venerdì 28 dicembre 2012

Il ritorno dei moderati


E così il Pdl ha fatto cadere il governo Monti, dopo averlo sostenuto per un anno. Berlusconi è tornato in campo e si candida per la sesta volta come leader dei moderati. Il termine moderati si addice a questa coalizione, come si può capire da alcuni video che si trovano facilmente in rete:

Berlusconi telefona a Lerner e insulta lui e le ospiti della trasmissione
Berlusconi chiama "coglioni" quelli che non lo votano
Berlusconi insulta giornalista americano
Berlusconi insulta eurodeputato Schulz al Parlamento europeo
Rissa in Parlamento nel 1994. Deputato Paissan aggredito da deputati del Msi.
Rissa in Parlamento tra deputati della Lega e di Fli
Sgarbi lancia un tapiro in testa a Staffelli (Striscia la notizia)
La Russa prende a calci giornalista di Santoro
Santanché accusa Pisapia di stare con Hamas
Santanché saluta la Littizzetto con il dito medio
Emilio Fede urla e insulta i giornalisti della Zanzara
Borghezio deputato della Lega
Bondi si arrabbia a Ballarò contro Ezio Mauro e Franceschini
Letizia Moratti  accusa Pisapia di essere complice dei terroristi
Alessandra Mussolini a Porta a Porta ("meglio fascista che frocio")
Michaela Biancofiore si arrabbia a La7 con un giornalista inglese che osa criticare Berlusconi

Mancano pochi mesi, e dopo la parentesi del governo dei professori, potremo finalmente tornare ad essere governati dalla coalizione dei moderati. Non vediamo l'ora.











sabato 22 dicembre 2012

Il Papa e la natura


Il recente discorso del Papa Benedetto XVI contro le unioni omosessuali ha riportato al centro la riflessione sulla natura. Secondo il Papa, accettare l'omosessualità significa rinnegare la natura umana.
Ma in base a cosa si stabilisce qual è la natura umana? Una persona omosessuale che si sente per natura attratta da altre persone dello stesso sesso, starebbe andando contro la propria natura?
Il Papa vuole piegare il concetto di natura alla dottrina della Chiesa. La dottrina cattolica deriva dalla filosofia medievale di Tommaso d'Aquino. Ma nel Medioevo la visione scientifica del mondo si basava sul pensiero di Aristotele ed era completamente diversa da quella di oggi: si credeva che la Terra fosse al centro dell'universo, non si sapeva che il racconto della Genesi è scorretto, che la Terra ha più di 4 miliardi di anni e non poche migliaia, che gli esseri viventi sono imparentati tra loro e derivano da un antenato comune, e condividono la stessa struttura biologica (cellule, DNA). Oggi che si sanno queste cose, e che si sa che l'omosessualità è presente in molte specie animali, considerare l'omosessualità contro natura è semplicemente assurdo.
Interessanti sono poi i collegamenti, che effettua il Papa dandoli per scontati, tra la natura, la famiglia e Dio. "Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione". Come se fosse scontato che nella nostra natura sia scritto che si debba vivere in una famiglia monogamica eterosessuale.
Quindi è evidente che per natura il Papa non intende la natura reale, biologica, quella che può essere indagata dalla scienza, ma la natura così come è concepita dalla teologia scolastica medievale, secondo la quale Dio ha creato l'universo e l'uomo dando delle regole che entrambi dovranno seguire, l'universo in base alle sue leggi, l'uomo obbedendo alla sua volontà. Dunque non è in ultima analisi la natura in sé ad essere il punto di riferimento del Papa, ma Dio. Tutto si deve piegare alla volontà di Dio, compresa la natura e l'uomo. Il problema è che, per chi non crede, o chi crede in un'altra religione, non sono affatto scontate queste concatenazioni logiche. Non è detto che Dio esista; se anche esiste, non è detto che voglia quello che dice la Chiesa.
Il Papa non può imporre alla società il proprio pensiero, derivato tra l'altro da una nobile filosofia, ma vecchia di 800 anni. Nessuno impedisce ai cattolici di comportarsi secondo la dottrina della Chiesa, ma loro non possono impedire agli altri di seguire altre norme, altre regole morali.

venerdì 14 dicembre 2012

Beppe Grillo e l'espulsione dei dissidenti


Con l'espulsione di Federica Salsi e Giovanni Favia dal Movimento 5 stelle, Beppe Grillo ha gettato la maschera. In primo luogo è emerso, se già non fosse chiaro (questi due non sono certo i primi ad essere espulsi), che nel Movimento vige una sorta di dittatura, in cui due persone (Grillo e, si presuppone il misterioso Casaleggio) possono decidere a proprio insindacabile giudizio chi è dentro e chi è fuori.
Inoltre, con il post sul blog e il video annesso, Grillo ha ammesso che per lui la democrazia non è importante.
Sono interessanti il linguaggio e gli argomenti usati da Grillo. "A chi dice che non c'è stata democrazia perché i voti sono stati pochi io faccio una domanda: quanti voti ha preso ognuno dei mille parlamentari oggi in Parlamento? Chi ha deciso di quella gente lì? Ve lo dico io: 5 segretari di partito." Dunque Grillo ribalta le accuse sugli altri, sviando l'attenzione dal proprio caso. Siccome gli altri non sono democratici, possiamo non esserlo anche noi.
"Non venite a rompermi i coglioni (a me!) sulla democrazia. Io mi sto stufando. Mi sto arrabbiando. Mi sto arrabbiando seriamente." Insomma, certe critiche non si possono fare a Grillo, perché lui è lui. Un'autorità indiscutibile.
"Abbiamo una battaglia, abbiamo una guerra da qui alle elezioni. Finché la guerra me la fanno i giornali, le televisioni, i nemici quelli veri va bene, ma guerre dentro non ne voglio più. Se c'è qualcuno che reputa che io non sia democratico, che Casaleggio si tenga i soldi, che io sia disonesto, allora prende e va fuori dalle palle. Se ne va. Se ne va dal MoVimento. E se ne andrà dal MoVimento." Dunque, visto che siamo in guerra, mettiamo al bando le quisquilie come la democrazia. E in effetti è così: quando si è in guerra, non si pensa certo al rispetto delle regole.
Ma se il Movimento 5 stelle è in guerra, gli attivisti sono come soldati. Devono essere obbedienti e disciplinati. Ma in guerra per fare cosa? Cosa si pensa di ottenere attraverso la guerra?
Il comunicato riferito al ritiro del logo recita così: "A Federica Salsi e Giovanni Favia è ritirato l'utilizzo del logo del MoVimento 5 Stelle. Li prego di astenersi per il futuro a qualificare la loro azione politica con riferimento al M5S o alla mia figura. Gli auguro di continuare la loro brillante attività di consiglieri." In un certo senso è vero che loro e gli altri dissidenti avrebbero potuto rendersi conto da subito di appartenere ad un logo. Come recita il "non-statuto": "Il nome del MoVimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso." Dunque chi appartiene al Movimento è proprietà di un logo che a sua volta appartiene a Grillo. Questa mercificazione della politica è un risvolto curioso, da parte chi combatte la politica tradizionale, in nome della lotta agli sprechi e alla corruzione. Ma se l'alternativa è questa... Del resto sul sito di Beppe Grillo non mancano pubblicità, anche di multinazionali. Curioso, visto il contenuto di molti spettacoli del comico, che spesso si è scagliato proprio contro di loro.
Ma poi, perché gli attivisti del movimento non possono andare in tv? le buone idee dovrebbero essere capaci di farsi strada, indipendentemente dal mezzo di comunicazione. Invece quello che prevale è il sospetto che chi va in tv lo faccia per cercare una visibilità personale, che voglia usare la politica per fare carriera, per arricchirsi ecc. Inoltre, evidentemente si sospetta anche che gli spettatori a casa non siano in grado di farsi un'idea indipendente, anche ammesso che il talk show sia strutturato in modo da creare un tranello per l'ospite del movimento, che si presuppone sia ingenuo/a, incapace di evitare di cadere in trappola.
Insomma, Grillo mostra di avere scarsa fiducia nei confronti del prossimo, che sia o meno dalla sua parte.
Con il proseguo dell'attività politica del Movimento, appare sempre più chiaro che lo slogan "uno vale uno" significa in realtà "uno vale un altro". Gli attivisti e i candidati sono intercambiabili, sono tutti sostituibili, tranne i due capi, che hanno così un potere enorme. Come Berlusconi considera i suoi deputati come yes men che devono solo pigiare i tasti dicendo sì o no alle leggi in base ai suoi interessi, così Grillo considera i suoi come soldati che devono obbedire alle sue scelte.





lunedì 10 dicembre 2012

Il Manifesto ME-MMT

Il Paese di Cuccagna

Finalmente è arrivato il Manifesto ME-MMT. Un gruppo di valenti economisti americani si è messo in contatto con un coraggioso giornalista italiano, Paolo Barnard, per farci conoscere il modo, semplice e indolore, per diventare tutti benestanti in breve tempo.
Il programma è modesto, infatti si propone nientemeno che la "salvezza economica" per il Paese. Ma il lettore sa che può contare su ciò che vi è scritto, perché il programma assicura di se stesso di essere una "guida di massima autorevolezza". Quindi, procediamo!

L'Italia non ha colpe

Il preambolo, detto "memento", ci fa sapere che l'Italia sta vivendo una crisi per colpe interamente non sue. Infatti, "I Trattati europei, in particolare quelli associati all'Eurozona, ci hanno tolto la sovranità costituzionale, quella parlamentare e quella monetaria. Ci hanno tolto tutto. La crisi che oggi sta distruggendo l'economia e i diritti delle famiglie e delle aziende italiane come mai dal 1945 a oggi, viene da questo." Insomma, è tutta colpa dell'Europa, che ha "tolto tutto" all'Italia.

Il complotto contro l'Italia

L'introduzione, detta "spiegazione essenziale", ci spiega che in particolare la colpa è dell'Euro, perché è "una valuta che non è di alcuno Stato". Ora, se è così io mi chiedo come mai la crisi colpisca alcuni Paesi dell'area Euro più di altri, e perché la classe dirigente italiana sia voluta entrare nella moneta comune.. sarà masochismo?
Comunque il manifesto ci fa sapere che a causa dell'Euro "i 17 governi dovranno sempre batter cassa presso i mercati di cui sopra per ottenere la moneta con cui attuare la spesa pubblica". In realtà la spesa pubblica si può ottenere anche con le tasse, semmai i governi vanno sui mercati per attuare la spesa in deficit, cioè quella parte che va oltre le entrate dello Stato, oppure per ricollocare i titoli in scadenza. I Paesi che hanno uno spread molto alto hanno una effettiva difficoltà a finanziarsi sui mercati, ma non perché il loro debito sia in una moneta "di qualcun altro", ma perché i mercati non si fidano della loro capacità di ripagare il debito. Altrimenti, se fosse così, sarebbero in difficoltà tutti i Paesi dell'Euro, compresa la Germania, cosa che non è. Quindi, non è l'Euro in sé ad essere responsabile degli spread alti, cioè l'Euro non è una condizione sufficiente per la crisi, ma ha aggravato la crisi dei Paesi che già erano meno produttivi.
Quindi l'Euro ha contribuito, in seguito allo scoppio della crisi, a mettere in difficoltà i Paesi dalla minore produttività, i quali peraltro avrebbero avuto degli anni per recuperare il loro divario di competitività, ma comunque la crisi non è nata dall'Euro, ma dalla finanza americana nel 2008, cosa che in questo programma-manifesto non viene detto.
Secondo il manifesto ME-MMT, l'Eurozona "nasce da un progetto del 1943 per sottomettere le economie dei concorrenti industriali di Francia e Germania, e oggi ha purtroppo raggiunto quell'obiettivo". Se è così, gli Italiani e tutti gli altri Paesi sono gonzi perché si sono sottomessi volontariamente a Francia e Germania. (Qui notiamo en passant come ad esempio per Bagnai, che rispetto al livello di questo manifesto scrive come un premio Nobel, la Germania sia sostanzialmente l'unico beneficiario dell'Euro, e che la Francia sia la prossima vittima della crisi. Evidentemente anche i Francesi sono gonzi, dal momento che hanno complottato con la Germania per distruggere gli altri, e invece si sono suicidati pure loro).
La prova del complotto si ha a posteriori, in base a chi ha tratto i maggiori vantaggi dall'Euro: "l'Italia della Lira era nel 2000 la prima in Europa per produzione industriale, oggi siamo fra gli ultimi. Nel 2000 la Germania era ultima in Europa per produzione industriale, oggi è prima."
Ora, sarà anche vero che la produzione industriale dell'Italia negli ultimi anni è diminuita, ma questa frase è semplicemente un falso clamoroso, che tra l'altro denota una scarsa capacità di ragionare. Se è vero che l'Euro ha portato vantaggi alla Germania, è perché nella sostanza la sua capacità produttiva era già superiore a quella degli altri Paesi europei, quindi l'Euro ha semplicemente mantenuto o aumentato questa differenza, rendendo più difficile ai Paesi deboli di recuperare la competitività perduta con la svalutazione, come facevano quando disponevano di una moneta sovrana. Se veramente prima dell'ingresso dell'Euro l'Italia fosse stato un Paese così forte, sarebbe stata lei a sottomettere gli altri Paesi sfruttando la moneta unica.L'unica spiegazione di un errore così madornale è che gli autori abbiano confuso il dato assoluto con la tendenza, consultando un grafico come questo:




Insomma, quelli che vorrebbero essere i salvatori della Patria, non conoscono i dati economici e non sono in grado di leggere un grafico!
Ma, a proposito, chi sono gli autori di questo manifesto? La firma è del giornalista Paolo Barnard, ma poi sono riportati i nomi e le biografie di alcuni economisti americani e francesi: Warren Mosler, Alain Parguez, Mathew Forstater. Ora, si può capire per il giornalista, ma che degli economisti cadano in errori del genere è veramente curioso.

Piena occupazione subito

La Piena Occupazione (scritto rigorosamente in maiuscolo) è uno degli scopi principali di questo programma,  e ci viene assicurato che verrebbe realizzata in breve tempo, facilmente, senza problemi. In realtà non viene mai spiegato come si raggiungerebbe. L'unica cosa che si capisce è che lo Stato, ripresa in mano la possibilità di battere moneta, si metterebbe a stampare moneta, per finanziare una serie di opere pubbliche, fintanto che non si raggiunga la piena occupazione: "La Piena Occupazione di Stato non costa troppo. Il governo di uno Stato con moneta sovrana può e deve finanziare senza limiti la Piena Occupazione, poiché essa rappresenta la ricchezza indistruttibile dell'economia nazionale".
Nel programma non ci sono numeri, come è normale nei discorsi non scientifici, e dunque non si dice ad esempio quanto dovrebbe spendere lo Stato per raggiungere questo obiettivo. Ma è evidente che per riassorbire una disoccupazione di milioni di persone occorrerebbe spendere miliardi di Euro (ad esempio, per pagare 1.200 Euro al mese di stipendio a 3 milioni di persone, bisognerebbe spendere 4 miliardi e mezzo al mese in più, senza contare i contributi).
Ma cosa intende il manifesto ME-MMT per piena occupazione? non si capisce se intende rispetto alle statistiche sulla disoccupazione (cioè, si fa lavorare chi sta cercando un lavoro ma non lo trova), oppure rispetto al totale della popolazione in età da lavoro. Quest'ultimo caso prefigurerebbe una sorta di Stato totalitario in cui tutti sono costretti a lavorare, e più che di lavoro garantito si dovrebbe parlare di lavoro obbligatorio (o lavoro forzato). Vista l'impostazione un po' sovietica del manifesto viene da temere che sia questa l'interpretazione giusta, anche perché ci sono passi come il seguente che fanno pensare a ciò: "Infine, il PLG (ovvero il "programma di lavoro garantito" organizzato dal governo, n.d.r.) imprimerà al PIL nazionale una spinta inaudita, poiché non esisterà cittadino italiano improduttivo nei settori dei beni e dei servizi." Dunque tutti i cittadini italiani lavoreranno, cioè (se ne deduce) dovranno per forza lavorare.
In ogni caso, se lo Stato si mettesse a stampare moneta e a spenderla per realizzare nuove attività che possano assorbire disoccupati, è evidente il forte rischio di un'esplosione dell'inflazione. Ma il programma ci rassicura che ciò non si potrebbe mai verificare: "La Piena Occupazione aggiunge una spinta produttiva di beni e servizi enorme, ed essi vanno a pareggiare la massa monetaria circolante, impedendo alta inflazione". Peccato che ci voglia un po' di tempo perché le nuove attività vadano a pieno regime, né è detto che la produttività di attività finanziate dallo Stato sia alta. Quindi il rischio di finire come l'Unione Sovietica (sempre che l'iperinflazione non porti prima il Paese alla bancarotta), dove tutti avevano un lavoro e da mangiare, ma poco altro, sarebbe alto.
I sostenitori dell'intervento pubblico in economia, magari in tempo di crisi, almeno ammettono che con la spesa pubblica lo Stato si indebita. Qui invece viene detto che lo Stato, battendo direttamente moneta, non si indebiterebbe, anzi creerebbe ricchezza, secondo una versione paradossale del monetarismo (basta stampare moneta per produrre ricchezza).
Certo, per chi vuole credere a queste frasi apodittiche, va tutto bene così. Ma se fosse così, i programmi tipo "Cassa per il Mezzogiorno" avrebbero realizzato una "spinta produttiva enorme", e basterebbe assumere migliaia di statali per creare benessere e felicità per tutti.


I più forti sono i più deboli

La mancanza di una visione coerente si vede dall'atteggiamento del manifesto nei confronti dei Paesi esportatori. Ad esempio il Giappone a volte è considerato un Paese modello perché ha una propria moneta e un debito pubblico del 240% del Pil, altre volte è presentato come un Paese sfortunato, perché essendo la sua economia orientata alle esportazioni, avrebbe problemi, come anche la Cina e la Germania. Ecco che il manifesto ci propone una "analisi veritiera delle economie dei Paesi che si sono gettati sull'export, in primo luogo Cina, Giappone e Germania. Contrariamente a quanto di solito detto dai media genericisti, questi Paesi soffrono disfunzioni interne gravi, come il crollo dei consumi, cali significativi dei redditi reali, aumenti esasperanti dei ritmi lavorativi".
Quello di esasperare un elemento, che magari è presente, senza considerare i pro e i contro, è un tipico atteggiamento che non aiuta alla comprensione della realtà. Cina, Giappone e Germania sono le tre economie più grandi del mondo dopo gli Stati Uniti. Il Giappone e la Germania hanno un tenore di vita tra i più alti del mondo, mentre la Cina sta vivendo un impetuoso sviluppo che ha portato fino ad ora qualche centinaio di milioni di persone ad uscire dallo stato di povertà endemica in cui vivevano nell'epoca pre-industriale.
Invece di chiedersi come mai l'unico tra i Paesi più ricchi al mondo che non sia un Paese esportatore sono gli Stati Uniti, gli autori del manifesto ci raccontano che i Paesi esportatori stanno male. Alla base di questa critica dei Paesi esportatori vi è l'idea assurda che le esportazioni rappresentino un costo. Questo è smentito dal fatto che anche gli altri Paesi con il reddito medio più alto sono Paesi esportatori, come la Norvegia che è un esportatore di petrolio.


Limitare le esportazioni

Dunque, il programma propone la limitazione delle esportazioni.  L'idea è che la corsa all'export porti ad abbassare i salari e i consumi, peggiorando il tenore di vita, per cui: "un governo sovrano che mantenga sempre le Piena Occupazione interna deve permettere solo le esportazioni necessarie ad acquisire importazioni".
Questa frase è curiosa. Esportare è per i Paesi una necessità, proprio per potersi permettere di importare. Al mondo è praticamente impossibile trovare un Paese autosufficiente, che si possa permettere di non importare. E questo vale soprattutto per un Paese povero di materie prime come l'Italia.
Solo gli Stati Uniti possono andare in deficit con l'estero senza avere grossi problemi, perché la loro moneta è la moneta di riserva internazionale. Altrimenti, un Paese qualsiasi se importa più di quanto esporta, conoscerà una fuga di capitali che potrà essere contenuta soltanto da continue svalutazioni. Viceversa, esportare non si fa necessariamente con una diminuzione dei salari (deflazione). Si può fare anche con una produzione più tecnologica, ad alto valore aggiunto. Così fanno il Giappone e la Germania. Quanto ai salari, nonostante il fatto che siano più bassi di quelli occidentali, va ricordato che i salari cinesi sono in aumento da anni, come accade ai Paesi che stanno vivendo un processo di industrializzazione.
Ora però leggendo questo manifesto scopriamo che la fuga di capitali è impossibile, perché sarebbe solo un artificio contabile: "La fuga di capitali. Il governo sovrano che abbia compreso le realtà macroeconomiche spiegate dalla ME-MMT sa che la cosiddetta fuga di capitali è una finzione che non trova riscontro nelle operazioni monetarie reali. In un'Italia con moneta sovrana liberamente scambiata a tasso variabile, le Lire passeranno di mano, ma non andranno letteralmente da nessuna parte, nel senso che passeranno da un computer all'altro della Banca d'Italia (B.d.I.), come crediti che si spostano da un conto all'altro al suo interno."
Quindi con questo ragionamento, se miliardi di Lire venissero venduti all'estero e tramutati ad esempio in Dollari, non cambierebbe nulla, non verrebbero a mancare le Lire, nessuno si accorgerebbe di nulla. Peccato che invece con questo meccanismo molti Paesi sono andati in default.
"Le esportazioni sono un costo, le importazioni sono vera ricchezza per il Paese. Il principio fondante di un'economia funzionale al bene del 99% dei cittadini è il seguente: la vera ricchezza sono i beni e i servizi prodotti internamente, più quelli che il resto del mondo ci invia."
In pratica, vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. Vogliono importare, senza esportare in cambio. Qui si vede chiaramente l'impianto americano della "teoria". Per gli americani è facile ragionare così. Ma proporre una cosa del genere per l'Italia è ridicolo. Nessuno ci invierebbe beni e servizi se non esportassimo qualcosa in cambio. Ed essendo un Paese con poche materie prime e poco terreno coltivabile rispetto alla popolazione, se vogliamo vivere decentemente dobbiamo produrre qualcosa che interessi all'estero.
"Il governo sa che nella nuova economia di Piena Occupazione e di piena produzione l'Italia sarà un polo di investimenti esterni in valute cosiddette forti, utili a far acquisti all'estero. Il governo sa che ciò è testimoniato, fra le altre fonti autorevoli, dall'esempio degli Stati Uniti, i quali alla fine degli anni novanta detenevano il primato per investimenti esteri ricevuti proprio grazie a una disoccupazione praticamente a zero (2,8%)."
Questa frase ridicola scambia la causa con l'effetto. Gli Stati Uniti ricevono investimenti dall'estero perché hanno la moneta di riserva mondiale, per cui i Paesi esportatori che ricevono dollari, li reinvestono almeno in parte in America, finanziando il loro enorme debito. Qui si dà per scontato che ciò che ci si augura (piena occupazione, ricchezza, investimenti dall'estero), si realizzi senza problemi, con un programma stranamente mai tentato fino ad ora. 
In ogni caso, è evidente che se lo Stato si mette a limitare le esportazioni, dovrà poi provvedere anche a recuperare quella parte di ricchezza perduta (dal momento che vuole mantenere la piena occupazione), e dunque il suo intervento nell'economia sarebbe ancora più grande. Ad esempio, se lo Stato impedisse di importare le auto dall'estero, sostenendo che ce le possiamo produrre anche da soli, costringerebbe sostanzialmente gli Italiani ad acquistare le Fiat, magari finanziando l'apertura di nuove fabbriche, oppure dovrebbe lui stesso dar vita ad una azienda pubblica di automobili. Oppure potrebbe incentivare l'uso delle biciclette...

Tasso zero ma niente inflazione

Secondo questo programma, lo Stato si mette a spendere in deficit, ma non si finanzia attraverso le tasse; in questo modo aumenterebbe il debito pubblico. Ma secondo questo programma il debito pubblico non è un problema, perché il debito dello Stato corrisponde al credito dei cittadini: "Il governo italiano seguirà la linea guida fondamentale dei bilanci setto­riali di Wynne Godley, e della ME-MMT: non può esistere un debito senza un equivalente e identico credito. Ciò si applica ovviamente anche al de­bito di Stato, per cui risulta evidente che esso è il credito/risparmio di chi lo detiene (italiani o stranieri)."

Qui si dimentica che il debito dello Stato è la ricchezza reale dei suoi finanziatori nel mondo reale, cioè si tratta di una ricchezza che già si è creata, e che qualcuno decide di prestare allo Stato. 
Nel mondo reale, se lo Stato decide di dar vita ad un programma di opere pubbliche, può finanziarsi attraverso le tasse, o emettendo titoli di debito, e collocandoli sul mercato, in modo da ricevere i prestiti dei risparmiatori. In entrambi i casi, il finanziamento avviene attraverso ricchezza già esistente, già prodotta. 
Invece nel programma ME-MMT, lo Stato si finanzierebbe stampando moneta, senza preoccuparsi dunque di ricevere finanziamenti sul mercato. Il programma propone inoltre di abbassare a zero per decreto il tasso di interesse. Anzi lo Stato non emetterebbe neanche titoli di debito, dato che avrebbe accentrato tutte le funzioni economico-finanziarie. "Tutto il denaro speso dallo Stato si accumulerà quindi nelle riserve delle banche presso la Banca d'Italia, sulle quali riserve può essere pagato un interesse 0, o poco più. Il coordinamento fra governo e Banca d'Italia sulla gestione degli interessi sul denaro di cui sopra, e su quello che la Banca d'Italia presta alle banche, assicurerà che i tassi rimangano al target desiderato dal governo, che dovrebbe essere 0, per favorire l'economia privata."

Il problema però è che il tasso di interesse consente di tenere sotto controllo l'inflazione. Un conto è dire che i Paesi come il Giappone hanno un tasso di interesse quasi pari a zero, perché se lo possono permettere avendo una situazione finanziaria solida (infatti sono pieni di riserve perché esportano parecchio), un altro è pretendere di avere il tasso zero per decreto, senza curarsi delle conseguenze. Il Giappone può praticare il tasso quasi a zero perché continua a trovare qualcuno che gli finanzia il debito, e questa è la prova che i mercati giudicano che il suo debito sia sostenibile. Se eliminassimo i controlli di questo tipo, cosa potrebbe succedere? E se l'inflazione aumentasse fino a livelli incontrollabili? 

Il programma ci assicura che non ci sarà inflazione, infatti "l'inflazione da eccesso di domanda non è un pericolo finché la produ­zione non si riduce drammaticamente, poiché è l'eccesso di denaro con carenza di prodotti che causa inflazione." Ma il rischio di ridurre la produzione è alto proprio quando lo Stato si prende in carico una parte rilevante dell'economia, abolendo al contempo quegli strumenti di controllo come il tasso di interesse. "La Banca d'Italia annuncia una politica di tassi 0 sull'esempio del Giap­pone. Svalutazione e inflazione saranno funzioni sovrane controllate da Roma in coordinamento con la Banca d'Italia." Sì grazie, ma come? come si può controllare l'inflazione per decreto? 


Abolire la finanza

Il programma prevede di statalizzare le banche, e di abolire del tutto la finanza. In pratica, le banche non potrebbero fare altro che prestare una quota dei loro depositi: "Uno Stato pienamente sovrano deve regolamentare il settore bancario nell'esclusivo Interesse Pubblico. Primo: eliminare interamente il settore finanziario che è parassita."
Ancora una volta si vede la tendenza ad abolire ciò che non piace, anziché chiedersi per quale motivo è nato e perché esiste in tutto il mondo. La finanza consente di produrre ricchezza, non sarebbe meglio chiedere di regolamentarne gli eccessi piuttosto che abolirla?
E' evidente che con questo programma (limitazione alle esportazioni, tasso zero, finanza ridotta al minimo, intervento dello Stato sempre più grande) di fatto si abolirebbe lo stesso mercato. Nonostante il fatto che si riconosca a parole uno spazio per l'iniziativa privata, di fatto non saremo molto lontani dall'Unione Sovietica.

L'Interesse Pubblico

L'interesse pubblico, tra l'altro scritto in maniera un po' inquietante con la maiuscola, compare più volte in questo scritto. "Secondo: si eliminino tutte le funzioni bancarie che esulano dal pubblico interesse.". Ma che cos'è l'interesse pubblico? chi lo dovrebbe stabilire?
E in quali settori investirebbe lo Stato? Anche ammesso che riesca a creare la piena occupazione, cosa farebbe in concreto? I disoccupati verrebbero pagati per fare cosa? Chi sarebbe a decidere, il governo?
In un'economia di mercato, una parte rilevante delle attività è decisa "dal basso", dalle esigenze della popolazione, in base alla legge della domanda e dell'offerta che porta gli investimenti nei settori dove c'è domanda. Se è lo Stato a decidere cosa produrre, si rischiano diseconomie, come accadeva in Unione Sovietica. 
Qui è evidente l'impianto autoritario di chi pretende di imporre a tutti la propria visione, ovviamente in nome del bene del popolo. Ad esempio si dice di voler abolire l'autonomia della banca centrale, per poterne restituire il controllo al popolo, ma poi si dice per filo e per segno cosa dovrebbe fare questa banca centrale, togliendole ogni possibilità di decisione.

Conclusione

Questo programma propone demagogicamente una soluzione semplicistica per risolvere tutti i problemi economici: lo stato si mette a stampare moneta, e così rende tutti benestanti. Una volta realizzata la piena occupazione, tutto andrà da sé. Non si fa menzione dei problemi di una società come l'Italia, dalla corruzione alla criminalità, dall'evasione fiscale all'istruzione e alla ricerca scientifica. No, la ricchezza è solo una questione di moneta. Batti moneta, e stai a posto. Strano che fino ad ora non ci fosse arrivato nessuno... sarà l'uovo di Colombo?
Recentemente questo programma è stato addirittura pubblicato sul Corriere della Sera, come inserzione a pagamento, pare con il contributo spontaneo di lettori e fans di Paolo Barnard.
A prescindere dal fatto che probabilmente un programma del genere non funzionerebbe, perché si produrrebbe una inflazione incontrollabile che produrrebbe presto la bancarotta del Paese (o meglio l'iperinflazione e la distruzione della valuta, come sostiene Krugman), ma comunque anche ammettendo che possa funzionare, assomiglia ad una riedizione del centralismo democratico, in cui lo Stato domina tutto. L'intenzione potrà anche essere buona, ma la storia ha dimostrato ampiamente che quando si pretende di rivoluzionare la società e di guidare l'economia dall'alto, si rischia di produrre più danni che benefici.
Ancora una volta poi, si dimostra come le utopie siano autoritarie. Chi propone una società perfetta finisce inevitabilmente di proporre una forte riduzione della libertà dell'individuo, anche se con lo scopo di renderlo felice.





sabato 8 dicembre 2012

Per fortuna che c'è Piero Angela


Ieri sera spero siano stati tanti gli spettatori che hanno assistito alla puntata speciale di Superquark dedicata alla crisi. Con il solito taglio, scientifico e rigoroso e dunque non ideologico, Piero Angela ci ha consentito di gettare uno sguardo sui principali problemi che ha di fronte un Paese come l'Italia, e proponendo una visione di lungo periodo, anziché la solita attenzione di corto raggio ai soli problemi del presente.
E così abbiamo potuto riflettere sui diversi elementi che rendono un Paese benestante, dall'istruzione alla ricerca scientifica, dal funzionamento della giustizia alla demografia.
In particolare è stato ricordato un aspetto se si vuole banale, ma che viene quasi sempre dimenticato nel dibattito politico italiano, e cioè che la ricchezza, prima ancora di essere redistribuita, deve essere prodotta.
Purtroppo questo viene spesso dimenticato, sia da destra, dove si tende a pensare che la "libera iniziativa" individuale sia sufficiente a generare ricchezza, come se non contassero anche le condizioni in cui ci si trova ad operare (il cosiddetto capitale umano, le infrastrutture ecc.), sia da sinistra, dove si tende a pensare che di ricchezza ne venga già prodotta a sufficienza, e che non rimanga altro da fare che cercare di redistribuirla, senza che questo tra l'altro possa comportare alcun problema.
Naturalmente questa puntata di Superquark potrebbe aver rappresentato uno spunto di riflessione interessante anche per quelli che tendono ad avere una visione semplicistica dei problemi, e tendono a ricondurre la crisi ad una sola causa (che può essere la finanza, l'Euro, il capitale, l'interesse, le banche, la Germania, Berlusconi, Monti ecc.).
Invece si è visto chiaramente come la ricchezza di un Paese dipenda da tanti fattori, la maggior parte dei quali ha a che fare con la qualità e la capacità delle persone in carne e ossa, e con le loro scelte. Studiare o non studiare, pagare o non pagare le tasse, cercare una raccomandazione o puntare al merito, non sono la stessa cosa. Con buona pace di quelli che, guardando solo ai flussi macroeconomici, dimenticano che questi sono il risultato della somma delle scelte individuali, e non sono leggi piovute dal cielo.
Ad esempio sono stati raccontati i casi di aziende che, collaborando con università, sono riuscite a produrre beni con un elevato grado di tecnologia e dunque in grado di competere sul mercato internazionale. Ed è stato ricordato che la collaborazione tra aziende e università in Germania è decisamente più frequente che in Italia, ed è per questo che la Germania è in grado di esportare in tutto il mondo. Ecco un esempio concreto di una cosa che si potrebbe fare, se lo si volesse, anziché limitarsi ad incolpare la Germania di essere più competitiva di noi. 


domenica 25 novembre 2012

Alberto Bagnai e la crisi dell'Euro


Alberto Bagnai, professore di economia all'università di Pescara, tiene un blog, chiamato Goofynomics, che ha un discreto successo tra gli anticapitalisti e i critici dell'Unione Europea, e ospita diversi interventi che ruotano sempre intorno allo stesso argomento: che l'Euro ha rappresentato una sciagura, e che dovrebbe finire al più presto, tornando alle monete nazionali, e consentendo ai Paesi poco competitivi di tornare alla svalutazione competitiva, che egli considera un evento senza conseguenze negative e dunque auspicabile. Recentemente, con il prolungarsi della crisi e in seguito ad alcune dichiarazioni di personaggi politici e comici (in particolare Grillo e Berlusconi) su una possibile uscita dell'Euro, è stato anche ospite di alcune trasmissioni televisive.

Il blog presenta pezzi molto lunghi, ma che se si escludono preamboli e digressioni, ruotano sempre intorno allo stesso argomento e ripetono sempre le stesse tesi.

Bagnai spiega la crisi dell'Europa con una sola causa (semplicismo) e cioè che in presenza di un cambio monetario rigido, i movimenti dei capitali privati tendono ad affluire dai Paesi più produttivi a quelli meno produttivi. I Paesi che producono poco e sono importatori netti vedono aumentare la propria inflazione e dunque perdono ulteriormente competitività. Oltre alle merci, i Paesi deboli o periferici ricevono capitali dagli stessi Paesi esportatori, che hanno bisogno di reinvestire le proprie riserve, e comincia così nei Paesi deboli un ciclo di crescita legato a bolle speculative, inflazione e perdita di competitività. Quando scoppia una crisi, per motivi interni o esterni, il meccanismo salta, i capitali esteri fuggono, e i Paesi deboli si trovano in un mare di debiti. Il debito pubblico non è dunque l'aspetto più importante della crisi, perché esso viene aumentato dopo lo scoppio della crisi stessa, per salvare le banche in difficoltà e per frenare la recessione.

Il concetto di "Goofynomics" nasce dalla considerazione di Pippo (Goofy) secondo cui "è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita". Questo vorrebbe dire che il debito pubblico non dovrebbe essere visto come un grosso problema, perché ad un debito corrisponde un credito. Anzi per Bagnai il debito pubblico è bene che ci sia, ed è bene che sia alto, in modo che possa contrastare lo strapotere del settore privato e della finanza privata.

Ma quello che vale per il debito pubblico, per Bagnai non vale per i debiti privati, che infatti sarebbero la causa di tutti i mali che sta vivendo attualmente l'Europa. Per lui pubblico= buono e privato= cattivo. Già da questi accenni ci possiamo rendere conto che siamo nel solco della tradizione marxista.

La posizione espressa da Bagnai  presenta forti accenti anti-tedeschi. Egli infatti considera la Germania come la principale colpevole, anche se l'Unione europea è stata sottoscritta liberamente dagli altri Paesi. Bagnai accusa la Germania di avere fatto le riforme nei primi anni 2000 per aumentare la propria competitività, come se questo fosse un crimine perpetrato a scapito degli altri Paesi europei. Per lui "la Germania deflaziona" equivale più o meno a "i Panzer tedeschi sono entrati ad Atene". Mentre le svalutazioni dei Paesi deboli, ad esempio quella italiana del 1992, per lui sono "difensive", quella applicata dalla Germania è offensiva, cioè non ha avuto lo scopo di salvare l'occupazione e lo stato sociale di un Paese che rischiava di diventare il malato d'Europa, ma avrebbe avuto lo scopo di distruggere l'industria degli altri Paesi europei, e di invaderli con le loro merci. Non per questo però egli pensa che il lavoratore tedesco stia meglio di quello degli altri Paesi, perché il capitalismo tende naturalmente a sfruttare anche lui, facendogli fronteggiare un costo della vita più alto, oltre ad avergli fatto sostenere le ristrutturazioni competitive dei primi anni 2000. Bagnai ignora il fatto che gli operai tedeschi partecipano alla gestione delle imprese in cui lavorano.

D'altro canto lo stesso scopo finale del contenimento dell'inflazione da parte della banca centrale tedesca, che poi è diventato lo scopo statutario della BCE, sarebbe quello di ridurre i salari.
A chi lo accusa di essere antitedesco risponde con frasi curiose tipo "io parlo tedesco" e "io mi posso permettere la Germania".

Bagnai esprime le proprie idee con il tipico atteggiamento intollerante di chi pensa di aver capito tutto e che di conseguenza chi non è d'accordo con lui è stupido o ignorante, e chiama "troll liberali" coloro i quali osano intervenire nel suo blog con commenti non elogiativi. Dà dello stupido e del "piddino" (ovvero sostenitore del Pd) a chi osa criticare le sue posizioni pur sostenendo di avere una posizione di sinistra.
Non riesce a rimanere equilibrato e perde spesso le staffe, anche quando comincia con un'analisi che vorrebbe distaccata, ma dopo un po' prende il sopravvento la sua rabbia nei confronti di una situazione che non sopporta, e probabilmente anche del fatto di non essere ascoltato dai governi, oltre che di non essere pubblicato dai mass media (ce l'ha con quelli del Manifesto e anche con quelli della lavoce.info, rei di aver rifiutato di pubblicare un suo articolo o di non essere d'accordo con lui sull'analisi della situazione europea).

Alla base della sua rabbia vi è probabilmente l'idea che l'impossibilità del funzionamento dell'Euro sia una "legge" scolpita nel marmo. Ignorando il fatto che l'economia non è una scienza esatta, sostiene che "è scientificamente dimostrato" che l'Euro non può reggere. Per giustificare la sua posizione contro l'Euro utilizza infatti alcune analisi di economisti "mainstream", e anche di se stesso dice di essere un economista mainstream, ma non riesce a nascondere il suo anticapitalismo, che riemerge inevitabilmente in quasi ogni intervento. Inoltre lui stesso ammette che "l'economia è politica", con questo mostrando come non siano tanto le analisi scientifiche alla base della sua posizione, quanto una (legittima) preferenza personale. Infatti gli economisti mainstream non sostengono che l'Euro debba finire, ma si limitano a spiegare quali sarebbero le condizioni perché funzionasse meglio: una maggiore integrazione nelle politiche economiche, una banca centrale capace di fare da prestatore di ultima istanza, trasferimenti alle aree in crisi ecc. Invece lui, con un atteggiamento poco scientifico, si limita a sostenere la propria preferenza personale come se fosse un evento necessario: l'Euro deve finire, e basta.

Ma in questo modo perde credibilità, perché mentre un vero economista mainstream è interessato al miglior funzionamento del sistema, sapendo che non esistono bacchette magiche, che l'economia è una disciplina complessa in cui si devono prendere in considerazione moltissime variabili, per cui la cosa migliore è cercare di massimizzare i pregi e minimizzare i difetti del sistema, anziché buttare tutto a mare. Invece un anticapitalista ha come scopo finale la distruzione del sistema stesso, e dunque nel caso in cui le cose dovessero andare veramente male (ad esempio nel caso dell'uscita dall'Euro di uno o più Paesi non fosse così indolore come egli sostiene), avrebbe sempre pronto il piano b, consistente nella possibilità di dire: scusate, ci siamo sbagliati, allora buttiamo a mare il capitalismo e facciamo la rivoluzione. Cosa che la maggioranza della popolazione potrebbe non volere, e di fatto non vuole.

Il fatto che non tenga conto della complessità del sistema, si vede dai tanti elementi di cui non parla o che sottovaluta come del tutto secondari. Fedele alla sua teoria semplicistica della monocausa, ignora temi come la corruzione, gli sprechi nella spesa pubblica, la criminalità organizzata e l'evasione fiscale. Nelle sue analisi è raro vi siano numeri, quindi non stupisce che ignori ad esempio il fatto che la Corte dei conti ha stimato in 60 miliardi l'anno il peso della corruzione per l'Italia. Anzi Bagnai si prende gioco di chi  parla di questi temi, e scherza sulla corruzione chiamandola "corruzzzione" con due o tre z, come se fosse un falso problema, un'invenzione dei mass media, dovuta all'intento di privatizzare tutto. Anzi liquida il problema sostenendo che "la corruzione c'è dappertutto", ignorando il fatto che esistono delle classifiche sulla corruzione che ci vedono ai primi posti nell'Occidente (guarda caso dopo la Grecia che per lui è solo una vittima della Germania) . Sarebbe come dire "gli omicidi ci sono dappertutto", per sostenere che Caracas è sicura quanto Stoccolma.

Oltre agli aspetti che sottovaluta, sono interessanti quelli che ignora totalmente. Ad esempio, dà per scontato che non si possa fare nulla per diventare più competitivi. I Paesi deboli potrebbero ridurre la corruzione e l'evasione fiscale, investire sull'istruzione e la ricerca (come hanno fatto la Svezia e la Finlandia per risolvere la crisi in cui caddero negli anni '90), e sulle infrastrutture. E avrebbero potuto lavorare sulla competitività negli anni di vacche grasse, quando l'introduzione dell'Euro consentì di abbassare la spesa per interesse del debito pubblico. Ma non c'è traccia di queste possibilità nei suoi discorsi. Per lui un Paese debole è condannato ad essere debole per l'eternità, se fa le riforme significa che sta diventando più capitalista e quindi più cattivo, quindi fa bene a non farle, e i Paesi che gli vendono le merci (cioè in primo luogo la Germania) sono visti come una sorta di criminali che ne affamano il popolo. Come osi tu, o tedesco, vendere le Volkswagen ai Greci? Vergogna!

Inoltre dà per scontato che sia impossibile evitare il formarsi di bolle, ad esempio non considera il problema della vigilanza bancaria, e non considera il fatto che in Irlanda e in Spagna è stato il settore pubblico che ha alimentato la bolla immobiliare con scelte scriteriate. Eppure non è difficile rilevare la presenza di una bolla immobiliare, ed è comunque il settore pubblico a concedere i permessi di costruire, ma per lui  non ci si può fare niente, è come la piaga delle cavallette, e quindi pensa che i Paesi deboli siano condannati ad essere colonizzati e a subire solo gli effetti negativi dell'invasione di capitali esteri, senza che nessuno possa farci niente. Quindi, l'unica soluzione, per evitare che i capitali stranieri vengano a portare lavoro e investimenti nel nostro Paese è.. uscire dall'Euro!

Ma al di là degli aspetti negativi, l'integrazione europea avrà portato qualcosa di positivo? Naturalmente no. Bagnai non fa un discorso di lungo periodo, non considera pro e contro di una determinata situazione. Ad esempio L'Irlanda prima dell'ingresso nell'Euro era il Paese più povero dell'Europa occidentale, e nel 1990 aveva un reddito medio di 11.000 dollari contro i 17.000 dell'Italia e i 18.500 della Germania, mentre nel 2007 era diventato il più ricco. Oggi nonostante la crisi non è comunque tornato al livello di 20 anni fa. Sarebbe interessante chiedere agli Irlandesi cosa ne pensano: tutto sommato preferireste tornare alla situazione di venti anni fa?
Infatti prima della crisi, il meccanismo che lui addita come causa di tutti i mali, stava portando ad una sostenuta crescita economica nei Paesi periferici dell'Europa, che si stavano avvicinando a quelli più ricchi in termini di tenore di vita. Inoltre, Bagnai non ricorda che la crisi è arrivata da fuori, cioè dagli Stati Uniti, e ha coinvolto in seguito tutto l'Occidente. Invece dalle sue parole sembra che la crisi sia solo in Europa e che gli altri stiano tutti benissimo.
Il reddito pro-capite degli ultimi 30 ani di: Germania, Irlanda, Argentina, Regno Unito.
Anche in Europa poi, Paesi che non hanno l'Euro come la Gran Bretagna non è che se la passino molto meglio. Ma per lui è tutta colpa dell'Euro. Anche la questione della concorrenza dei Paesi emergenti per lui è una falsa questione: per lui potremmo stare benissimo da soli, anche di fronte all'emergere di potenze come Cina e India. Dunque a che serve cercare di essere più competitivi? Non lo si fa certo per salvare lo stato sociale, ma per distruggerlo, quindi meglio non farlo!

La sua mancanza di prospettiva storica lo porta poi ad ignorare i propositi politici che hanno portato all'Unione europea: la fine delle guerre che hanno sempre insanguinato l'Europa (e che i suoi predecessori marxisti vedevano come sempre come il frutto del capitalismo), e il tentativo di mantenere una certa importanza nello scenario della globalizzazione, invece per lui come al solito è tutto soltanto una scusa per abbassare i salari (secondo il vecchio schema del comunismo novecentesco per cui la battaglia sui salari è l'unica cosa che conta).

Ma in attesa che si creino le condizioni per costruire il comunismo, quale dovrebbe essere l'alternativa all'attuale situazione? Bagnai porta come esempio da seguire l'Argentina, ignorando il fatto che il suo reddito pro capite è ancora la metà di quello dei Paesi europei, e che dopo il fallimento dei primi anni 2000, a cui è seguita una forte crescita, sta cominciando di nuovo a scontare gli effetti della politica demagogica che da sempre l'affligge. Ma l'Argentina per lui è un esempio perché è fallita e non ha ripagato i debiti. Non ripagare i debiti (quantomeno nei confronti delle banche e dei "capitalisti") sarebbe quello che secondo lui bisognerebbe fare. E' evidente in ciò il desiderio di "punire" i mercati, soprattutto tedeschi (ricordiamo che per lui privato = cattivo, soprattutto se tedesco).

Oltre il default, che se dovesse rendersi necessario sarebbe il benvenuto, l'unica alternativa che rimane in piedi è la svalutazione competitiva. Che per lui non ha controindicazioni. Bagnai non dice mai che un Paese che produce poco avrà comunque anche salari bassi, che in ultima analisi sono legati alla produttività. I Paesi che prende a modello come l'Argentina, più poveri di quelli europei, che salari hanno? I Paesi periferici come l'Irlanda o la Grecia, prima che iniziasse il ciclo di crescita dato dall'afflusso di capitali europei che per lui è stato solo negativo, che tenore di vita avevano? Questa posizione pauperistica è in linea con la posizione tradizionale della sinistra estrema, che non è tanto interessata al tenore di vita reale delle persone reali, e infatti guarda sempre ai Paesi dove si sta peggio (un tempo la Cina e l'Unione Sovietica, poi Cuba ecc.). In questo modo però l'attenzione nei confronti dei salariati perde di credibilità. E' un po' come quelli che si mostrano interessati al popolo palestinese ma ignorano completamente i popoli africani vittime di guerre e povertà, per dire, solo perché in Africa non c'è una potenza capitalistica da additare come colpevole.

Dunque, in attesa della rivoluzione che porterà il Sol dell'Avvenire, e visto che è vietato lavorare per la produttività e la competitività, che per lui sono parolacce, il modello di Bagnai sembra essere un ciclo di crescita drogata basata sulla spesa pubblica, a cui fanno seguito regolari svalutazioni competitive e anche, quando serve, fallimenti (ma ho il sospetto che, qualora si tornasse agli anni '70, gli stessi che oggi considerano quegli anni come meravigliosi, non sarebbero del tutto soddisfatti e troverebbero altri motivi per criticare il sistema, come del resto facevano all'epoca loro i loro genitori). Insomma, invece di proporre un sistema equilibrato, vuole sostituire alle diseconomie della finanza privata, quelle della finanza pubblica.
Chiunque può vedere se questa proposta (magari con il piano b sempre pronto del comunismo) sia la proposta migliore, e se possa reggere in un mondo globalizzato.

E le banche? Bagnai sostiene che le banche, che vorrebbe nazionalizzare, possiedono i mass media e pagano i giornalisti per accusare lo Stato di essere corrotto, in modo da proporne poi la riduzione. Dunque tutte le inchieste sulla corruzione e gli sprechi nel settore pubblico sarebbero pilotati per generare nella popolazione il disgusto nei confronti dello Stato. Come abbiamo già detto, per lui la corruzione (anzi la corruzzzione) è un falso problema.

In sintesi, Bagnai è l'esempio di come si possa fornire una visione pseudoscientifica attraverso la selezione degli argomenti, e di come si possa cercare di convincere che la propria posizione, frutto in realtà di preferenze e idiosincrasie personali, sia l'unica giusta in quanto vera e necessaria.
Nonostante la sua tendenza complottistica, la sua analisi è sicuramente più approfondita e degna di interesse di altre analisi più semplicistiche (è pur sempre un professore di economia), ma è fatale che venga accomunata con esse. Lui però tiene a sottolineare di essere diverso da chi denuncia i soliti complotti plutogiudaico-massonici (ad esempio tempo fa ha avuto una polemica con Paolo Barnard, uno ancora più arrabbiato e complottista di lui). Ma di fatto anche lui tende a fornire una visione semplificata della realtà dove ci sono i buoni e i cattivi.
D'altronde il fatto che quelli che teoricamente dovrebbero stare dalla stessa parte litighino in continuazione tra loro, la dice lunga sullo stato attuale della "sinistra antagonista", un mondo un po' turbolento in cui ognuno crede di essere il solo ad aver capito tutto.


mercoledì 7 novembre 2012

Il terremoto come spettacolo

Negli ultimi tempi, anche in seguito alle forti scosse che hanno interessato l'Emilia nel maggio 2012, si stanno diffondendo in Rete alcuni siti e pagine di Social Network che presentano in tempo reale le "notizie" sulle scosse leggere che avvengono in Italia, ad esempio di magnitudo 2.2, con tanto di cartina dell'epicentro.
Seguono commenti allarmati, in genere da parte di chi vive nella zona interessata o in zone limitrofe, che si chiedono se è tutto normale, cosa sta succedendo ecc.
A questo punto voglio provare a rispondere io alla domanda: è tutto normale?
Per rispondere a questa domanda ho consultato il sito dell'Ingv.
sismicità-italia
In questa immagine sono rappresentati gli eventi sismici occorsi in Italia dal 1981 al 2002.
Gli eventi leggeri (magnitudo inferiore a 4) sono rappresentati da puntini, gli eventi di magnitudo compresa tra 4 e 5 da quadratini, mentre gli eventi di magnitudo superiori a 5 sono rappresentati da stelle. Il colore invece indica la profondità dei terremoti: quelli gialli sono i più superficiali. Come si può vedere tutta l'Italia è percorsa da puntini, il che significa che ci sono stati moltissimi eventi sismici distribuiti nel territorio, soprattutto lungo l'Appennino, le Alpi occidentali e le Alpi orientali.
Come è spiegato nella didascalia, in totale gli eventi sono stati 45.000, di cui però soltanto 33 hanno superato la magnitudo 5.0 (quindi 1 su 1.363), e uno solo (l'evento dell'Umbria-Marche del 1997) ha raggiunto la magnitudo 6.0 (1 su 45.000). Tra l'altro molte stelle, e dunque molti eventi di magnitudo superiore a 5, si trovano nella stessa area dell'Umbria interessata dall'evento di magnitudo 6, e infatti si sono verificati nell'ambito della stessa sequenza sismica, il che rende ancora più raro che si verifichino eventi di questa portata, al di fuori degli eventi importanti. Altri eventi superiori a 5 si sono verificati in mare aperto, magari a grandi profondità, come nel caso del basso Tirreno, e dunque non sono stati neanche avvertiti dalla popolazione.
La mappa può essere consultata in questa pagina. Cliccando su "scarica il poster" si accede ad una versione grande in formato Pdf.
Questa mappa ci fa capire quanto poco senso abbia presentare come notizia una scossa leggera.
Ricordiamo ancora una volta che la scala Richter è una scala logaritmica, per cui un grande terremoto libera una quantità di energia enormemente superiore a quella liberata da una scossa leggera.
Il rapporto è quello che intercorre tra uno starnuto e una cannonata. Preoccuparsi per una scossa leggera, equivale ad avere paura di un bombardamento perché il nostro vicino ha starnutito.
Questo non significa naturalmente che le scosse forti non siano possibili, ma soltanto che non sono prevedibili a partire dagli eventi leggeri, che normalmente si verificano nel nostro Paese, come in tutte le aree sismiche del mondo.
Un po' diverso è il discorso per quanto riguarda gli sciami sismici, che aumentano leggermente la probabilità di una scossa forte, anche se la maggior parte di loro si risolve comunque in nulla.
Naturalmente queste mappe, e in generale il verificarsi di scosse leggere, dicono molto agli esperti, che da quando hanno a disposizione una rete di sensori in grado di captare tutti gli eventi leggeri, sono in grado di capire meglio la sismicità delle diverse aree e di trarre informazioni dalla loro evoluzione.
Diverso è il discorso per quanto riguarda il grande pubblico, che potrebbe allarmarsi inutilmente per degli eventi che presi singolarmente non dicono niente. Correttamente informato, il grande pubblico può però trarre un insegnamento utile da queste informazioni, e cioè può ricordare che l'Italia è un Paese sismico, che piccole scosse si verificano in continuazione, e che purtroppo ogni tanto se ne possono verificare di più forti. Conoscere la pericolosità sismica della propria zona e sapere se si sono verificati eventi distruttivi in passato è però un'informazione più importante, che dovrebbe precedere l'immergersi nel flusso delle notizie.
La carta di riferimento è dunque quella della pericolosità sismica:
che può essere consultata accedendo alla pagina dell'Ingv.
A questo si dovrebbe aggiungere un'altra informazione utile, e cioè conoscere l'età e lo stato della casa in cui si abita e del luogo in cui si lavora.
Dopo, e solo dopo, divertiamoci, se ci va, a vedere dove si è verificato l'ultimo evento di magnitudo 1.5 o 2.6.

lunedì 29 ottobre 2012

Gli sciami sismici scaricano energia?


Si sente spesso dire che la presenza di uno sciame sismico sia un fatto positivo perché consentirebbe di "scaricare" dell'energia a poco a poco, evitando un forte terremoto. Ma è proprio così?
In primo luogo occorre ricordare come la scala Richter sia una scala logaritmica, per cui una scossa di magnitudo 2.0 non scarica la metà dell'energia di una scossa di magnitudo 4.0, ma addirittura un millesimo! Infatti tra due scosse di un punto di magnitudo di differenza c'è in realtà una differenza, in termini di energia, di 30 volte.
Dunque uno sciame sismico composto da 2.000 scosse di magnitudo media 2.0, scaricherà rispetto ad un forte terremoto una quantità di energia tutto sommato trascurabile. Una scossa di magnitudo 6.0 da sola scarica 500.000 volte l'energia di quello sciame sismico! In pratica, pretendere che uno sciame sismico possa scaricare dell'energia e dunque tenere lontano un terremoto forte, sarebbe come pretendere di scaricare l'energia di una bomba atomica facendo un po' di fuochi d'artificio.
Si potrebbe sostenere che lo sciame sismico sia comunque un fatto positivo perché consente di scaricare una quantità sia pur limitata di energia, insomma meglio che niente. Ma questa tesi è smentita dalla considerazione statistica, per cui in presenza di uno sciame sismico, la probabilità di un forte terremoto aumenta, non diminuisce.
Ad esempio, rispetto allo sciame sismico in corso da un paio d'anni nel Pollino, secondo la Commissione grandi rischi: "Nel breve termine, la sismicità nell’area del Mercure-Pollino ha avuto un chiaro aumento dalla fine del 2011. Per la sequenza dell’inverno 2011-2012, le probabilità di evento (M5.5+)," [ossia di magnitudo uguale o superiore a 5.5] “sono aumentate rispetto al background di circa 100 volte: nell’area, la probabilità giornaliera di eventi con M5.5+ è passata da valori di background di circa 1/200.000 (1 evento ogni 700 anni nell’area ristretta) a valori interno a 1/2.000 per giorno, o 1/300 nella settimana. Per la sequenza cominciata nel maggio 2012, questa probabilità sono state anche 200 volte superiori al background". Come si può vedere, per gli scienziati la presenza di uno sciame sismico ha aumentato, e non diminuito, la probabilità di un forte terremoto.
Se invece fosse vera la tesi dell'energia che si scarica, la presenza di uno sciame sismico dovrebbe, sia pure temporaneamente, diminuire, e non aumentare, la probabilità di un forte terremoto, come un paziente che ha troppo ferro nel sangue trae un temporaneo sollievo da un salasso. E invece ciò non accade.
Secondo me ciò avviene perché da un lato l'energia che si scarica è poca, dall'altro la presenza di uno sciame sismico testimonia che comunque qualcosa si sta muovendo, e quindi potrebbe essere il segnale che si stia preparando una forte scossa. Noi non lo sappiamo, quindi non ha senso dire: per fortuna che si sta scaricando dell'energia. Al massimo potrebbe avere un senso dirlo dopo che lo sciame si è concluso, sempre che la somma dell'energia scaricata non sia trascurabile. Inoltre quando si va a toccare un sistema in equilibrio precario, si potrebbe provocare un evento inatteso. E' come avere un castello di carte e cercare di togliere con delicatezza la carta che sta più in alto: è vero che se si riesce a toglierla si dà un po' di sollievo alla costruzione, ma nello stesso tempo si rischia di far venire giù tutto.
In sintesi, la presenza di uno sciame sismico aumenta la probabilità di un forte terremoto, anche se in assoluto questa rimane bassa, infatti nella maggior parte dei casi, gli sciami sismici si risolvono nel nulla. Si può fare un'analogia con il fumo: se uno fuma 10 sigarette al giorno e ha 40 anni, la probabilità che abbia un infarto entro l'anno aumenta rispetto ai non fumatori, ma in assoluto rimane bassa. Ma certamente non si può dire il contrario, cioè che il fumo allunghi la vita.

mercoledì 26 settembre 2012

Alcune leggende sull'Euro

La crisi economica che dura ormai da anni sta provocando la diffusione di un malessere in vari strati della popolazione. Insieme a questo malessere, si stanno diffondendo alcune accuse nei confronti dell'Euro, che viene visto da molti, con un atteggiamento semplicistico, come l'unico o il principale colpevole della crisi. Alcune accuse sono di antica data, ma mentre negli anni passati erano limitate alla polemica politica di parte, con la crisi vengono riprese e condivise da una fetta più ampia della popolazione.
Ecco alcune accuse diffuse nei confronti dell'Euro, con il mio relativo commento.

- Il cambio Euro/Lira fu sopravvalutato. L'Euro avrebbe dovuto essere fissato a 1.500 lire, ma fu fissato a 1936,27 lire da Prodi e dai suoi compagni di merende.

Il cambio Lira/Euro, come quello delle altre monete, si basò sul cambio delle diverse monete con l'Ecu, la valuta europea virtuale che aveva preceduto l'Euro. In questo documento del Tesoro si legge quale fosse il cambio Lira/Ecu in quegli anni, fino al passaggio definitivo all'Euro. Come si vede, il cambio fu fissato al livello che la Lira aveva con l'Ecu (1940 Lire per un Ecu), anzi di pochi centesimi più in basso. Dunque, nessuna svalutazione "truffaldina" della Lira.

- A causa del cambio troppo alto, gli italiani persero potere d'acquisto e i prezzi raddoppiarono.

In realtà, se veramente la Lira fosse stata fissata troppo in basso, l'Italia avrebbe perso potere d'acquisto nelle merci importate, importando un po' di inflazione, ma avrebbe potuto esportare di più. Insomma un cambio diverso avrebbe avuto i suoi pro e contro, ma non è detto che sarebbe stata una tragedia.
Comunque, la storia del raddoppio dei prezzi sembra essere una leggenda metropolitana. Del resto basta ragionare: se i prezzi fossero raddoppiati, il reddito degli italiani si sarebbe dimezzato di colpo.
In ogni caso, ecco l'andamento dei prezzi della benzina dal 1998 al 2008. Come si vede, non c'è nessun aumento sensibile in corrispondenza con l'introduzione dell'Euro, nel gennaio 2002. Il prezzo della benzina, che valeva 1 Euro preciso nel dicembre 2001, un anno dopo, nel dicembre 2002, valeva 1,064 Euro, quindi era aumentato del 6,4%. Per quanto riguarda i prezzi degli altri beni, ricordiamo che secondo le statistiche ufficiali, l'inflazione media del 2002 fu del 2,5%, e non del 100% come sarebbe accaduto qualora i prezzi fossero veramente raddoppiati.
Magari ci sarà stato anche qualche aumento ingiustificato dei prezzi in qualche settore, ma questo non fu generalizzato, e quindi ebbe un impatto contenuto sull'inflazione.
Il potere d'acquisto degli Italiani è andato in realtà diminuendo gradualmente nel corso degli anni, per una serie di ragioni, prima fra tutte la stagnazione che ha caratterizzato l'economia italiana, e non quella degli altri Paesi europei, negli ultimi quindici anni.

- L'ingresso dell'Italia nell'Euro e in Europa è anticostituzionale perché non è stato fatto alcun Referendum e si è ceduta sovranità, contravvenendo a quanto scritto negli articoli 1 e 11 della Costituzione.

L'articolo 11 della Costituzione dice:
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

E' evidente che questo articolo si riferisce alla guerra, e alle eventuali cessioni di sovranità allo scopo di assicurare la pace. In ogni caso, non vieta nessuna cessione di sovranità.

L'articolo 1 dice invece:

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Quelli che sostengono che sia vietato cedere sovranità all'Europa, ricordano solo la prima parte (La sovranità appartiene al popolo) e "stranamente" ignorano la seconda (che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione), per cui pensano che la Costituzione italiana preveda la democrazia diretta come unica forma di democrazia accettabile.

Quanto al Referendum, ricordiamo che nel 1989 fu svolto un Referendum  per decidere se conferire il mandato costituente al Parlamento Europeo.

Poi ciascuno è libero di pensare che non avremmo dovuto entrare nell'Euro, che con la Lira avremmo fatto grandi cose, che saremmo passati indenni sopra tutte le crisi, che avremmo contrastato la Cina e l'India e fatto faville nel mondo globalizzato. Ma come sempre, un conto sono i fatti, un altro le opinioni (legittime).



mercoledì 19 settembre 2012

La gaffe di Romney e il sogno americano


La recente gaffe di Mitt Romney sugli elettori di sinistra, che a suo dire sarebbero dei parassiti che vogliono vivere grazie ai sussidi dello Stato, può essere un'occasione per riflettere non solo sui reciproci pregiudizi che hanno gli elettori di destra nei confronti di quelli di sinistra e viceversa, ma anche sulle rispettive visioni del mondo. E' evidente che Romney, il candidato repubblicano alla Casa Bianca che si stava rivolgendo ad un pubblico di suoi finanziatori, credendo di non essere ripreso, abbia espresso un punto di vista già diffuso nell'elettorato di destra, soprattutto quello più facoltoso.
Ma ecco la frase incriminata di Ronney: "C'è un 47% di americani che votano Obama, che sono con lui a prescindere, che dipendono totalmente dal governo, pensano di essere vittime, pensano che il governo abbia la responsabilità di dare loro il diritto alla sanità, al cibo, alla casa. Sono persone che non pagano le tasse sulle entrate. Il mio compito non può essere quello di preoccuparmi di loro, non li convincerò mai di assumersi le loro responsabilità personali e prendersi cura di loro stessi".
Ora, è interessante come Romney non distingua la sanità dal cibo e dalla casa, distinzione che a un europeo verrebbe spontanea, dal momento che in Europa si considera la sanità, e anche l'istruzione, come un diritto.
L'accusa di non pagare le tasse sulle entrate è ridicola, perché in America chi percepisce un reddito basso è esentato dal pagamento delle tasse, tra l'altro per una norma voluta da un presidente repubblicano, Ronald Reagan. Inoltre questa accusa viene da un super-ricco il quale ha fatto di tutto (magari utilizzando vie legali) per pagare meno tasse possibile, in un Paese che già garantisce una tassazione bassa per le fasce di reddito più alte (il famoso finanziere, il miliardario in dollari Warren Buffett ha ricordato di pagare in percentuale meno della sua segretaria).
E' poi ridicolo accusare addirittura il 47% della popolazione americana (cioè tutti gli elettori di Obama) di aspettarsi un'assistenza dallo Stato, soprattutto in un Paese dove predomina l'ideologia del "farsi da sé" e del "sono americano". Certamente una visione manichea di questo tipo, dove tutti quelli che non la pensano come noi sono cattivi, non è il massimo da parte di un candidato alla presidenza.
Ma quanti di noi tendono a ragionare allo stesso modo?
Invece, prima di dare un giudizio sprezzante, dovremmo sentire l'altra campana, e cercare di capire il punto di vista altrui, senza demonizzarlo. Magari l'altro ha torto, ma perché sostiene ciò che sostiene? siamo sicuri che lo faccia in malafede o per interesse? Perché il nostro punto di vista dovrebbe essere più genuino di quello altrui?
In effetti, magari non in America e non nel 47% dei suoi elettori, ma in Europa, soprattutto nei Paesi mediterranei, è diffusa (ovviamente non in tutti) l'idea che lo Stato debba trovare un lavoro ai suoi cittadini. Una volta un elettore del Movimento a 5 stelle mi disse proprio una cosa del genere: Grillo aveva fatto bene a dire che lo Stato è peggio della mafia, perché lo Stato non trova lavoro a tanti disoccupati del Sud (evidentemente la mafia sì?).
E mentre in America chi prende un sussidio lo fa per cause di forza maggiore (leggi: disoccupazione, tra l'altro conseguenza della crisi economica scoppiata sotto il presidente repubblicano Bush), in Italia, per esempio, e ancora più in Grecia, molti hanno sognato un posto fisso statale, per lavorare il meno possibile e avere uno stipendio assicurato a vita.
Il punto di vista più equilibrato mi sembra quello delle socialdemocrazie europee, dei Paesi nordici come la Germania o la Svezia: lo Stato garantisce i diritti essenziali come istruzione e sanità, e offre anche un sussidio di disoccupazione per chi perde il lavoro; d'altro canto l'individuo si comporta in maniera responsabile, per cui studia e lavora per dare il proprio contributo alla società. Insomma, il cittadino ha dei diritti ma anche dei doveri.
Le posizioni ideologiche sono quelle di chi pensa che un individuo si possa "fare da sé" prescindendo dalla società in cui è cresciuto e in cui lavora, senza magari poi dover dare nulla in cambio, e anche quella di chi pensa che debba essere lo Stato a fornire la pappa pronta ai suoi cittadini. Per fortuna quest'ultima idea non viene ufficialmente fatta propria da nessuno, anche se una parte dei politici di destra e di sinistra (e forse anche certe trasmissioni televisive...) fa più o meno intendere che sia possibile una cosa del genere. E molti elettori ci cascano e pensano che se alle prossime elezioni vincerà il loro candidato, saranno rose e fiori. D'altro canto le assunzioni facili che si vedono sopratutto in certe regioni del Sud fanno pensare come purtroppo lo Stato svolga una funzione di datore di lavoro (o meglio di stipendio) secondo una distorta visione del Welfare State.
Speriamo che la lotta contro gli sprechi portata avanti dalla Germania (un Paese dove lo stato sociale è generoso) contribuisca a rendere più efficiente anche lo Stato italiano, e a distinguere nettamente lo Stato come stipendificio (cosa che non deve essere), dallo Stato come assicuratore dei diritti fondamentali (cosa che deve essere).
L'ideologia americana, secondo cui l'individuo si deve fare da sé senza chiedere niente a nessuno, aveva un senso fino all'Ottocento, quando per vivere bene secondo i parametri dell'epoca bastava un pezzo di terra, che in America non veniva negato a nessuno perché ce n'era a sufficienza, e una buone dose di forza di volontà per lavorarla. Il personaggio di John Wayne nel  film "Il fiume rosso", che non ha altro scopo nella vita che comprare un terreno e allevare una mandria di vacche, mostra molto bene quale fossero la mentalità e i sogni di quell'epoca.
Ma pensare che oggi tutti possano vivere bene soltanto con la propria forza di volontà, quando si sa che in una società moderna ad essere fondamentali per la crescita personale e lavorativa sono l'istruzione e le condizioni sanitarie in cui si vive sin dalla nascita, è assolutamente folle. D'altro canto nessuno può diventare ricco in un Paese che non produca già una qualche forma di ricchezza, e infatti i ricchi sono molti di più oggi che duecento anni fa. Nessuno viene da Marte, neanche quelli che "si fanno da sé".
Il "sogno americano" inteso poi come la possibilità di diventare molto più ricchi (e magari famosi) della media, se si riferisce a tutti è soltanto una presa in giro, o quantomeno non può essere alla base dell'organizzazione della società. Non si può cioè dire "questa è una società giusta perché uno su mille ce la fa": sarebbe interessante sapere come finiscono gli altri novecentonovantanove.
D'altro canto non si può neanche pretendere che la società non premi il merito o non consenta a chi vuole emergere in qualche campo, di farlo.
Se depuriamo questa visione dalle incrostazioni ideologiche tipiche della destra liberista, possiamo trarne un nocciolo razionale, che consiste nel dire che al di là di un minimo di stato sociale a cui tutti hanno diritto, e ad un serie di condizioni per vivere bene e poter operare al meglio che devono essere garantite dallo Stato (infrastrutture, legalità ecc.), l'individuo è comunque responsabile della propria condizione, e non può lamentarsi sempre con il governo se la sua condizione personale non è quella che desidererebbe.
Cioè l'individuo non può prescindere dalle condizioni in cui si trova né in un senso né nell'altro, non può credere di essere l'unico artefice della propria fortuna se le cose gli vanno bene, ma non può neanche lamentarsi con la società o con il governo, se ad esempio ha studiato poco o ha scelto un corso di laurea con pochi sbocchi professionali, e poi si ritrova disoccupato.

domenica 16 settembre 2012

Il caso Fiorito e la politica italiana


La reazione del segretario del Pdl Alfano ("Non abbiamo niente a che fare con rubagalline, ladri e mascalzoni "), e ancora di più quella dell'ex ministro Giorgia Meloni allo scandalo che riguarda l'uso dei fondi del Pdl per uso privato nel Lazio, è quantomeno eccessiva. La Meloni ha addirittura detto: "La gente come Fiorito ci fa schifo. Chi ha rubato come lui va cacciato fuori dalle palle a calci sui denti". Peccato che il Pdl sia già pieno, sia a livello nazionale che a livello locale, di esponenti coinvolti in procedimenti giudiziari, di indagati e condannati. A cominciare naturalmente dal suo padrone. E fino ad ora, per anni, valeva sempre la presunzione di innocenza, anzi i politici indagati erano sempre vittime dei magistrati politicizzati, e i parlamentari venivano regolarmente salvati dalle indagini, oltre che naturalmente dal carcere.
Negli altri partiti non va molto meglio, anche se il record del Pdl non lo batte nessuno.
Una delle possibilità per spiegare una reazione così intransigente, è che si avvicinano le elezioni e dunque il partito vuole apparire pulito, come già fece nel 2010, quando Berlusconi promise in pochi giorni una legge contro la corruzione, che naturalmente, a elezioni avvenute, non si fece.
Un'altra possibilità è che sia un'occasione per un regolamento di conti interno, tra le diverse anime del partito nel Lazio.
Anche la reazione del presidente del Lazio Polverini è curiosa, dal momento che dopo anni nel consiglio regionale, è curioso che non si sia mai accorta di quale fosse l'andazzo. Come al solito non è pervenuta l'opposizione, che evidentemente partecipava (come già si è visto per il caso Lusi) ad un sistema in cui i partiti non devono rendere conto a nessuno dei lauti finanziamenti che ricevono.
Ma l'aspetto più interessante della vicenda riguarda probabilmente il motivo per cui un sistema politico di questo tipo, fino ad ora ha funzionato senza che nessuno protestasse, mentre adesso mostra la corda e suscita l'indignazione popolare. La ragione sta nel fatto che la politica ha sempre distribuito favori e privilegi alla stessa popolazione.
Franco Fiorito, già sindaco di Anagni, detto Mr. Preferenze, già dal curriculum si capisce che fa pienamente parte del sistema politico italiano, dove la politica funziona in un certo modo, soprattutto nel centro-sud.
Per questo il tentativo di dipingerlo come una "mela marcia" da parte del suo partito è ridicolo, mentre ha sicuramente ragione lui dicendo che "così fan tutti", anche se questa naturalmente non può valere come giustificazione, da parte del reo colto con le mani nella marmellata.
Evidententemente, se ha saputo collezionare molte preferenze, vuol dire che in qualche modo ha saputo ottenere consensi nella popolazione. Per questo non credo alla favola, raccontata dai demagoghi, del popolo buono vittima innocente di una classe politica cattiva e ingorda. La differenza rispetto al passato è che oggi c'è la crisi economica, ci sono meno soldi, e la gente accetta sempre di meno i privilegi dei politici, se non può avere qualcosa in cambio. Ma questi privilegi sono stati per decenni la merce di scambio tra gli elettori e la classe politica, un do ut des in cui una mano lavava l'altra e ognuno curava i propri interessi particolari.

martedì 4 settembre 2012

Legalizzare la prostituzione?


La recente proposta del sindaco di Napoli De Magistris di aprire quartieri a luci rosse gestite dai comuni ha riacceso il dibattito sulla legalizzazione della prostituzione. Per completezza d'informazione va detto che lo stesso De Magistris ha sostenuto che non ci deve essere "nessuna legittimazione" perché "deve passare il principio che non e' ammissibile che una persona venda il proprio corpo", quindi ha aperto il dibattito più che altro per trovare la soluzione migliore al problema.

E' comunque curioso che alcuni Stati appartenenti alla stessa area geografica e culturale (l'Europa, l'Occidente) abbiano leggi di stampo opposto rispetto alla prostituzione.
Alcuni proibiscono la prostituzione in sé (come gli Stati Uniti), altri vietano solo lo sfruttamento (come l'Italia), altri puniscono il cliente (come la Svezia).
A ben guardare però nei fatti la realtà dei diversi Paesi è più somigliante, perché chi la proibisce di fatto spesso la tollera, mentre le punizioni nei confronti dei clienti non sono abbastanza dure da scoraggiare del tutto la pratica. Inoltre, anche laddove la prostituzione è legalizzata o in qualche modo regolamentata, non è scomparso del tutto il mercato clandestino. 

Ma qual è la posizione più corretta dal punto di vista teorico?

A mio avviso si deve partire da alcuni punti fermi.
1- Uno Stato liberale moderno non può proibire un determinato comportamento per motivi puramente morali, altrimenti si trasformerebbe in Stato etico.
2- D'altro canto, legalizzare e non proibire sono due cose diverse. Non proibire significa sostenere che non ci sono gli estremi del reato, mentre legalizzare significa che lo Stato accetta pienamente, considera pienamente legittimo un determinato comportamento.

Ora, a mio avviso considerare pienamente legittima la prostituzione non è corretto. La questione non è morale nel senso di una morale prescrittiva e di stampo religioso, ma è morale nel senso che ha a che fare con la dignità personale e con il concetto di "vendere sé stessi". Non è dunque il sesso il problema, è semmai il denaro, o meglio il denaro usato non come contropartita di una prestazione qualunque (come può essere ad esempio, raccogliere i pomodori o vendere giornali), ma di una prestazione che consiste nel cedere il proprio corpo controvoglia in cambio di denaro. Si potrebbe obiettare che non è detto che questa cessione del proprio corpo avvenga controvoglia, anche se penso che all'atto pratico sia così per la maggior parte delle prostitute, dal momento che questo "mestiere" consiste nell'andare con qualunque cliente si presenti (chi vende qualcosa non può certo scegliersi il cliente). Chi difende la legalizzazione della prostituzione dovrebbe sostenere che sia normale ("normale" qui inteso in senso statistico) fare sesso con chiunque, senza poterlo scegliere, quindi giovani, vecchi, belli, brutti, simpatici, antipatici ecc., anzi, che per molte persone sia un'attività "bella in sé". Infatti, se lo si vuole paragonare ad un mestiere come un altro, bisognerà riconoscere che qualcuno lo considererà una vocazione, una passione, come accade almeno a qualcuno, riguardo agli altri mestieri. Certamente ci può essere chi fa il pescivendolo o l'avvocato o il giornalista solo per guadagnare, per mangiare, per sbarcare il lunario. Ma tutti i mestieri, o quasi, hanno almeno qualche sostenitore, qualche appassionato, qualcuno disposto a farlo anche gratis. O quantomeno qualcuno che vi trova (nel mestiere in sé, non nel guadagno che comporta) qualcosa di buono.
I difensori della legalizzazione della prostituzione non si possono limitare a difendere la scelta personale, perché con lo stesso criterio si potrebbe giustificare qualunque comportamento, qualunque azione, dal momento che c'è chi per "scelta personale" si arruola nella mafia, fa il sicario, o più banalmente accetta di lavorare tutto il giorno in uno scantinato a confezionare borse in nero. Si dirà che chi si arruola nella mafia viola la legge, ed è vero, e infatti è giusto proibire le azioni criminali e l'arruolamento nella mafia, mentre la prostituzione, nella misura in cui è libera, non va proibita. Ma da qui a legalizzarla ce ne corre.

Ma ecco alcuni argomenti addotti per sostenere la legalizzazione della prostituzione, con il mio relativo commento.

- La prostituzione è il mestiere più antico del mondo. E' inutile cercare di eliminarla, non ci si è mai riusciti.

Benissimo. Allora con lo stesso ragionamento si potrebbe dire: "è inutile cercare di eliminare la guerra, non ci si è mai riusciti". E' evidente che questo è un argomento che ha senso solo se la cosa di cui si parla viene considerata "buona in sé", o quantomeno non "cattiva in sé". Ma allora si abbia il coraggio di dirlo apertamente, e si dica non che è inutile, ma che è sbagliato.

- Se c'è richiesta e c'è mercato, allora è legittimo.

Anche qui siamo di fronte ad un modo indiretto per cercare di dare piena legittimità a qualcosa, utilizzando uno strumento, in questo caso il mercato, che c'entra poco. Infatti, con lo stesso ragionamento, si potrebbe difendere la vendita degli organi. Se c'è qualcuno disposto a venderli e qualcuno disposto a comprarli, che male c'è? E che dire allora della vendita dei bambini? Che male c'è se una coppia vuole vendere il proprio bambino, magari ad un'altra coppia che lo desidera ed è disposto a crescerlo con tanto amore? Come si vede, la legge non riconosce i casi in cui si fa qualcosa che viola la dignità della persona, e nega che il mercato possa riguardare tutti gli ambiti dell'esistenza.

- Non vi sono motivi per non legalizzare la prostituzione, dal momento che vi sono già mestieri legali in cui è palese lo sfruttamento del lavoratore, o comunque in cui le condizioni sono disagiate.

Questa è una posizione curiosa. Normalmente si dovrebbe cercare di rendere la società migliore e non peggiore. Legalizzare un fatto negativo solo perché ne esistono altri negativi, non mi sembra un'idea geniale. Forse sarebbe meglio cercare di migliorare la condizione di quei lavoratori che si considerano in qualche modo sfruttati? Io direi di sì.

- Anche altri mestieri provocano disgusto, come quello dell'infermiere.

Intanto nessuno è costretto a fare l'infermiere. Poi, chi lo fa, si presuppone (si spera) che vi trovi anche degli elementi positivi. Anzi questo è uno dei mestieri in cui vi è chi lo fa per vocazione, e anche gratis (volontariato). E' curioso (anzi è illuminante) che comunque, per difendere la prostituzione, invece di portare elementi positivi a suo favore, si cerchi di degradare gli altri mestieri.

- Meglio fare la prostituta per scelta personale e non essere schiavizzata da nessuno, che fare l'impiegata o la segretaria con un capo poco rispettoso, maleducato, incivile, sfruttatore.

Qui siamo sempre nel filone del "meno peggio". Quindi, invece di cercare di migliorare la società, accettiamo una cosa negativa, perché ve ne sono anche altre. Peccato che esistono le leggi contro il mobbing. A me se un'amica raccontasse di subire molestie di qualche tipo o pressioni psicologiche sul lavoro, io le consiglierei di cambiare lavoro, non di accettare in silenzio, perché in India ci sono gli schiavi o in Pakistan lavorano i bambini di otto anni.

- La prostituzione è una scelta personale. Nessuno può arrogarsi il diritto di giudicare se le condizioni di lavoro siano degne.

E' curioso come per difendere la prostituzione si sostenga il contrario di quello che normalmente si fa in altri ambiti. La maggior parte delle persone riconosce come positive le leggi sull'orario di lavoro, sul salario minimo, contro il mobbing ecc. E adesso si scopre che nessuno può dire nulla sul lavoro perché è una scelta personale. Benissimo, allora torniamo all'800, e sosteniamo (con i liberisti più estremi) che il lavoro è un libero contratto alla pari tra datore di lavoro e lavoratore, in cui lo Stato non deve interferire. Sostenetelo pure, ma dopo non venite a lamentarvi per le condizioni di lavoro in Cina o in Vietnam. Se si accetta che esista un criterio oggettivo per valutare il rispetto della dignità del lavoratore, questo deve valere sempre. Io considero legittima una posizione diversa dalla mia, purché sia coerente.

- La legalizzazione della prostituzione porterebbe molti soldi nelle casse dello Stato.

Se è per questo, lo farebbe anche la legalizzazione della mafia. Veramente pensiamo che lo Stato si debba vendere per un piatto di lenticchie? No, non ci siamo. Ribadisco che chi chiede di legalizzare la prostituzione, dovrebbe sostenere che sia in sé un mestiere bello, o gradevole, quantomeno per chi decide di praticarlo. Poi può anche aggiungere che chi lo pratica dovrebbe pagare le tasse.

- I politici sono ipocriti perché sono i primi ad andare con le prostitute.

Se questo è un argomento, allora legalizziamo pure l'evasione fiscale, la corruzione ecc. Siamo sempre alle solite: vogliamo che la società migliori o ci limitiamo a riconoscere l'esistente? Basta dirlo, ma dopo non voglio sentire critiche nei confronti degli italiani furbi che non pagano le tasse o dei politici che rubano. Se va tutto bene così, va tutto bene sempre.

- La prostituzione non fa del male a nessuno.

Questo, lo ribadisco, è un motivo per non proibire, non per legalizzare una cosa, che significa accettarla pienamente. Tra l'altro, a mio avviso invece la prostituzione fa del male a qualcuno, perché all'atto pratico la prostituzione sarebbe (è) per la maggior parte delle prostitute, una "scelta" che avviene in condizioni di degrado morale e/o economico. E' vero che non si possono proibire le scelte personali, e che ciascuno è giudice in causa propria, ma bisogna anche fare in modo che le condizioni della scelta siano le migliori possibili: più consapevolezza, e più opzioni disponibili. Quello a cui bisogna puntare è una società in cui sia assicurato a tutti il mantenimento della dignità personale. D'altro canto la stessa Costituzione italiana riconosce l'esistenza del concetto di dignità, e il suo legame con il lavoro:
Art. 41. L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

- Molti si prostituiscono per pagarsi gli studi o per arrotondare, per arrivare a fine mese, pagare il mutuo ecc., e vivono bene lo stesso.

Questa non mi sembra una prova che sia una scelta piacevole, anzi. Semmai è la prova che spesso lo si fa per necessità. In ogni caso la prostituzione saltuaria, come scelta da parte di chi in qualche modo ha una vita tutto sommato agiata (si pensi allo studente che poi diventerà un avvocato), non può essere paragonata alla prostituzione come mestiere full time. Ad esempio in questo caso ci si potrebbe permettere di selezionare i clienti.

- C'è chi fa film pornografici, foto erotiche, spettacoli erotici ecc., con piena soddifazione.

Qui però si sta cambiando argomento, si sta traslando lo scenario. Non è detto che rispondere ad un telefono erotico o esibirsi in una webcam siano la stessa cosa del prostituirsi in un bordello. In ogni argomento ci sono eccezioni, casi limite, casi diversi, che non possono essere usati per fare confusione.

In sintesi, per sostenere la legalizzazione della prostituzione, bisogna sostenere che essa non è un male in sé, che anzi può essere un bene, un'attività dai risvolti sociali positivi, e che né in teoria né in pratica andrebbe contro la dignità della persona. A me pare che non ci siano le condizioni per sostenere una tesi del genere.