più. Due anni dopo il governo Monti, abbiamo ancora mille parlamentari, che sono ancora i più pagati d'Europa, abbiamo ancora le province e i dirigenti pubblici più pagati d'Europa. Ogni volta viene presentata una spending review che poi non si attua perché si fa strategicamente cadere il governo.
Insomma, mentre l'Europa ci chiede di fare le riforme, noi non le facciamo, e però la accusiamo di essere la responsabile dei nostri problemi, impedendoci di spendere. Come se l'unico modo per rilanciare l'economia fosse aumentare la spesa pubblica. A nessuno viene in mente che la spesa pubblica potrebbe essere ridotta o riqualificata, che se si diminuisse la pressione fiscale potrebbero aumentare i consumi e gli investimenti, che se si riducesse la burocrazia e si velocizzassero i tempi della giustizia il sistema diverrebbe più efficiente. No, ogni volta che si pensa ai problemi economici, scatta il riflesso condizionato del "trovare soldi da spendere".
Lo pseudo-keynesismo, consistente nel credere che si debba strutturalmente operare in regime di deficit e che tutte le risposte debbano venire dalla spesa pubblica, continua a fare danni.

6 commenti:

  1. Io sarei d'accordo in generale.
    Il deficit strutturale poi ha delle ripercussioni negative sulla crescita, ad esempio l'invasione di bot (dal rendimento sicuro) sul mercato fa si che gli investitori puntino meno sulle azioni private che quindi perdono di valore limitando la crescita delle imprese. Tanto per fare un esempio.
    Quindi in generale è vero.
    Però bisogna dire, che se c'è un momento in cui c'è da spendere è ora in tempo di recessione e rischio di deflazione, l'unico momento in cui non vale questo concetto è ora.
    E credo sia questa la differenza tra destra e sinistra: la destra italiana è populista e spendacciona da sempre (in passato per scongiurare una vittoria comunista, in seguito per far vincere Berlusconi e fare i suoi interessi), mentre la sinistra italiana lo si può vedere da qualsiasi finanziaria è sempre stata più attenta ai conti pubblici tradizionalmente rispetto alla destra le poche volte che è potuta entrare nella stanza dei bottoni. Lo sa bene Prodi che fu detestato da buona parte della popolazione per la sua finanziaria del suo ultimo Governo.
    Solo che ora nell'immediato per uscire dalla recessione ci vogliono interventi a sostegno della domanda, urgenti.
    Ciò non toglie che ragionando in prospettiva servono riforme, (da fare subito!), per rendere l'Italia più competitiva.
    Mi sembra che Renzi almeno nei discorsi abbia capito entrambe cose, parla anche di impulsi all'economia (detassazione del lavoro, più soldi in busta paga, lavori per le scuole, saldo dei debiti della PA verso i fornitori privati eccetera), ma infatti vuole prima fare le riforme per POI andare a trattare nuove condizioni con l'Europa sul Patto di Stabilità. Voglio vedere i fatti, però secondo me l'unico momento in cui si deve spendere di più è ora. Come dicono anche i keynesiani seri come Krugman eccetera, non è che dicono che bisogna sempre spendere in deficit, io ho studiato su libri Krugman e il deficit strutturale non lo vuole nemmeno lui, vuole solo sostenere la domanda quando essa crolla per effetto della recessione.

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  2. In parte anche in Italia e nell'area Euro c'è stato un sostegno alla domanda, tanto è vero che i debiti pubblici dal 2008 sono aumentati dappertutto. L'austerità è un po' una bufala, una vera austerità è stata praticata solo in Grecia e in Portogallo.
    Comunque, il problema è che l'Italia è un Paese refrattario alle riforme, e se non si fanno adesso, quando si faranno? La strategia del governo Letta è stata abbastanza chiara: facciamo qualche aggiustamento, il minimo indispensabile, per non fare arrabbiare l'Europa, aggiungiamo qualche promessa che non manterremo, sperando che passi la nottata, poi quando ci sarà la ripresa mondiale, noi la agganceremo, crescendo come al solito meno degli altri, ma tirando un sospiro di sollievo e mettendo da parte le riforme.
    Ora, non credo che gli altri paesi europei siano contenti di pagare il nostro debito, cosa che inevitabilmente accadrà se continuiamo a non crescere e ad avere una spesa pubblica inefficiente.
    I keynesiani seri quanti sono? In Italia Keynes è usato come una scusa per spendere senza criterio. In altri paesi (come Usa e Uk) hanno sostenuto la domanda, ma poi hanno anche impostato un piano di rientro del deficit. In Gran Bretagna hanno tagliato seriamente la spesa pubblica, ma nello stesso tempo hanno avviato un piano di investimenti. Da noi la spesa pubblica non si può tagliare, e poi ci lamentiamo che non ci siano i soldi per gli investimenti. I nostri sindacalisti e politici "keynesiani" vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca: non si taglia la spesa pubblica, non si riduce il debito, e però si aumentano gli investimenti.

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  3. Salve, scusate la mia ignoranza.

    Fondamentalmente, il problema non è spendere meno oppure di più, e parlo di spesa pubblica come di tante altre cose, bensì del come spendere.

    Cioè dell'onestà con cui si amministra il denaro pubblico.
    E spesso non sapendo gestire nemmeno quello proprio, specialmente se parecchio, figuriamoci questa gente al potere come si possa comportare con i soldi non suoi (anche se in realtà poi lo sono, perchè di tutti).
    Stupidità e disonestà, un cocktail micidiale!

    Ci deve essere una logica di moderazione e parsimonia, non di austerità, a partire proprio dal piccolo risparmiatore che (come disse una volta un noto filosofo) il "potere frusciante" lo possiede davvero in tutto e per tutto.
    Anche un solo piccolo Euro speso in una determinata maniera, ma da molti, fa la differenza, una enorme differenza.

    La mia domanda comunque era questa:
    "La CEE (che oggi si chiama?) e di tutti gli inghippi per i quali siamo costretti a comperare prodotti dagli altri dovendo buttare i nostri, non potrebbe essere questa la vera causa di tutti i mali legati al PIL, importazioni, esportazioni, produzione, ecc., ecc. ?"

    Scusate la poca chiarezza.
    Cordiali Saluti.
    LexMat

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  4. Non sono sicuro di aver capito bene la domanda, comunque se ti riferisci alle limitazioni alle produzioni in certi settori, come ad esempio l'agricoltura, non credo perché nel complesso con l'Euro il volume totale degli scambi all'interno dell'area è aumentato, anche se meno di quanto si pensava prima di farlo.

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  5. Intendevo il fatto che siamo costretti a buttare (letteralmente) latte od altri prodotti per dover comprare obbligatoriamente quelli altrui, appunto latte come anche pesce, carne, ecc.
    Con la CEE mi ricordo (ma purtroppo non approfonditamente) questo fatto che limitava la possibilità di, per dire, campare solo di cose proprie e dover comperare la "mondezza" altrui.
    Non è questione di volume di scambi con l'euro o la lira, si tratta proprio dell'essere purtroppo obbligati a scambiare.
    Saluti e grazie ancora per l'attenzione.

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  6. Mah, di per sé scambiare è una cosa positiva, perché consente ai consumatori di scegliere i prodotti che ritengono migliori. Io direi che non si dovrebbe essere obbligati a non scambiare, perché i Paesi che si chiudono al mondo e provano a vivere solo con i propri prodotti, inevitabilmente col tempo si impoveriscono.

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