domenica 24 luglio 2011

La crisi e lo spirito di una nazione


In genere quando si parla delle crisi economiche, se ne attribuiscono le cause all'incapacità o alla cupidigia dei governi, come se le popolazioni non giocassero alcun ruolo nel modo come è organizzata una società, e quindi anche della nascita delle crisi stesse.
Io invece penso il contrario, non soltanto perché, come si sa, in democrazia un Paese ha la classe dirigente che si merita, nel senso che i politici provengono dalla società e vengono da essa votati, ma anche perché nello specifico il carattere di un popolo ne determina gli errori e gli squilibri anche a livello politico.
Per questo non mi trovo d'accordo con di politici o comici che demagogicamente attribuiscono tutte le colpe ai politici, e fanno credere che il popolo sia perfetto. Non dovendomi candidare, posso dire quello che penso senza cercare di illudere o di blandire nessuno.
Alcuni esempi di recenti crisi o dissesti finanziari sono lampanti. La città di Parma, ad esempio, ha scoperto da poco di essere una delle più indebitate d'Italia, con un debito complessivo delle società partecipate del comune che si stima sui 600-700 milioni di Euro. Apparentemente, è tutta colpa del sindaco e dell'amministrazione. Ma il sindaco, che ora i critici definiscono "un ex Pr lampadato", è stato votato dai Parmigiani (con la presentazione di Berlusconi, una garanzia di affidabilità), ed è stato votato in virtù di un programma che prevedeva grandi opere, tra cui un ponte faraonico su un torrente, e persino la metropolitana. In fondo il carattere tipico della città, dove si dà molta importanza all'apparire e allo sfoggio di ricchezza, sono alla base di questo desiderio di grandezza, che ha generato (insieme naturalmente ad uno scarso senso etico, in fondo connesso alla stessa apparenza) l'attuale dissesto. Altri fallimenti famosi nel settore privato della città, come il crack della Parmalat, ad oggi il più grande della storia d'Europa, ricordano il carattere di città ducale di Parma, che vuole essere più grande di quello che è, in ricordo del suo ruolo di capitale, sia pure di un piccolo ducato.
Che dire poi del fallimento della Grecia? Qualche anno fa, in occasione delle Olimpiadi, un'amica greca che viveva in Italia mi disse: "vedrai che i Greci cercheranno di entrare negli stadi senza pagare, la mentalità è quella". E sul Venerdì di Repubblica, tra le dichiarazioni dei cittadini greci intervistati sull'attuale crisi, spiccava una risposta che suonava più o meno così: "il cittadino ha il diritto di essere stupido e ignorante, lo stato lo deve proteggere". Dove si vede il vizio, tipicamente mediterraneo, di aspettarsi dallo Stato più di quanto si sia disposti a dare. Del resto, se in Grecia l'evasione fiscale è molto più alta mentre l'età pensionabile è molto più bassa che in Germania, questo dirà qualcosa della mentalità greca, o sarà sempre soltanto colpa del governo? Del resto, è vero che il precedente governo aveva truccato i conti, ma questo è stato fatto seguendo l'andazzo di una società che ha interpretato l'ingresso nell'Euro come una festa, cioè come la possibilità di moltiplicare le spese scaricando le responsabilità su altri. E ora che le cose vanno male molti attribuiscono tutte le colpe all'Europa e alla Germania...
Anche il (per ora solo ipotetico) fallimento degli Stati Uniti dice molto sulla mentalità americana: l'enorme debito pubblico è stato accumulato a causa delle spese militari, dovute al desiderio dell'America di essere il poliziotto (o lo sceriffo) del mondo, cioè di dominarlo invece di pacificarlo, accostato alla volontà di stendere ponti d'oro e tappeti rossi per i ricchi, in una società dove il 16% crede di far parte dell'1% più ricco, e in cui il denaro è per moltissime persone il valore fondamentale, lo scopo della vita. Dunque, lo Stato è nemico (anche se non si rinuncia certo alla pensione o al pronto soccorso gratuito, per esempio), le tasse devono essere basse, per lasciare ai privati la possibilità di spendere il più possibile, i ricchi devono essere lasciati in pace e non devono contribuire perché sono "la crema della società" a cui tutti vorrebbero appartenere, però le spese militari non si toccano, anzi più sono alte, e meglio è. Per fare un paragone, in Svezia vige la mentalità opposta, di tipo egualitario: infatti là si dice che "nessuno si deve sentire molto migliore degli altri".
Tutto questo naturalmente serve per riflettere sulla situazione dell'Italia. E' chiaro che la mentalità di un popolo non riguarda tutti, ma è qualcosa di abbastanza diffuso da determinare le scelte individuali e collettive.
Se l'Italia fino a questo momento non è finita come la Grecia, è perché i difetti tipici dei popoli mediterranei, che hanno portato anche noi a scavare anche un enorme debito pubblico, sono stati compensati da una maggiore capacità produttiva, quindi una maggiore etica del lavoro, soprattuto in certe zone (il Nord). In altre parole, con tutto il rispetto, la Grecia non ha la Fiat, la Ferrari o la Ferrero. Ora però che le imprese vengono spremute per tenere in piedi l'enorme macchina statale, se non si comincia seriamente a tagliare i costi dello Stato, anche se non andremo falliti, saremo condannati a tirare a campare, a sopravvivere in un lento ma inesorabile declino.

venerdì 8 luglio 2011

Il Pd e la Casta


Brutti tempi per i partiti. Mentre gli elettori del Pdl e della Lega, anche i più ottimisti, si stanno rendendo conto che i loro rappresentanti al governo non intendono fare le riforme che avevano promesso, a cominciare dal taglio delle tasse e dalla riduzione della spesa pubblica, se non per il minimo indispensabile che consenta di onorare gli impegni presi con l'Europa, gli elettori del Partito Democratico sono di nuovo alle prese con fatti poco edificanti che coinvolgono il principale partito di centro-sinistra.
La questione morale torna alla ribalta: se il Pdl è ormai abitualmente coinvolto nelle inchieste giudiziarie, tanto che quasi non ci si fa più caso, il Pd è tornato ad essere coinvolto in un'inchiesta, quella relativa all'Enac e alle tangenti ai politici da parte di imprenditori interessati ad ottenere degli appalti. Riguardo a quest'ultima inchiesta, al di là delle eventuali responsabilità che starà alla magistratura stabilire, ci si chiede come fosse possibile che lo stesso uomo fosse amministrazione dell’Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) e contemporaneamente coordinatore nazionale dell’area Trasporto aereo del Pd. Siamo di fronte ad un conflitto di interessi che mostra il carattere dei partiti italiani, che in luogo di vedere la politica come amministrazione del bene pubblico, la vedono come potere da occupare.
La recente votazione parlamentare in cui il Pd si è astenuto sulla proposta di abolizione delle Province proposta dall'Idv e appoggiata dal Terzo Polo, ha gettato una luce ancor più sinistra su un partito che alle ultime elezioni aveva ottenuto un buon risultato, forse più per demeriti altrui che per meriti propri. Del resto il modo come il Pd ha condotto la campagna elettorale, con il buon lavoro di Bersani e il sostanziale silenzio del resto della classe dirigente, mostra il tentativo, per ora riuscito ma che non può durare a lungo, da parte del Pd di mostrarsi come partito di governo, in grado di riformare il Paese, senza cambiare veramente. La classe dirigente è sempre lì, solo che ha imparato che meno si fa vedere, più risultati ottiene. In attesa di tornare al governo, si intende.
Certamente il meccanismo delle primarie rappresenta un punto di forza che consente di intercettare le preferenze degli elettori quanto alla leadership, ma forse ci vuole qualcosa di più per impedire che lo stesso Pd venga travolto dall'ondata di antipolitica, che soprattutto in un'epoca di crisi come questa sta dilagando nel Paese.
Lo stesso fastidio che alcuni dirigenti del Pd mostrano di fronte al tema dell'antipolitica mostra la loro sostanziale incapacità di comprendere che sono finiti i tempi (se mai ci sono stati) in cui gli elettori appoggiavano i partiti in virtù dell'ideologia e dei valori di cui si facevano rappresentanti, senza chiedere azioni sostanziali, ma limitandosi ad un'opera di rappresentanza.
Fintanto che la classe politica italiana sarà iperprivilegiata rispetto a quella del resto d'Europa, l'antipolitica sarà una risposta sacrosanta, e nessuno potrà tirarsene fuori sbandierando una supposta superiorità morale (che all'atto pratico è anche dubbio che ci sia).
Fino a prova contraria il Pd è né più né meno del Pdl e della Lega un partito della Casta. Solo i fatti, e non certo l'indignazione di questo o quello, potranno smentire un'affermazione del genere.

lunedì 4 luglio 2011

Violenza minoritaria


La guerriglia nel cantiere Tav della Val di Susa ha a mio avviso spostato l'attenzione in maniera eccessiva sulla violenza diretta ed esplicita, sicuramente da condannare, di cui si sono resi protagonisti alcuni manifestanti, i cosiddetti "black block". Ma a mio avviso c'è una forma di violenza più subdola, di cui si sono resi protagonisti quelli che hanno teorizzato o tentato il blocco del cantiere.
Il TAV è una grande opera europea, avallata da tutti i governi d'Europa, di destra e di sinistra, e dunque fino a prova contraria è approvata dalla maggioranza degli italiani (oltre che degli altri popoli europei). Che io sappia l'Italia è l'unico Paese in cui la costruzione della ferrovia ha generato tante proteste.
In ogni caso, anche ammettendo che si tratti di un'opera inutile e dannosa (ma ho dubbi sul fatto che noi siamo gli unici intelligenti che l'hanno capito in tutta Europa), visto che trova d'accordo la maggioranza della popolazione, e visto che siamo in democrazia, bisogna accettare la volontà della maggioranza anche se non si è d'accordo. Certo, si può tentare di convincere chi non è d'accordo, chi si ritiene non informato ecc., delle proprie ragioni, ma se non ci riesce, si deve accettare la volontà della maggioranza.
Se si vuole, questa è una prova di senso democratico, prova che non hanno passato non tanto quelli che sono andati a manifestare o quelli che hanno espesso dissenso (manifestare o esprimere dissenso è lecito), ma quelli che hanno provato a bloccare il cantiere. Tentare di bloccare un cantiere voluto da un governo democraticamente eletto, e anche dal precedente governo di diverso colore politico, è un atto di violenza. Se veramente i "No Tav" sono sicuri di avere dalla propria parte la maggioranza della popolazione (italiana, non solo quella del luogo) avrebbero potuto indire un Referendum. Se avessero una rappresentanza politica sufficiente, potrebbero (anzi avrebbero potuto) andare a far valere le proprie ragioni in sede di Unione Europea.
Insomma, una protesta deve essere adeguata alla portata di ciò contro cui si protesta, quindi non ha senso limitarsi al livello locale quando si contesta un'opera voluta dal governo e dall'Europa.
Purtroppo però in Italia c'è la tendenza ad anteporre l'interesse particolare a quello generale.
Posso capire al limite le proteste della popolazione locale, che essendo coinvolte direttamente hanno il diritto di manifestare la proprio contrarietà, al limite al livello della disobbedienza civile, che comunque non è violenza (ed essendo poi pronti a pagarne le conseguenze). Ma se si dovesse sempre partire dalle opposizioni locali, non si potrebbe fare niente, ad esempio non si sarebbe potuta costruire l'Autostrada del Sole, che ha espropriato case e terreni.
La pletora di argomenti che vengono portati dai "No Tav" è interessante, perché con quella logica non si sarebbe mai fatto niente. Ad esempio si sostiene che è inutile costruire una ferrovia di tal genere, perché i dati dimostrano che negli ultimi anni il traffico delle merci e delle persone tra Italia e Francia non è aumentato. Ma con questa logica si poteva sostenere che costruire l'Autostrada fosse inutile, visto che all'epoca gli Italiani erano poco motorizzati e al massimo disponevano di una 500 o una 600. A cosa serve l'autostrada, ad andare al mare? Si può andare in bicicletta, si può andare a piedi, si può andare in treno (sempre che, almeno quello, si potesse costruire...).
Una volta costruito il corridoio Lisbona-Kiev, con una ferrovia ad alta velocità disponibile, è sensato pensare che via sia un aumento del traffico di persone e merci. L'Europa unita è nata con l'idea che l'unione delle economie di diversi Paesi potesse fare "massa critica", un po' come è accaduto negli Stati Uniti, e generare più benessere. Certo, si può essere contro questa movimentazione delle merci, come del resto si potrebbe pur sempre rinunciare all'autostrada e muoversi a dorso di mulo...
E' chiaro che nulla e dovuto, ma alla base c'è sempre una volontà politica. In Italia però tendono spesso a prevalere i no, dettati dalla logica dell'interesse particolare e locale, oltre che da una generica paura nei confronti delle novità.
Il discorso dei costi, poi, è ridicolo. Quando non si vuole qualcosa, si parla dei costi, senza contare i benefici. Un'opera pubblica è un investimento, che ha un costo, ma si prevede che in futuro porti anche un ritorno economico. Anche il discorso degli interessi economici, è ridicolo, perché qualunque cosa si faccia, c'è sempre qualcuno che ci guadagna.
In ogni caso, il punto che volevo sottolineare non è se sia o no giusto fare il TAV, ma la violenza insita nel tentativo di bloccare con la forza il cantiere. Una violenza minoritaria di chi pensa di avere il diritto di decidere contro la volontà della maggioranza, perché più informato, più intelligente, più preparato ecc. E' la sindrome leninista della "minoranza illuminata", che si sente in diritto di parlare e agire per conto del popolo, di avere il popolo dalla propria parte anche quando non ce l'ha.

domenica 3 luglio 2011

Il finto segretario


La nomina di Alfano a segretario del Pdl ha assunto aspetti paradossali. Si doveva superare il sistema dei tre coordinatori (Verdini, Scajola, La Russa), che invece sono rimasti al loro posto. Il segretario non è stato eletto ma è stato "proposto" da Berlusconi e acclamato con percentuali bulgare (un solo contrario). Non c'erano candidati alternativi.
In una intervista alla Stampa, Scajola ha ammesso che Alfano non è neanche un vero segretario.
Domanda della giornalista (A.Rampino): "Lei sa che la modifica apportata allo statuto fa sì che Alfano non sia un vero segretario politico, dato che sarà sempre Berlusconi a decidere, e non gli organismi del Pdl? La nomina a segretario in democrazia è elettiva e contendibile"
Siamo all'Abc della democrazia, che la giornalista deve insegnare al rappresentante del partito, che però essendo un ex democristiano lo conosce, e infatti risponde: "Sono d'accordo con lei. L'altro giorno abbiamo solo modificato lo statuto in modo da poter avere un segretario politico. Un primo passo, una ripresa di iniziativa. Ma concordo con lei che lo statuto va rifatto, con nuove regole per una vera elezione del segretario".
Insomma, la nomina di Alfano è stata soltanto l'ennesima operazione di maquillage di Berlusconi, abituato così ad ingannare i suoi stessi elettori da 17 anni.
Ma siccome la realtà è diversa dalla finzione, e nella seconda i nodi vengono al pettine, ecco che lo stesso Scajola riconosce che, laddove il dibattito interno è proibito e le correnti sono vietate, si formano le correnti segrete: "Le correnti non sono un fatto positivo. Lo sono in un partito incapace di affrontare il dibattito politico interno".
Ovviamente il vero nodo che nessuno vuole affrontare è la natura monarchica del partito, caso unico nei Paesi democratici (esclusa la Lega, anch'essa monarchica e leninista, con Bossi unico capo indiscusso). Quindi si fa finta di ignorare che, come è ovvio, laddove c'è un monarca, vi saranno anche vassalli, valvassori e valvassini, vi saranno nani e buffoni di corte, cortigiani e trame segrete.
Le intercettazioni recentemente pubblicate che mostrano cosa pensano l'uno dell'altro gli esponenti del Pdl, ne sono un fulgido esempio.
E' certamente triste dover constatare che quello che è stato per anni il primo partito italiano sia un partito di tipo stalinista, nonostante il tanto sbandierato anticomunismo. Ma questo, prima ancora che di Berlusconi, dice qualcosa degli Italiani, che sembrano sempre pronti a delegare a qualcun altro la responsabilità del governo del Paese.
Evidentemente, non siamo all'altezza della democrazia, che richiede uno sforzo di attenzione di partecipazione. Se pensiamo che la democrazia sia votare una volta ogni cinque anni e poi andare al mare, dopo non ci lamentiamo delle caste e delle cricche che infestano il Paese.

Link: L'acclamazione di Alfano