lunedì 20 settembre 2010

Le (finte) divisioni nel Pd


Il ritorno di Veltroni, due anni dopo le elezioni che lo videro sconfitto da Berlusconi (ma per la sinistra una sconfitta onorevole è quasi una vittoria), con il famigerato documento già firmato da 75 parlamentari, agita le acque del Pd. I più maligni si saranno già chiesti: ma non doveva andare in Africa?
Il problema è che in questo Paese i politici si ritengono indispensabili, soprattutto se sono sulla scena da decenni, e nella vita non saprebbero cosa altro fare, se non si occupassero di politica. In altri Paesi chi perde le elezioni va a casa, e non muore nessuno.
Per questo motivo, le divisioni all'interno del Pd, tra D'Alema e Veltroni, e tra dalemiani e veltroniani, sono più che altro di facciata. Li accomuna, infatti, l'intento di non mollare mai, di rimanere sempre e comunque nella classe dirigente, convinti che, senza di loro, il mondo crollerebbe.
Poiché però con questa classe dirigente (come aveva già profetizzato Nanni Moretti molti anni fa), la sinistra non vincerà mai, ecco che ci si pone la spinosa questione: cosa fare per arrivare a vincere (senza ovviamente andare a casa)? Le opzioni sono due: l'opzione-D'Alema (allearsi con cani e porci pur di raggiungere il 51% dei voti, non importa cosa succede dopo, tanto siccome noi siamo più furbi, i nostri alleati li sapremo manovrare a nostro vantaggio), e l'opzione-Veltroni (prendere un leader esterno al partito per far finta di essere capaci di rinnovarsi e aperti alla società civile). A nessuno di loro viene in mente che il problema principale del Pd è di essere una oligarchia, in cui l'intera classe dirigente non ha più la fiducia della sua stessa base elettorale, dopo aver governato due volte (1996-2001 e 2006-2008) senza essere riusciti a fare le rifome importanti per il Paese (escluso l'ingresso in Europa del primo governo Prodi, non a caso mandato subito dopo a casa da D'Alema e Bertinotti, nel 1998), e senza essere riusciti a superare l'anomalia berlusconiana. E così il Pd, nonostante la crisi berlusconiana, continua a navigare nei sondaggi intorno al poco promettente 26%. Per questo Veltroni ha ritenuto di dover tornare per dare il suo contributo, riportando in auge i suoi famosi "ma anche": ci rinnoviamo ma anche siamo sempre gli stessi, non vogliamo alleanze con la sinistra radicale ma anche sì, siamo nuovi ma anche vecchi. I "ma anche" di Veltroni, come il suo cosiddetto buonismo, sono il risultato dell'incapacità di sciogliere i nodi e le contraddizioni in cui si dibatte il Pd da quando è nato. Ormai fanno parte del dna della sua classe dirigente. Per sopravvivere ha bisogno di contraddirsi, di essere una contraddizione vivente.
A questo punto la ricetta del sindaco di Firenze Matteo Renzi (rottamare in toto la classe dirigente del Pd) appare l'unica possibile, prima dello sfacelo definitivo.

sabato 11 settembre 2010

La crescita che non c'è

Nelle ultime settimane i dati provenienti dall'America, ma anche dall'Europa, mostrano come la ripresa economica sia particolarmente debole e incerta. La cosa non dovrebbe stupire, visto che non è stata rimossa la gran parte delle cause che hanno determinato la crisi.
Eppure si continua a sperare che tutto riparta come prima. In Italia poi i mass media si sono occupati pochissimo della crisi, e quasi sempre soltanto per annunciarne la fine (secondo il governo la crisi era già finita un anno fa). Puroppo ora si vede che non è così.
L'errore principale che si commette è che si presuppone che l'economia debba riprendere a "crescere". Ma se l'economia americana, che trainava tutta quella Occidentale, era basata sulle speculazioni e sui debiti, come può riprendere a crescere se non viene prima risanata? Sarebbe come pretendere che un ubriaco che si è schiantato con la sua automobile, riprenda a correre prima che gli sia passata la sbronza. Il PIL degli Stati Uniti è calato, in seguito alla crisi, di pochi punti percentuali, quando era gonfiato dal debito privato, dal debito estero e dalle bolle speculative borsistica e immobiliare in maniera ben maggiore. Per essere ripulito avrebbe dovuto crollare almeno del 30%, più o meno come negli anni '30 in seguito al crollo della Borsa del 1929. Ma per evitare il tracollo, il governo (prima Bush poi Obama) ha salvato tutte le banche e le industrie che rischiavano di fallire (tranne la Lehman Brothers), trasferendo una grossa parte dei debiti sul settore pubblico.
Il risultato è che il Pil continua ad essere gonfiato, solo che ora a fare la parte dello "speculatore" è lo Stato. Poiché però lo Stato non può continuare a indebitarsi, prima o poi dovrà ridurre il peso dei suoi interventi, e in seguito dovrà cercare di smaltire il suo debito nel frattempo divenuto enorme. Tutto questo sarà a detrimento della famosa crescita, che dunque non ci sarà neanche nei prossimi anni. Quindi, per evitare il crollo subito, si è posta una pesante ipoteca sulla crescita futura. Forse questo era necessario, per evitare una disoccupazione di massa (che comunque è arrivata al 10%), ma siccome non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, almeno non si faccia finta di credere che la ripresa è dietro l'angolo.
Ci aspettano anni di stagnazione (e se c'è la stagnazione in America, c'è pure in Europa), e c'è persino il rischio di una nuova recessione. Per carità, questo non è il peggiore dei mali, del resto la crescita infinita è poco credibile. Ma allora invece di puntare sulla crescita (che non ci sarà), tanto vale puntare sulla redistribuzione del reddito, per alleviare le sofferenze di quella fascia della popolazione che si trova in difficoltà economiche, e per ripianare un po' le enormi disuguaglianze che si sono create in trent'anni di neo-liberismo e deregolamentazione selvaggia dei mercati.