mercoledì 24 dicembre 2014

Check-up Renzi


Finalmente, con l'approvazione della manovra economica (o legge di stabilità), il governo Renzi ha mostrato se è in grado di cambiare veramente l'Italia, e di invertire la tendenza che ci vede stagnanti da vent'anni, caso unico al mondo.
Il primo dato che emerge è che la pressione fiscale rimane sostanzialmente stabile, intorno al 43%. Il che significa che non è vero che le tasse scendono, o meglio, se alcune scendono (ad esempio i famosi 80 euro, cioè un bonus o una detrazione fiscale su una parte dei contribuenti), altre salgono (ad esempio la nuova Imu, o le imposte sui fondi pensioni ecc.), e il risultato è più o meno zero.
Ora, pensare che si possa imprimere una vera svolta spostando qualche voce qua e là, è veramente ottimistico, anzi è un inganno.
A questo punto, prima di andare avanti, sarebbe forse bene puntualizzare alcune cose.

- L'italia è uno dei Paesi con la pressione fiscale più elevata, e soprattutto è uno dei Paesi con la total tax rate (pressione fiscale totale sulle imprese) più alta al mondo.



- Non è possibile crescere con le tasse troppo alte. Se ad esempio un'azienda deve pagare il 40% di tasse, NON è la stessa cosa che se ne deve pagare il 60%. I politici (e i sindacalisti) forse pensano che sia uguale, magari perché pensano che le aziende abbiano disponibilità illimitate, e quindi se ne destinano una parte (o una gran parte..) alle tasse, magari per mantenere il ceto politico e l'enorme apparato burocratico-amministrativo, non cambia niente. Ma non è così. Più tasse per un'azienda significa meno possibilità di investire e di assumere, e più probabilità di fallire. Magari qualcuna ce la fa lo stesso, ma alcune scapperanno all'estero, mentre altre falliranno. Statisticamente funziona così.
Certo, puoi fare il Jobs Act sperando che incentivi le assunzioni, ma nella sostanza, se l'economia non riparte, le assunzioni saranno comunque poche.
Quindi: se non si abbassa la pressione fiscale in maniera consistente, non è possibile far ripartire il Paese.

- Questo però è quanto ci è stato promesso per vent'anni dal signor Berlusconi. Che però non ha ridotto un bel niente, semplicemente perché non ha voluto (o saputo) ridurre la spesa pubblica. Infatti, se non riduce la spesa, un Paese con un debito pubblico già enorme come l'Italia, non può permettersi di ridurre la pressione fiscale. Siccome però ridurre la spesa significa colpire interessi e scontentare qualcuno, i politici preferiscono non farlo. Tanto sanno che spesso i loro elettori neanche si rendono conto di questa elementare verità, e tendono a credere alla promessa di "meno tasse", senza neanche chiedere: "ok, e dove taglierai la spesa"?
Quindi, va ricordato che: se non si abbassa la spesa pubblica in maniera consistente, non è possibile ridurre la pressione fiscale.

- Ora, l'Italia non cresce da vent'anni ed è uscita stremata dalla crisi, e dunque ha un disperato bisogno di riprendersi. Dunque, se il Paese non riparte, è destinato ad un inevitabile declino.

Fino a questo momento, dopo dieci mesi di parole e promesse, Renzi, alla prova dei fatti (cioè della prima finanziaria), non ha ridotto la spesa pubblica, e non ha avviato una seria riduzione degli sprechi della pubblica amministrazione. Basti pensare che ha messo nel cassetto lo studio di Cottarelli sulla spending review, che suggeriva tra le altre cose di ridurre le migliaia di società partecipate dagli enti locali, molte delle quali in perdita, dotate solo di consigli di amministrazione (cioè puri stipendifici) o comunque con più dirigenti che dipendenti.

Dunque dobbiamo concludere che Renzi, fino ad ora non vuole veramente risanare l'Italia, e dunque non vuole veramente fermare il declino.

Sinceramente non ho ancora capito se non vuole agire, o se non può, nel senso che il suo partito (o l'apparato di burocrazia, sindacati e partiti ecc.) glielo impedisce, per non colpire determinati interessi, e alla fine si è adagiato in questa situazione. E in fondo non è neanche importante. Rimane il fatto che, fino ad ora, e sono già passati dieci mesi, non si è vista una reale volontà riformatrice da parte sua e di questo governo. A questo punto, se si doveva andare avanti a piccoli provvedimenti, molto lenti, senza fretta, tanto valeva tenerci Letta.

Dunque, a quanto si vede oggi, l'Italia continuerà nel suo declino. E non è difficile prevedere che anche l'anno prossimo non ci sarà crescita (se non forse uno zero virgola che non significa niente), e non ci sarà una diminuzione dei disoccupati.




venerdì 19 dicembre 2014

La Russia e il crollo del Rublo


In questi giorni in Russia sta accadendo qualcosa di simile a quello che potrebbe accadere all'Italia qualora decidesse di uscire dall'Euro per tornare alla Lira e svalutare: assalto agli sportelli bancari, per ritirare i soldi e spenderli o portarli all'estero prima che perdano valore, assalto ai negozi per fare acquisti prima che i prezzi salgano, chiusura di negozi per evitare le perdite date dalla continua svalutazione della moneta. Nel frattempo la banca centrale russa sta cercando di frenare la caduta del rublo. Se si andrà avanti così per qualche mese, si rischia un effetto a catena, con chiusura di aziende, perdita di posti di lavoro, e impoverimento generale della popolazione.

Questi eventi ci dovrebbero insegnare alcune cose:

- Contrariamente a quanto ci fanno credere gli [segue epiteto poco lusinghiero] anti-Euro, svalutare non è bellissimo, e quando un paese vede diminuire il valore della propria moneta, cerca di difenderla, dunque non svaluta volentieri, anche a costo di dar fondo alle proprie riserve. Morale: nessuno svaluta volentieri.
- Svalutare non è una passeggiata, e comporta conseguenze negative, a cominciare dall'aumento dei prezzi dei beni importati e dalla fuga dei capitali.
- Se l'Italia dovesse uscire dall'Euro, dovrebbe prima passare per un periodo di transizione in cui si porrebbero questi e altri problemi. Soltanto in seguito, forse, potrebbe trarre vantaggio dalla svalutazione ed aumentare le proprie esportazioni, ma prima dovrebbe fronteggiare una situazione di caos che potrebbe durare mesi, come accadde ad esempio in Argentina nel 2001, dove il default produsse migliaia di senzatetto, la disoccupazione salì al 25% e si formarono nuove favelas intorno alle grandi città, le cosiddette "Villa Miseria".


sabato 13 dicembre 2014

Uscire dall'Euro?

Dal blog di Beppe Grillo
Dopo che già personaggi del calibro di Salvini e della Meloni si sono pronunciati contro l'Euro, è la volta del Movimento 5 Stelle, che ha deciso raccogliere le firme per uscire dall'Euro. Purtroppo la gente non sa cosa è in gioco, e quali disastri si rischiano, ma è invogliata ad uscire, per la banale considerazione che "quando c'era la Lira si stava meglio". Ora, ammesso e non concesso che i problemi dell'Italia siano dovuti all'Euro (e ciò è chiaramente falso, dato che ci sono paesi che hanno l'Euro e stanno meglio di noi), il problema è che uscire non è la stessa cosa che non entrare, per cui, anche se forse l'Euro non è stata una buona idea, una volta che ci stiamo dentro, ci conviene rimanere. Infatti, se un paese come l'Italia decidesse di uscire, in pratica ammetterebbe di voler rinunciare a stare nel gruppo che conta, che la propria economia e l'amministrazione pubblica non sono all'altezza degli altri paesi europei, che non è in grado o non vuole riformarsi per diventare più competitiva, e che dunque preferisce giocare in serie B, e questo lo direbbe apertamente, al mondo intero. E, cosa ancora più grave, lo direbbe vent'anni dopo essere entrata, e dopo aver sottoscritto dei trattati, quindi sarebbe l'ennesima prova di inaffidabilità da parte dell'Italia, dopo i diversi precedenti storici che ci hanno visto spesso cambiare alleanza e non rispettare i patti, come accadde ad esempio in occasione delle ultime due guerre mondiali.
E pensare che gli altri paesi e i mercati non ci farebbero pagare cara questa decisione, ma che ci lasceranno uscire per poi magari farci continuare a scambiare prodotti e servizi con loro, senza pagare pegno, è quantomeno ottimistico.

Ma cosa accadrebbe esattamente se l'Italia decidesse di uscire dall'Euro?

In primo luogo, va detto che si aprirebbe uno scenario incerto, con molte variabili, non tutte sotto il nostro controllo, per cui va sottolineato che nessuno lo sa con certezza. E questo già dovrebbe farci riflettere non una, non due, ma cento volte, prima di prendere una decisione del genere. Sarebbe come se uno scalatore, nel mezzo di un'arrampicata, sentendosi stanco e avendo delle difficoltà ad arrivare in cima, invece di fare uno sforzo e continuare a salire, decidesse di buttarsi, sperando che le cose vadano meglio.
Comunque, in base alle esperienze passate, e a quello che si sa dell'economia e dei mercati, si possono ipotizzare alcune conseguenze.
- Una volta annunciata l'uscita dall'Euro, i risparmiatori e i correntisti italiani, insomma tutti quelli che hanno qualcosa da parte, si precipiterebbero in banca per ritirare i propri soldi, cercando poi di portarli all'estero, prima che vengano ridenominati nella nuova moneta (che chiameremo neo-Lira per chiarezza), dato che con ogni probabilità questa nuova moneta si svaluterà pesantemente (quelli che vogliono uscire dall'Euro, lo propongono proprio per potere svalutare la nuova moneta, sperando poi che i prezzi più bassi delle nostre merci all'estero possano consentire un aumento delle esportazioni).
- Poiché però le banche non possiedono materialmente tutto il denaro che i risparmiatori richiederebbero (perché per legge devono avere a disposizione solo una frazione del totale dei risparmi), andrebbero subito fallite. Per evitare il fallimento delle banche, il governo dovrebbe essere costretto a chiudere gli sportelli, come si fece in Argentina nel 2001 (il famigerato "Corralito"), impedendo agli italiani di ritirare i propri soldi, e costringendoli a vedere rinominati i propri risparmi nelle neo-Lire.
- Anche i possessori dei titoli di Stato italiani, si precipiterebbero a vendere i propri titoli prima che il debito venga rinominato in neo-Lire, sia per evitare la svalutazione, sia per il timore che lo Stato italiano decida unilateralmente di non pagare i debiti, o una parte di essi (infatti per lo Stato italiano sarebbe impossibile ripagare i debiti in Euro, ma avrebbe grosse difficoltà anche a ripagarli nella nuova moneta, dato il probabile calo del Pil e quindi delle entrare fiscali). Dunque lo spread salirebbe alle stelle, e lo Stato italiano non sarebbe più in grado di finanziarsi sui mercati. A questo punto sarebbe costretto a chiedere un prestito al Fondo monetario internazionale (dubito infatti che l'Europa accetterebbe di prestare i soldi allo Stato italiano dopo avere subito lo scherzetto dell'uscita dall'Euro), il quale porrebbe condizioni lacrime-e-sangue, oppure lo Stato potrebbe decidere di nazionalizzare la banca centrale e mettersi a stampare moneta per comprare direttamente il suo debito. Questo fenomeno, detto monetizzazione del debito, produrrebbe una grossa inflazione, impoverendo la popolazione italiana.
- Per evitare questi scenari, l'Italia potrebbe uscire dall'Euro senza annunciarlo, magari in un weekend, a banche chiuse, stampando in segreto le nuove lire (sempre che ciò sia possibile farlo in segreto, senza che la notizia trapeli in qualche modo e divenga di pubblico dominio...), e il lunedì potrebbe di colpo annunciare che si passa alla neo-Lira, e che anche i titoli di Stato vengono rinominati nella nuova moneta. Questo significherebbe imporre una perdita secca a tutti i correntisti e i possessori del debito pubblico, ma soprattutto agli stranieri, che si vedrebbero restituire i loro crediti in una moneta svalutata. Alcuni potrebbero rifiutare questa decisione e impugnarla presso corti internazionali, così che potrebbero nascere lunghi contenziosi giudiziari, come quelli che ancora interessano l'Argentina, che fece default nel 2001. Comunque, le perdite che subirebbero le banche straniere che ora possiedono titoli del debito pubblico italiano, potrebbero scatenare una crisi finanziaria anche in questi paesi (Germania, Francia ecc.). Questo provocherebbe una fuga dei capitali anche dagli altri paesi dell'area Euro, anche dei paesi periferici che potrebbero essere considerati i più deboli e quindi i più a rischio, e un conseguente aumento dei tassi di interesse dei loro titoli pubblici, e dunque lo stesso Euro rischierebbe di crollare. La crisi dell'intera area Euro potrebbe tramutarsi in una nuova crisi mondiale.
- I possessori dei titoli di stato, anche italiani, subirebbero gravi perdite qualora lo Stato decidesse di non ripagare, in tutto o in parte, i suoi debiti. In tal caso le banche, che ne possiedono una parte, andrebbero comunque fallite, e dovrebbero essere nazionalizzate.
- Le grandi imprese che hanno debiti in obbligazioni estere, non potrebbero rinominare i propri debiti nelle nuove Lire, per cui vedrebbero aumentare il loro valore reale, e dunque alcune rischierebbero di fallire, altre dovrebbero ridurre i propri investimenti o dar vita a dolorose ristrutturazioni, e ciò potrebbe provocare una recessione.
- I cittadini italiani vedrebbero di colpo aumentare i prezzi dei beni importati dall'estero, in seguito dalla svalutazione della neo-Lira, a cominciare dal petrolio e dal gas, che provocherebbe a cascata un aumento dei prezzi dei beni trasportati su gomma (quindi anche i generi alimentari). Dunque ci sarebbe un aumento dell'inflazione per il solo fatto di svalutare. Questo aumento dei prezzi non sarebbe probabilmente eccessivo (ad esempio, potrebbe essere del 5% a fronte di una svalutazione del 30%), ma andrebbe comunque a colpire la parte meno abbiente della popolazione. Se però lo Stato fosse costretto a monetizzare il debito, l'aumento dell'inflazione potrebbe essere ben superiore.
- Gli interessi sui titoli di stato dopo l'uscita dall'Euro aumenterebbero, quindi lo Stato italiano rischierebbe di fallire, oppure sarebbe costretto a tagliare drasticamente la spesa pubblica, aggravando la caduta del Pil, oppure dovrebbe ricorrere alla monetizzazione del debito, se già non lo aveva dovuto fare prima. Se poi lo Stato fallisse, dopo non sarebbe più in grado di finanziarsi sui mercati internazionali per un certo numero di anni, come è accaduto all'Argentina, perché nessuno vorrebbe più prestare denaro a un paese che ha fatto default,
- Le aziende estere che operano con quelle italiane, potrebbero rifiutarsi di mantenere i contatti commerciali con la neo-Lira, dato che i contratti in essere sono stati fatti in Euro, e quindi potrebbero nascere migliaia di contenziosi legali, e ci sarebbe un blocco di molte attività commerciali, con conseguente crollo del Pil.
- Anche dopo il cambio nella nuova moneta, molti risparmiatori potrebbero comunque decidere di portare i propri soldi all'estero, per evitare future, ulteriori svalutazioni, quindi ci sarebbe ugualmente una fuga di capitali, e una conseguente diminuzione del Pil e dei prestiti bancari. Le banche rischierebbero comunque di fallire, e sarebbe probabilmente necessario nazionalizzarle.
- Alcuni paesi europei e non potrebbero decidere qualche ritorsione nei confronti dell'Italia, ad esempio ponendo dazi sulle nostre merci, riducendo in tal modo l'effetto positivo dato dalla svalutazione, che in teoria dovrebbe consentire di esportare di più.

Dunque, se proprio dobbiamo uscire dall'Euro, sarebbe meglio (o meno peggio) farlo in segreto, senza annunciarlo, e senza passare per un Referendum. Questo però significherebbe per il governo ingannare gli italiani, oltre che gli altri paesi dell'area Euro. Per ora la nostra Costituzione impedisce di fare Referendum sui trattati internazionali e sulle questioni fiscali, ma nel caso la raccolta di firme avesse un grande successo, oppure nel caso in cui alcuni partiti proponessero seriamente di rivedere la Costituzione per poter poi fare veramente il Referendum, la fuga di capitali potrebbe iniziare per il semplice effetto annuncio. Come è accaduto nel 2011, lo spread potrebbe aumentare, per la semplice paura di alcuni investitori che lo Stato italiano non sia in grado di ripagare il proprio debito, e dunque lo Stato italiano potrebbe andare verso il fallimento anche prima di prendere una decisione definitiva sull'Euro.

Se non vivessi in Italia, potrei gustarmi la scena di questo suicidio collettivo degli italiani a distanza, mentre Beppe Grillo se lo gusterebbe da una delle sue ville in riva al mare. Chi ha i milioni da parte, se è furbo, li avrà già portati all'estero in modo da guadagnarci sul cambio, e da non finire in mutande, come invece accadrebbe alla gran parte degli italiani, e degli elettori e sostenitori di Grillo. Io purtroppo non sono milionario, quindi non potrei divertirmi sulle disgrazie altrui, e dire "ve la siete cercata" non sarebbe una grande soddisfazione, anche se in fondo sarebbe vero.

mercoledì 3 dicembre 2014

Susanna Camusso e il settore terziario


Nella puntata di "Di Martedì", talk show politico di La7, del 2 dicembre è stato ospite il regista inglese Ken Loach. La presenza del regista britannico, famoso per i film sulla condizione operaia, è stata un'occasione per parlare delle politiche attuate negli anni '80 da  Margaret Thatcher, primo ministro inglese dal 1979 al 1990. Ken Loach ha accusato, come era prevedibile, la Thatcher di avere colpito i diritti dei lavoratori, e di avere impoverito il popolo.
A dir la verità non sembra sia così, almeno a giudicare dal reddito pro capite della Gran Bretagna, paragonato a quello di Italia, Francia e Germania.

Certo, la Gran Bretagna potrebbe avere disuguaglianze maggiori, tuttavia, non sembra proprio essere un paese povero. D'altro canto, il fatto che accolga immigrati dal resto d'Europa (i giovani italiani ne sanno qualcosa..) fa pensare che non si poi ridotto così male.
Susanna Camusso, segretario della Cgil, anche lei ospite, ha confermato le parole di Ken Loach: secondo lei, la Thatcher "ha trascurato e spostato nell'attività finanziaria e terziaria riducendo molto il peso dell'industria nell'attività produttiva della Gran Bretagna, nell'illusione che la finanza sarebbe stato il mondo del futuro".
Ora, al di là di come la si pensi sulla Thatcher e sulla finanza, occorre rilevare che lo spostamento delle attività economiche dal settore secondario (industria) al settore terziario (servizi) è un fenomeno che si è verificato in tutti i paesi avanzati, Italia compresa.
Confondere il terziario con la finanza, insinuando magari che si tratti di un'economia finta, di carta, è un errore. Basta consultare Wikipedia, dove si spiega che il settore terziario riguarda:

servizi a rete, cioè trasporti e comunicazioni;
servizi facility management
servizi commerciali;
gastronomia, turismo, ospitalità;
servizi assicurativi e bancari;
attività amministrativa degli organi di stato;
servizi avanzati, come fornitura di attrezzature, macchinari e beni, informatica, ricerca e sviluppo, consulenza legale, medica, fiscale e tecnica, analisi e collaudi, formazione, marketing.

L'idea che i servizi non producano niente, che siano una parte secondaria delle attività economiche è semplicemente assurda. I paesi avanzati sono quelli in cui il settore predominante è quello dei servizi. 
Lo si può vedere ad esempio dal numero di addetti nei due settori negli Stati Uniti: il settore terziario è preponderante, e in continuo aumento.




Del resto, questo sembra abbastanza facile da capire: come era già accaduto con l'agricoltura, lo sviluppo produttivo consente di impiegare sempre meno lavoratori nell'industria. Ma questo non vuol dire che l'industria produca di meno, anzi, semmai produce di più. Anche l'agricoltura va così: oggi è in grado di sfamare sette miliardi di persone, anche se in molti paesi impiega meno del 3% della forza lavoro. Quindi, siamo nell'era post-industriale, ma ciò non significa che le industrie siano destinate a scomparire, ma solo che non impiegano più la maggioranza dei lavoratori.
Inoltre, l'era dei servizi è associata ad una migliore qualità della vita: è sicuramente più piacevole, o almeno, meno scomodo, lavorare in un ufficio, che in una fabbrica.


Nel '700, quando la stragrande maggioranza dei lavoratori era nel settore dell'agricoltura, i fisiocratici credevano che l'agricoltura fosse la vera base della ricchezza. Invece, la Camusso è rimasta all'800, quando lo sviluppo dell'industria ne fece l'attività principale, e si cominciò a pensare che fosse lì la "vera ricchezza", nella "produzione" di beni fisici, tangibili.
La Camusso (come anche Landini) ha in mente una società fondata sulle grandi industrie, sugli altiforni, sulle miniere, con milioni di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro ripetitivo per tutta la vita, e i sindacati che li proteggono.


Non  ho motivi particolari per difendere la Thatcher, sarà stata anche una pessima statista, anche se mi chiedo come mai sia stata votata e rivotata per tanti anni, se era così pessima. Ma se la sua colpa è stata quella di aver incentivato lo sviluppo del settore terziario a scapito di quello industriale, non mi pare che sia una colpa così grave. Anzi, non deve essere stato neanche un suo merito particolare, dato che questa tendenza si registra anche negli altri paesi avanzati.
Comunque, la storia va avanti lo stesso, e non torna indietro, nonostante le nostalgie di Landini e della Camusso. Al massimo potranno riuscire a frenare l'Italia, rendendolo un paese meno presente nei settori in cui oggi si produce più ricchezza, un po' come il Papa, che contribuisce a frenare lo sviluppo della società italiana nel versante della laicità e dei diritti civili.

domenica 23 novembre 2014

Di chi è la colpa?

Nel settimo anno dall'inizio della crisi, si può fare il punto della situazione, chiedendosi come stanno andando le cose, qual è la situazione dell'Italia, a cosa va attribuita la crisi ecc.
Poiché in Italia le cose vanno male, molti pensano che stiano andando male anche nel resto d'Europa o del mondo, attribuendo per questo motivo la crisi a cause internazionali. Ma come vanno le cose negli altri paesi?
Il grafico dell'andamento del Pil nei paesi del G7 ci può dare un'indicazione al riguardo.


Come si può vedere, prima della crisi, dal 2003 al 2007, i Paesi che vanno peggio sono Italia e Giappone, che crescono poco, rimanendo sostanzialmente stagnanti.
Nel periodo della crisi, 2008 e 2009, il Pil italiano scende, ma meno della media degli altri Paesi; curiosamente anche il Giappone sembra calare meno degli altri.
Nel 2010 gli altri paesi riprendono a crescere, mentre l'Italia rimane stagnante.
Nel 2011, anno della crisi dello spread, l'Italia riprende a calare, e da allora è l'unico paese che continua a calare.
Il risultato finale è che l'Italia è il paese che è calato di più dal 2003, ed è l'unico insieme al Giappone a non avere recuperato i livelli di ricchezza pre-crisi.
E' dunque evidente che l'Italia ha dei problemi specifici, propri, che altri non hanno.
Ricordiamocelo quando sentiamo attribuire la colpa ad altri, che siano l'euro, la Merkel, il "capitalismo" o le banche.
No, se siamo gli unici a non riprendersi, vuol dire che abbiamo dei problemi tutti nostri, e anche belli grossi.

giovedì 7 agosto 2014

Alcuni errori di Fusaro


Avrei voluto intitolare questo pezzo "Tutti gli errori di Fusaro", ma poi mi sono reso conto che è quasi impossibile elencare tutti gli errori del giovane filosofo Diego Fusaro, che recentemente impazza non solo con la sua riproposizione di Marx in versione idealista, ma anche in interviste e comparsate televisive (ad esempio in quella trasmissione televisiva che alcuni hanno rinominato la "Gabbia di matti") in cui attacca l'Euro e l'Europa, e prende le difese di Putin o del regime siriano di Assad, sempre con lo scopo di combattere il suo grande nemico, il "capitalismo".
Pur essendo giovane, Fusaro è in realtà vecchio, dal momento che ripropone la vecchia mentalità utopistico-religiosa, che pretende la costruzione di una società perfetta, di un Regno di Dio in terra, nonostante il fatto che i tentativi storici di realizzare tale società perfetta siano tutti miseramente falliti.
Ma, come si può capire, chi ha una mentalità religiosa è allergico ai fatti. Il fatto che Gesù non sia più tornato, anche se era atteso a breve dopo la sua morte, non scalfisce le certezze di chi lo attende: sono passati 2.000 anni, e si continua ad attenderlo. Allo stesso modo, chi attende l'avvento della Società Perfetta non si fa certo scoraggiare dal fatto che i regimi costruiti nel '900 abbiano provocato milioni di morti, e infiniti dolori e sofferenze: evidentemente si sono sbagliati i fatti, ma la teoria "deve" rimanere giusta, ci deve per forza essere un Dio, ci deve per forza essere un modo di costruire la Società Perfetta.
A Fusaro basta dire di non essere stalinista, e tutto si sistema, e può tranquillamente riproporre gli stessi tragici errori del passato. Anzi, Fusaro considera la caduta dei regimi comunisti come la più grande sciagura del '900. Non le guerre mondiali, non i totalitarismi di cui facevano parte questi stessi regimi, non i genocidi: per lui la più grande tragedia è la caduta di una serie di regimi dispotici, tra l'altro per le proprie contraddizioni interne, e senza che siano stati abbattuti dai carri armati di una potenza esterna. Anche qui si vede la mentalità religiosa: come per la Chiesa il crimine più grande non è l'omicidio o la pedofilia, cioè il fare del male a persone reali, ma la bestemmia o la profanazione dell'ostia e dell'acqua santa, cioè azioni simboliche e astratte, così per lui il male più grande è la caduta del socialismo reale, perché rappresenta la fine (o, per lui, il ridimensionamento) della possibilità di costruire un mondo perfetto. Come la Chiesa è stata disposta a coprire i reati dei preti pedofili pur di salvare la Chiesa stessa, considerata come il Bene Assoluto, così Fusaro copre o sottovaluta i crimini del socialismo reale, e se è per questo anche di tutti gli altri regimi non capitalisti, in nome della possibilità di tenere viva la speranza in un mondo migliore.
E così Fusaro prende posizione a favore della Russia di Putin e della Cuba di Castro, del Venezuela di Chavez e la Siria di Assad, come anche l'Iran degli Ayatollah, e quei regimi che nel frattempo sono caduti, dalla Libia di Gheddafi all'Iraq di Saddam Hussein, secondo la mentalità del baluardo: tutto è meglio del capitalismo, quindi ci si deve alleare con tutto ciò che costituisce un "baluardo" contro il capitalismo.
Dio esige sempre un tributo di sangue nei confronti degli esseri umani in carne e ossa.
Ora, a ben guardare, per chi ha una mentalità del genere, il capitalismo non è l'unico dei mali, ma è soltanto l'ultima incarnazione del Male, del potere, dell'ingiustizia. Il capitalismo di cui parla Fusaro è un fantasma, un capro espiatorio, un feticcio a cui attribuire tutti i mali (attuali) del mondo, per poter sognare la possibilità di stabilire il Regno di Dio in terra. Se attacca il capitalismo è solo perché, hegelianamente, pensa che sia l'essenza della società di oggi, che spiega tutto ciò che oggi non va. Fusaro è una vittima (come lui stesso dice), di Hegel, pretende che la storia abbia un senso, pretende di dare spiegazioni totalizzanti e onnicomprensive, pretende che esista una Verità assoluta nell'ambito sociale.
Il capitalismo gli serve per credere che l'uomo sia in potenza santo, è come il Diavolo per i cristiani, è un modo per esorcizzare il male e proiettarlo all'infuori di sé.
A Fusaro non viene in mente che forse l'uomo non è perfetto, che la natura umana è quella che è, che magari il potere e la sopraffazione sono sempre esistiti, e semmai si tratta di limitarli: no, l'uomo, anzi l'Uomo, sarebbe perfetto, ma il capitalismo lo rovina.
E da questo punto di vista non stupisce che Fusaro si dica idealista, che consideri Marx come un idealista e che cerchi una conciliazione con gli hegeliani di destra: infatti vorrebbe tornare allo stato etico, di tipo fichtiano-hegeliano, e considera Gentile un grande pensatore. Sostiene che lo stato debba "trasmettere dei valori", tra cui il "senso della famiglia". Mussolini sarebbe soddisfatto.
A differenza di Marx, che voleva abolire lo stato, Fusaro vuole lo stato etico, realizzando una convergenza con il nazi-fascismo (mi dispiace, so che l'accusa di fascismo lo fa arrabbiare assai, ma i fatti sono questi).
Probabilmente Fusaro opera questa scelta, perché si rende conto che il marxismo lasciava aperto uno spazio di libertà per gli uomini in potenza molto grande, quando fosse stato abolito lo stato insieme alla società divisa in classi, ma a ben guardare, se veramente si vuole realizzare la Società Perfetta, non basta togliere il potere e le cause della divisione in classi: e se nonostante tutto si realizzasse l'anarchia, o comunque una società non perfetta? Ecco che allora Fusaro ha bisogno di uno stato forte, che educhi e sottometta l'individuo.
Fusaro è un comunitarista nel senso deteriore del termine, cioè vuole annullare l'individuo nella comunità, usa il concetto di comunità come uno strumento per annullare la libertà dell'individuo. Attribuisce anche ad altri pensatori la stessa visione, ad esempio distorce il pensiero di Spinoza come se fosse un anti-individualista.
Crede nell'Uomo con la U maiuscola che però non esiste, mentre non gli piacciono gli uomini reali, che devono dunque essere guidati e sottomessi dallo Stato Etico. Esattamente come accade in Iran, dove un gruppo di anziani sacerdoti custodi della morale decide cosa è giusto e cosa non è giusto, cosa si può fare e cosa non si può fare.
Come sappiamo, questa mentalità religiosa è nemica soprattutto del riformismo. Infatti il riformismo si accontenta di migliorare a poco a poco la società, rinunciando alla pretesa di costruire la Società Perfetta. Non a caso, Fusaro crede che il progresso avvenga solo con l'antagonismo, lo dà per scontato. Crede che tutto ciò che c'è di buono nella nostra società (ad esempio il diritto del lavoro e lo stato sociale) si siano imposti grazie alle lotte di alcune parti della società contro il potere e il capitalismo.
Non gli viene in mente che in una società democratica il progresso, per quanto imperfetto come tutte le cose umane, possa avvenire all'interno del potere.
Fusaro ignora, o sottovaluta, il fatto che nel lungo periodo la condizione del popolo è migliorata, e non peggiorata. La previsione di Marx, secondo cui nel capitalismo il popolo diventa sempre più povero, si è rivelata errata. Questo è decisivo a livello teorico, e lo è stato a livello pratico: il popolo giustamente non intende lottare contro qualcosa che gli ha consentito di vivere meglio, solo perché qualcuno gli racconta che si potrebbe vivere ancora meglio, senza fornire prove. Ma Fusaro ignora questo fatto perché lui vuole la Perfezione. Quindi per lui, dal momento che lo paragona con un'idea di Perfezione, qualunque progresso reale è irrilevante, anzi, come il cristianesimo, pensa che il benessere materiale possa ottundere le coscienze di fronte al Vero Bene. Quindi, si stava meglio quando si stava peggio.
Le uniche concezioni che Fusaro fa alla società capitalistica sono a posteriori, e non cambiano la sua visione critica. Infatti, pratica il buon senso a posteriori, dicendo ad esempio che la prima repubblica era meglio della seconda, mentre pretende la perfezione nel presente. Come quelli che oggi dicono che si stava meglio negli anni '70, ma negli anni '70 volevano fare la rivoluzione. Fusaro elogia (parzialmente) la borghesia adesso che sostiene che è morta, mentre il marxismo l'ha sempre voluta eliminare e l'ha considerata il nemico. Ora invece anche la borghesia diventa una vittima del "capitalismo", per cui viene rivalutata, come un "baluardo", insieme a Saddam Hussein e Gheddafi.
Nonostante il fatto che fornisca una critica radicale alla società in cui vive, Fusaro pubblica libri e lavora all'università, ed è soltanto l'ultimo dei critici marxisti della società capitalistica. E però sostiene, come del resto anche molti suoi predecessori, che nel capitalismo la critica è impossibile e che c'è il "pensiero unico". Sostiene che nella società attuale questo "pensiero unico" fa credere che non ci sia un'alternativa possibile: non gli viene in mente che questa, più che essere un'imposizione, è soltanto una constatazione, dovuta al fatto che le alternative realmente provate sono fallite. Lui invece pensa che sia un'imposizione, la prova che il capitalismo è totalitario. Peccato che fino al 1989 il capitalismo conviveva con il comunismo, che era il suo concorrente. Se poi il comunismo è crollato, non possiamo far altro che prenderne atto, senza necessariamente esserne felici. Una persona adulta prende atto di ciò che accade. Invece di riproporlo come se nulla fosse, forse è bene imparare dalla storia. Se per decenni tutti quelli che hanno provato a costruire le ali per volare, si sono schiantati al suolo e sono morti, forse è meglio evitare di riprovarci.
Invece, per qualcuno la storia non è servita a niente, e milioni di persone sono morte invano: continuiamo a sputare sui regimi democratici (imperfetti e migliorabili, come tutte le cose al mondo), in nome di un'irrealizzabile Utopia, di un Regno di Dio in Terra.
Dunque, il punto non è che la critica è impossibile o vietata, ma semplicemente, che abbiamo preso atto che non è stata ancora inventata un'alternativa possibile al capitalismo. Chi non ci sta, perché continua ad aspettare Godot-Dio-la Salvezza e Redenzione totali, pretende che si faccia ancora una critica radicale di tutta la società, anziché critiche parziali, dà per scontato che si debba distruggere tutto, anziché riformare, e si arrabbia se nessuno gli dà retta.

Ma poi, siamo sicuri che la critica al capitalismo colga nel segno? Fusaro crede che il capitalismo sia una forza reale, dotata di vita reale e di una propria volontà, un po' come il Diavolo, che agisce per conto proprio, e non in base alle libere scelte degli individui. Ma siamo sicuri che questo non sia il frutto di una visione alienata, dello stesso tipo che i marxisti imputano alla visione borghese? Come sappiamo, i marxisti credono che possa esistere una visione non alienata, pura, al di sopra della storia, naturalmente la loro. Non è che magari invece ogni punto di vista è parziale, compreso il loro?
Fusaro crede che l'essenza del capitalismo sia espandersi all'infinito, ma siamo sicuri che sia così? Non è che magari viene utilizzato per sfuggire alla miseria, che è una possibilità reale per gli individui e per i popoli, almeno finché la maggioranza della popolazione mondiale rimarrà (come è sempre stata in passato) povera?
Inoltre, Fusaro sostiene che il '68 è stato soltanto funzionale all'edonismo consumistico, e che i sostenitori della liberazione dell'individuo e dei suoi desideri, e della liberazione dall'autorità, magari marxisti, si sono sbagliati, sia pure in buona fede. Ma non gli viene in mente che allora forse anche lo stato sociale e i diritti del lavoro si sono imposti perché erano funzionali al capitalismo? Come può esistere una classe media che consuma, se non ha alcuna sicurezza e non ha neanche un po' di tempo libero?
Oppure, non potrebbe essere che il capitalismo si è semplicemente adattato ai cambiamenti della società, ad esempio trovando nuovi prodotti da vendere quando si aprivano nuovi mercati, e che solo a chi vede le cose a posteriori, tutto torna in base ad un principio unificante? Caso strano, la visione marxista funziona soltanto a posteriori, mentre quando ha provato a fare previsioni, ha sempre sbagliato (ad esempio quando ha previsto che il popolo sarebbe diventato sempre più povero, o che il capitalismo sarebbe crollato con la prima guerra mondiale).
Poiché al momento la maggioranza della popolazione non si oppone al capitalismo, per sostenere la sua tesi, cioè che il capitalismo è il peggiore dei sistemi, Fusaro ha bisogno di sostenere che il futuro ci riserverà novità tremende, che verrà smantellato lo stato sociale ecc., cioè usa i fatti futuri come prova che il presente non funziona (come quel noto politico-comico che ogni volta dice che stiamo per finire come la Grecia, rimandando la previsione di sei mesi in sei mesi). Chiaramente siamo di fronte ad una visione religiosa e non scientifica, per cui si possono usare fatti non ancora realizzati come prove a sostegno delle proprie tesi (simile alla minaccia dell'inferno agitata per secoli contro i peccatori), e si rimane convinti, anche se non si realizzano. Ad esempio nel 2013 Fusaro dava già per realizzata "l'aggressione imperialistica nei confronti della Siria", e già si era schierato "senza se e senza ma" dalla parte della Siria stessa, e del suo presidente Assad, contro Obama, considerato come pronto al "bombardamento etico" esattamente come Bush. Il fatto che poi Obama non abbia bombardato la Siria, per lui non significa nulla: se Obama bombarda la Siria, è la prova che il capitalismo è aggressivo e imperialistico, se Obama non bombarda la Siria, è la prova che il capitalismo è aggressivo e imperialistico (ma si vede che non c'erano sufficienti interessi, non c'era abbastanza petrolio ecc..). A posteriori, come sempre, tutto torna.
Viste tutte le premesse, non stupisce che Fusaro consideri l'Europa come un "progetto criminale", perché vuole implementare il capitalismo, vuole schiavizzare i lavoratori, vuole smantellare lo stato sociale ecc. Ovviamente, oggi, anno del Signore 2014, lo stato sociale esiste ancora, nonostante si venga dalla crisi più grave degli ultimi 70 anni e gli stati abbiano problemi nei conti, cioè i bambini vanno ancora nella scuola pubblica, gli anziani vanno a curarsi negli ospedali, nessuno muore di fame ecc. Ma questo ovviamente non significa nulla, per chi ha una mentalità religiosa: se il capitalismo è cattivo, lo stato sociale dovrà per forza scomparire, si tratta soltanto di aspettare. Deve per forza esistere un Motore Immobile, diceva Aristotele...
E, come al solito, se la previsione si rivelerà errata, saranno ancora una volta i fatti ad essersi sbagliati, e si troverà, a posteriori, una spiegazione totalizzante e onnicomprensiva che salvi capre e cavoli.
Fusaro attribuisce al capitalismo la morte di Dio, mentre è il contrario: la morte di Dio è stata decretata (per logica conclusione dalle loro stesse premesse) dai filosofi, quindi poi è arrivato il capitalismo. Se oggi viviamo in un'epoca in cui si è persa la speranza di conoscere la verità e dio è morto, e quindi non resta che vivere in questo mondo cercando magari di stare bene, non è "colpa del capitalismo", ma è la conclusione a cui è giunta la filosofia moderna, da Cartesio a Kant a Nietzsche. Gli individui di oggi vivono come aveva previsto più di cento anni fa Nietzsche. Se proprio se la vuole prendere con qualcuno, Fusaro se la dovrebbe prendere con i suoi colleghi.
E' vero che, nonostante Nietzsche, qualcuno nel '900 ha continuato a credere nella Salvezza, appunto con il marxismo e il socialismo reale. Ma quando anche questo è crollato, si è realizzato il trionfo di Nietzsche.
Ma come in ambito religioso esiste ancora chi crede nella teologia anche se sono venute meno le possibilità di conoscere Dio e di dimostrarne l'esistenza utilizzando la ragione, così sopravvive una riserva indiana composta da chi crede nella possibilità di realizzare l'Utopia.
E chissà, forse è bene che sia così, forse anche loro hanno una funzione sociale. Forse è bene che ci sia qualcuno che critichi l'esistente, fornendo punti di vista alternativi. Purché non prenda il potere: altrimenti finiamo come l'Iran. O la Corea del Nord.




lunedì 9 giugno 2014

Renzi è di destra?


La rapida ascesa di Matteo Renzi ha provocato non pochi mal di pancia tra gli elettori tradizionali di sinistra, anche se la sua netta vittoria alle primarie di fine 2013, sia tra i delegati che tra gli elettori, ha certificato un cambiamento di opinione della maggioranza di essi, che l'anno prima gli aveva preferito Bersani. Tuttavia, molti, in quella che ora è diventata la minoranza Pd, ma anche tra gli elettori della sinistra radicale, continuano a pensare che Renzi sia di destra, una sorta di Berlusconi infiltrato nel Pd.
Ma quanto c'è di vero in questo?
Ovviamente, per rispondere a questa domanda dobbiamo prima chiederci se la distinzione destra/sinistra sia ancora valida, e in ogni caso, cosa significhi essere di sinistra.
I motivi per cui Renzi non viene considerato di sinistra, al di là del suo abile uso del mezzo televisivo per comunicare e del suo uso di un linguaggio più semplice e incisivo e del suo modo di fare meno paludato rispetto ai politici tradizionali, si trova nel suo richiamo a concetti quali la crescita dell'economia e il riconoscimento del merito, oltre alla sua provenienza dal partito popolare, dunque alla sua storia di centro. Scartiamo subito quest'ultimo aspetto: se provenire dal centro è sufficiente per scomunicare qualcuno, allora il Partito Democratico non si doveva fare, e il partito del filone Pci-Pds-Ds doveva continuare ad avere come discriminante quella di avere un puro pedigree di sinistra. In questo modo non si sarebbero mai vinte le elezioni, ma ci si sarebbe potuti guardare allo specchio e sentirsi superiori, senza la responsabilità di dover governare, un po' come fanno i grillini oggi. Oppure si poteva andare avanti con l'opzione D'Alema-Bersani: si rimane nel fortino in cui ci si sente superiori, però dopo aver constatato che da soli non si vincono le elezioni, si accetta di allearsi con forze di centro, e persino di centro-destra, pur di governare. In questo modo, però, come si è visto, si perdono consensi e comunque si scontenta il proprio elettorato.

Ma torniamo a Renzi. In primo luogo va detto che la politica non è una scienza esatta, ma consiste nel cercare di portare avanti i propri principi, adattandoli alla realtà della propria epoca. E quando la realtà cambia, bisogna avere l'intelligenza e la flessibilità sufficienti per cambiare. Pensare di poter applicare oggi le ricette di cinquant'anni fa è semplicemente illusorio. Ora, negli ultimi decenni la sinistra aveva ignorato il tema della crescita, ma questo è per forza un carattere distintivo della sinistra? A ben guardare no: quando l'Italia era ancora un Paese non sviluppato, i dirigenti di sinistra, comunisti e socialisti, o almeno i più consapevoli di essi, promuovevano delle politiche di sviluppo volte a far uscire dallo stato di povertà endemica le cosiddette masse popolari. Del resto, nell'ideologia marxista-leninista, lo sviluppo dell'industria pesante è una condizione necessaria per industrializzare la società e creare le basi per il progresso sociale (il motto di Lenin era: elettrificazione più soviet). Dunque, non è vero che la crescita sia un tema estraneo alla sinistra. Viceversa, all'inizio del dopoguerra, in Italia la Confindustria pensava che il Paese sarebbe rimasto per gran parte agricolo, e non immaginava che potesse diventare un Paese industrializzato e dal benessere diffuso. E il ventennio berlusconiano ci ha mostrato una destra occupata soltanto a difendere le proprie posizioni di rendita e privilegio, mantenendo il Paese bloccato e senza crescita. Dunque, non è vero neanche che la destra sia interessata sempre e comunque alla crescita. Spesso la destra è un ostacolo alla crescita, nella misura in cui difende i gruppi sociali che già ce l'hanno fatta e si sono ricavati un posto al sole. E questo è tanto più vero in un Paese corporativo come l'Italia.

Ma allora perché in Italia si fa fatica a pensare che la crescita sia un tema di sinistra? A mio avviso, la ragione si trova nella storia degli ultimi decenni. Con il boom economico, l'Italia si ritrovò ad essere un Paese che correva verso il benessere, e nello stesso tempo si imborghesiva, così che i valori del consumismo e dell'edonismo diventavano predominanti. La reazione della sinistra, basi vedere le analisi che faceva Pasolini, furono principalmente le seguenti: dare per scontato che la crescita ormai c'era e sarebbe durata, non vederla di buon occhio nella misura in cui imborghesiva la società, e però cercare di sfruttarla per redistribuire il reddito e fare riforme che consentissero un progresso civile. E così dopo il 1963, arrivarono le pensioni sociali e il diritto di famiglia, l'aborto e il divorzio, lo statuto dei lavoratori e la scala mobile. La ricchezza già c'era, e la sinistra pensava solo a sfruttarla per migliorare le condizioni delle masse.


Ma con la crisi degli anni '70, la destra liberale diede vita ad una controffensiva, con Reagan in America e la Thatcher in Europa, per aumentare di nuovo i profitti che si stavano erodendo. E così la sinistra si mise a "resistere", cercando di salvare quanto aveva conquistato nei decenni precedenti. Ma è solo in Italia che la sinistra costruì una mitologia basata sul conflitto come mezzo necessario per ottenere risultati, e questo perché in Italia la stagione del conflitto coincise con la stagione del progresso (anni '60/'70). E così ancora oggi, molti elettori di sinistra pensano che essere di sinistra significhi combattere contro i "padroni", scioperare, dire di no, essere contro, essere all'opposizione ecc. Invece in altri Paesi lo stato sociale è stato introdotto senza i conflitti che ci furono da noi, basti pensare che in Gran Bretagna lo stato sociale fu introdotto dal primo governo dopo la guerra, quello di Clement Attlee insediatosi nel 1945.

In ogni caso, oggi la situazione è cambiata: in Italia l'economia non cresce da vent'anni, e dopo la crisi, il Pil è sceso del 10%. In queste condizioni, ignorare il tema della crescita e pensare soltanto a redistribuire la torta, quando la torta diventa sempre più piccola e l'Italia rischia di diventare un Paese povero, è semplicemente assurdo.
Ecco perché la sinistra radicale, quella guidata dai vari Bertinotti e Diliberto, che voleva solo combattere, resistere e redistribuire, è praticamente scomparsa. E così rischiava di scomparire anche quella più moderata dei vari D'Alema, Bersani, Fassina e Cuperlo, che è rimasta per anni in una condizione di ambiguità, che però prima o poi doveva essere sciolta.
E così una parte dei voti della sinistra radicale, quelli che sono sempre contro a prescindere, è confluita nel Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, trovando in lui una base per sognare un mondo totalmente diverso, senza sapere bene come dovrebbe essere fatto.
E d'altro canto la crisi ha anche scardinato la destra, dato che le imprese che si confrontano nel mercato e non hanno santi in paradiso, hanno per forza di cose abbandonato Berlusconi e la Lega, che nei lunghi anni di governo si erano limitati a difendere l'esistente, senza ridurre la burocrazia, e senza rendere più efficiente il sistema, dato che il loro elettorato era tutto sommato benestante e non chiedeva riforme particolari, se non un po' di tasse in meno, ma senza soffrire particolarmente se queste non scendevano. Ora che la stessa base industriale italiana rischia di scomparire, l'alleanza tra le piccole e medie imprese e le categorie protette che sono rimaste con la destra (avvocati, notai, imprese che lavorano per lo Stato ecc.), è venuta meno.



Ecco spiegato il fenomeno Renzi: l'Italia è in declino, e le categorie privilegiate, sia quelle tradizionalmente di sinistra (pensionati, operai delle grandi imprese, dipendenti pubblici intoccabili), sia quelle tradizionalmente di destra (professionisti, pensionati e dirigenti pubblici benestanti o ricchi, aziende protette e fuori dal mercato) sono sempre meno numerose. Se la nave rischia di affondare, bisogna fare qualcosa, non si può rimanere chiusi dentro, a "resistere" (sinistra radicale) o a festeggiare (destra berlusconiana), e naturalmente neanche a gridare (grillini).

Dunque Renzi è di sinistra perché non vuole distruggere ma salvare lo stato sociale, facendo crescere l'economia e riducendo un po' di privilegi, un po' come fecero Blair in Gran Bretagna e Schroeder in Germania. Poi è chiaro che se c'è la crescita, in un'economia di mercato ci sarà anche qualche imprenditore che si arricchisce, ma se preferiamo diventare tutti più poveri pur di non darla vinta ai "capitalisti", basta dirlo. Io non sono d'accordo, ma rispetto questo punto di vista.

C'è anche chi teme che introducendo un po' di meritocrazia, l'Italia diventi una giungla come gli Stati Uniti, dove chi rimane indietro finisce per strada. Non scherziamo. Intanto in Europa c'è una cultura diversa, meno individualismo e più società. E poi, in America c'è un'enorme concentrazione di capitali, ed i mezzi di informazione sono in mano alle corporation. In Italia le grandi aziende sono pochissime, e quelle che ci sono fuggono (vedi la Fiat). Rifiutare di introdurre un po' di concorrenza in Italia per paura di diventare come gli Stati Uniti, sarebbe come se un obeso rifiutasse di sottoporsi ad una dieta dimagrante per paura di diventare anoressico. La politica, se è intelligente, cerca di affrontare i problemi che si pongono al momento. Per ora il problema dell'Italia è evitare il declino, quindi noi dobbiamo affrontare questa malattia e non un'altra.

domenica 8 giugno 2014

I nodi di Hartmann


I nodi di Hartmann sono dei punti in cui si incontrano le linee che costituirebbero una rete, secondo la teoria formulata dal medico Ernst Hartmann nel 1950. Questa rete o griglia sarebbe composta da rettangoli larghi 2 metri e mezzo e alti 2 metri. Chi si trova a stazionare in corrispondenza dei nodi soffrirebbe delle cosiddette "geopatie". La rete, detta rete di Hartmann, sarebbe causata da determinati raggi, chiamati "raggi della Terra" o "raggi tellurici". Stazionare a lungo in corrispondenza dei nodi, ad esempio avendo il letto posizionato nel punto sbagliato, potrebbe causare delle malattie, tra cui il cancro. Chi si sveglia sempre stanco farebbe bene a correre ai ripari!
In seguito, queste teorie sono state sviluppate nella cosiddetta "geobiologia", che cercherebbe di misurare gli "aspetti energetici" di un determinato luogo, ed è stata collegata ad alcune credenze come il Feng Shui, ed è utilizzata nella bioarchitettura, che si occupa di progettare case a prova di "energia negativa".
La spiegazione che viene data riguardo a questi raggi è di tipo vagamente scientifico, dato che si parla di "radiazioni gamma-ionizzanti" e di "onde elettromagnetiche".
La "scienza ufficiale" non avrebbe accolto queste teorie, per via degli "interessi" che avrebbero le case farmaceutiche a nasconderci la verità, e a venderci medicine che non ci curano o magari addirittura ci fanno ammalare.

Ma cosa può fare un profano di fronte ad una teoria come questa? Come può sapere se è vera oppure no?

In primo luogo, deve fare una piccola verifica sulle proprie conoscenze. Cosa so io di questo argomento? Nel caso specifico, si parla di malattie, ma soprattutto di fisica. Quali sono le mie conoscenze di fisica, per sapere se questi concetti esprimono qualcosa di reale? Ad esempio,nei libri di fisica, questi "raggi della Terra", si trovano? Se ho dei dubbi, posso consultare un manuale, oppure cercare informazioni in rete, naturalmente scegliendo le fonti autorevoli (se non so neanche distinguere le fonti autorevoli, devo stare ancora più attento). E scoprirò che dei "raggi della Terra" non si parla né nei manuali di fisica, né ad esempio su Wikipedia. Quindi, anche se cercano di ammantare di scientificità questa teoria, associando questi raggi alle onde elettromagnetiche, che effettivamente esistono, i loro autori però basano la loro teoria su qualcosa che non è mai stato osservato e di cui nei libri di fisica non si parla, i fantomatici "raggi della terra". E questa è una tipica mossa pseudoscientifica: si accostano concetti scientifici a cose inesistenti. D'altro canto, come sappiamo non esiste una "scienza ufficiale" a cui si contrapporrebbero delle "scienze alternative". La scienza è una sola, e soprattutto quelle branche che sono note da tempo come l'elettromagnetismo, è difficile che si siano "perse" un fenomeno come questo: se veramente esistesse una forma di onde elettromagnetiche che costituisce una rete intorno alla terra, non si vede come mai la scienza (quella che conosce bene le onde elettromagnetiche, tanto è vero che le usa per gli scopi più diversi, dai telefoni cellulari ai forni a microonde), non dovrebbe essersene accorta. Anzi, visto che per quanto se ne sa le onde elettromagnetiche non si dispongono a griglia, questa sarebbe una forma ben strana di onde, che contraddirebbe le conoscenze attuali sull'elettromagnetismo. Il che ci potrebbe pure stare (del resto Einstein ha contraddetto la fisica classica, creando però al suo posto una teoria alternativa), ma prima di fare un passo del genere, di buttare a mare secoli di osservazioni, bisognerebbe portare delle prove.
In secondo luogo, per farmi un'idea su una teoria che non conosco, devo usare l'intelligenza, e chiedermi quali sarebbero le conseguenze qualora la teoria fosse vera. Se veramente esistessero dei punti in cui una radiazione di un qualunque tipo è molto più elevata che altrove, e questo producesse dei danni agli esseri viventi, l'erba o gli alberi non dovrebbero crescervi. Guardando un prato, dovremmo osservare una rete di rettangoli in cui l'erba non cresce. Oppure, una casa o una via che sono state costruite con le camere da letto proprio in corrispondenza di una delle linee, potrebbe avere, con una grande quantità di camere e di letti in corrispondenza dei nodi, un'insolita quantità di malati e di morti. Oppure gli uccelli in gabbia, che a differenza degli umani non possono spostarsi almeno durante il giorno, dovrebbero morire qualora si trovassero in corrispondenza dei nodi. Se invece tutto ciò non accade, evidentemente questi nodi o non esistono, oppure i raggi che vi passano non sono così pericolosi. Del resto, lo stesso Hartmann ipotizzò che negli ospedali, i malati posizionati nei letti che si trovavano in corrispondenza dei nodi, tendevano più facilmente a morire. Strano però che né lui né i suoi seguaci siano mai riusciti a dimostrare una cosa del genere, eppure di ospedali nel mondo ce ne sarebbero abbastanza per accorgersi di un fatto del genere: ci sarebbero certi letti "maledetti" in cui i pazienti ricoverati su di essi, morirebbero sempre. Ecco un punto fondamentale che segna la differenza tra chi fa scienza e chi non la fa: i primi fanno un'ipotesi ma poi cercano di verificarla, i secondi fanno un'ipotesi, e poi la danno per vera senza verificarla.
Qualcuno però potrebbe obiettare che questi nodi potrebbero comunque esistere. Effettivamente, potrebbero esistere. La scienza non dice che una cosa non esiste. Solo, pretende che chi sostiene che una certa cosa esista, porti le prove. L'onere della prova spetta a chi sostiene che una certa cosa esista. E la sua teoria deve essere verificabile. Se dopo più di 60 anni dalla teoria di Hartmann, questi fantomatici raggi tellurici non sono stati scoperti, né è stato dimostrato che dormire o trovarsi per molto tempo in una certa posizione aumenti il rischio di ammalarsi, c'è una buona probabilità che la teoria non sia vera.
Un modo per far credere di "saperla lunga", da parte degli autori di queste teorie pseudoscientifiche, è pubblicare bibliografie o citazioni di dottori, professori ecc. Il problema è che chiunque può scrivere un libro, se trova un editore che, fiutando l'affare, è disposto a pubblicarglielo (il pubblico che acquista certe cose si trova sempre...), inoltre è possibile autoprodursi un libro, ed è ancor più facile scrivere lunghissime pagine su internet, e poi usarle come "prova", magari linkandosi a vicenda con altri autori di pagine simili. Ma per provare qualcosa in ambito scientifico non basta scrivere qualcosa, bisogna anche convincere la comunità scientifica, portando prove.

Dunque, di fronte ad una teoria di cui non aveva mai sentito parlare, l'atteggiamento migliore per il profano, per chi non è esperto di scienza, è chiedersi se sia riconosciuta dalla scienza "ufficiale", e se non lo è, non crederci, o almeno essere fortemente scettico.

Vi è poi un altro aspetto interessante: nonostante il fatto che si contrappongano alla "scienza ufficiale" che sarebbe corrotta dagli "interessi", si scopre che anche i sostenitori di questa e altre teorie non sono privi di interessi, dato che vendono libri, riviste e persino dei dispositivi per rilevare la presenza di queste fantomatiche "radiazioni" e per "riequilibrarle".
Dunque, un'altra domanda che il profano si può porre è: con questa teoria alternativa, c'è qualcuno che ci guadagna? dietro di essa c'è un business? Se sì, aumenta ulteriormente la probabilità che sia una bufala.

sabato 7 giugno 2014

Il Fiscal Compact: un cappio al collo?

Negli ultimi tempi si parla molto del Fiscal Compact, cioè di quel trattato, sottoscritto nel 2012/2013 dai Paesi dell'area Euro, che impone ai singoli Paesi di rispettare alcune regole di bilancio a partire dal 2016, dal pareggio di bilancio da conseguirsi ogni anno, alla riduzione del debito pubblico, fino a portarlo al 60% in venti anni.
Un aspetto interessante è che in Italia si parla di Fiscal Compact più che negli altri Paesi europei, e alcune forze politiche lo hanno usato come argomento durante la campagna elettorale per le europee.
In un certo senso ciò è comprensibile, perché l'Italia è uno dei Paesi con il debito più alto, quindi la richiesta di abbassarlo, portandolo al 60% in vent'anni, si traduce per l'Italia in una maggiore attenzione ai conti pubblici, rispetto a Paesi che partono con un debito più basso.


                                                       (dal blog di Beppe Grillo)

Tra le posizioni più radicalmente contrarie si distingue quella di Beppe Grillo, secondo cui "Il Fiscal Compact ammazza l'Italia", perché ci costringerebbe a fare una manovra da 50 miliardi l'anno per vent'anni (scrive Grillo: "In questa situazione il Fiscal Compact, che taglierebbe la spesa pubblica dai 40 ai 50 miliardi all'anno per vent'anni in mancanza di una fortissima crescita, del tutto impossibile, è irrealistico. Consegnerebbe l'Italia alla miseria con tagli neppure immaginabili alla spesa sociale, dalla scuola alla sanità, e ucciderebbe ogni possibilità di ripresa. Il Fiscal Compact lo ha firmato il signor Rigor Montis e lo ha ratificato il parlamento delle larghe intese che lo ha sostenuto. Il Fiscal Compact lo paghino Berlusconi, il pdexmenoelle, Napolitano e Monti se vogliono. Il M5S lo cancellerà."). Se fosse vero questo, Grillo avrebbe sicuramente ragione, ma in questo caso ci dovremmo domandare: come è possibile che i governi europei abbiano sottoscritto un trattato simile? I paesi col debito più basso dovrebbero essere veramente sadici, a costruire un meccanismo che ucciderà le economie di quelli col debito più alto (a cominciare da Italia e Grecia), e questi ultimi dovrebbero essere veramente masochisti ad aver sottoscritto un vincolo così micidiale. Ma dato che le economie sono interconnesse, e che se crollasse un'economia grande come quella italiana, si trascinerebbe con sé il resto d'Europa, e potrebbe anche provocare una nuova crisi mondiale (come si temeva nel 2011, nell'anno dello spread, quando gli occhi del mondo erano puntati, con preoccupazione, sull'Italia), in ultima analisi, più che "criminale", il Fiscal Compact sarebbe una misura folle e suicida.

Tuttavia, a ben guardare le cose non stanno così. Infatti, in condizioni normali già da solo il pareggio di bilancio rende quasi automatica la diminuzione del debito pubblico: se ogni anno lo stato non si indebita ulteriormente rispetto agli anni precedenti, è sufficiente una modesta crescita per ridurre il debito, che ricordiamo, è la misura di un rapporto, cioè debito pubblico totale diviso per il prodotto interno lordo. Dunque, basta aumentare il denominatore, il Pil, che già il debito scenderà da solo. Non a caso, i Paesi che hanno avuto per un certo periodo una crescita economica sostenuta, si sono ritrovati con un basso debito, senza doverlo ridurre, ma solo perché era aumentato il Pil. Ne è un esempio l'Italia del boom economico, che vide diminuire il debito al di sotto del 40% sul Pil, anche se in assoluto la spesa pubblica cresceva, solo perché il Pil cresceva ancora di più.
Si potrebbe obiettare che siamo ben lontani dagli anni del boom, e che la crescita non si vede da tempo. Questo è vero, ma rimane il fatto che se non riprende un minimo di crescita, l'Italia è comunque destinata a finire male. Quindi, il Fiscal Compact ci sprona a crescere, cosa che comunque dovremmo fare anche se non ci fosse, se non vogliamo tornare ad essere un Paese povero.
Naturalmente, per crescere, un Paese ingessato come l'Italia, dovrebbe fare delle riforme, quindi viene il sospetto che chi si oppone al Fiscal Compact non vuole le riforme. Non a caso, fino a questo momento le maggiori critiche al Fiscal Compact sono venute dalla "vecchia sinistra" (Fassina, Vendola), da leader populisti (Grillo, Meloni), e da un leader conservatore come Berlusconi, che nel corso dei suoi lunghi anni di governo si è distinto per non aver fatto riforme che rendessero più efficiente la pubblica amministrazione, e capace di far crescere l'economia italiana.

Un altro aspetto da considerare, è che il rapporto debito/Pil si riferisce al Pil nominale, che in presenza di inflazione, può crescere anche se non cresce la ricchezza reale. Se io l'anno scorso ho guadagnato 100.000 Euro, e quest'anno ne guadagno 102.000, il mio reddito nominale è aumentato del 2%, ma se nel frattempo anche l'inflazione è aumentata del 2%, il mio reddito reale è rimasto lo stesso. Ma se nel frattempo devo pagare le rate del mutuo, ad esempio di 500 Euro al mese, rispetto al mutuo la mia ricchezza è ufficialmente cresciuta, quindi il mio debito è diminuito.
Come si sa, l'inflazione è la peggiore nemica dei creditori (in questo caso la banca che mi ha erogato il mutuo), che si vedono ridurre il valore reale del loro credito, anche se viene regolarmente rimborsato, ed è la migliore amica dei debitori, che si vedono ridurre il valore reale del loro debito, che quindi possono rimborsare con meno problemi.
Non a caso il governo giapponese di Shinzo Abe ha deciso qualche tempo fa di aumentare l'inflazione, o almeno ci ha provato, facendo stampare alla banca centrale un'enorme quantità di moneta. E questo dovrebbe far riflettere quelli che sostengono che il debito non è un problema e che il Giappone con il suo debito al 240% è una prova che ci si può convivere benissimo. Il debito pubblico è comunque un problema, solo che ci sono diversi modi per ridurlo. Usare l'arma dell'inflazione, come sta facendo il Giappone, è un modo per scaricarlo sulla popolazione in maniera subdola, riducendo il potere d'acquisto dei cittadini.
Comunque, anche rispetto all'inflazione, si potrebbe obiettare che in un'Europa a guida tedesca, e con la Bce che ha lo scopo di tenere l'inflazione sotto al 2%, è difficile che si crei un'inflazione notevole. Questo è vero, ma il combinato di una leggera inflazione e di una leggera crescita, in presenza di un pareggio di bilancio, sono già sufficienti a ridurre il debito pubblico rispettando il Fiscal Compact, senza ricorrere a quelle manovre lacrime-e-sangue paventati da alcuni.
In questo grafico interattivo si vede come non ci vogliano miracoli che rispettare il vincolo. Come si vede, è sufficiente un'inflazione all'1% e una crescita reale all'1,2%  per rispettare il vincolo.

Si possono modificare le singole voci per vedere come varierebbe l'andamento al variare di esse.

Con un'inflazione al 5%, si potrebbe rispettare il vincolo anche senza crescere, e anche se i tassi di interesse salissero al 5%. Ovviamente questa sarebbe una condizione poco felice, perché la ricchezza reale degli italiani diminuirebbe, quindi di fatto lo Stato scaricherebbe il proprio debito sui cittadini:


Manipolando i dati, si vede come per rispettare il patto è comunque necessario avere un buon avanzo primario (primary surplus), il che significa che lo Stato non solo non deve fare nuovi debiti, ma deve persino avere più entrate che uscite, al netto degli interessi, e questo deve avvenire stabilmente per vent'anni. In queste condizioni non è facile crescere, perché lo stato, costretto ad avere più entrate che uscite, non può stimolare la crescita con nuovi investimenti, a meno che non sia estremamente efficiente e riesca a ridurre gli sprechi in maniera considerevole, liberando nuove risorse.
Ad esempio, in assenza di avanzo primario, anche in presenza di una crescita costante al 3% e di un'inflazione al 2%, il patto non verrebbe rispettato, anche se in vent'anni il debito scenderebbe comunque all'84%:


Quest'ultimo scenario non sarebbe affatto negativo, anzi sarebbe sicuramente migliore del primo: magari avessimo una crescita del 3% l'anno per vent'anni! D'altro canto una crescita del genere non si stabilisce per decreto, soltanto azzerando l'avanzo primario: il governo Berlusconi nel periodo 2001-2006 azzerò l'avanzo primario, eppure non riuscì a produrre nuova crescita. Quindi, per crescere non basta spendere: bisogna spendere bene.

In sintesi, ci possiamo chiedere: per un Paese come l'Italia, rispettare il Fiscal Compact sarà facile? No, se non facciamo le riforme, se non riprendiamo sia pur di poco a crescere, e se non diventiamo più efficienti. Sì, se facciamo tutte queste cose. Ma se non le facciamo, siamo destinati comunque ad un inevitabile declino.

Ma c'è un altro aspetto che non viene considerato dai critici del Fiscal Compact, e cioè che non sono state previste sanzioni automatiche ed effettive per i Paesi che non lo seguissero. Questo significa che, all'atto pratico, almeno per ora il Fiscal Compact funziona più che altro come obiettivo di massima. Insomma, la cosa importante è che i singoli Paesi si impegnino a raggiungerlo, quindi l'Unione Europea si sta comportando come una maestra che valuterà la buona volontà degli allievi, magari promuovendoli lo stesso o al massimo rimandandoli. In queste condizioni, la tanto vituperata Germania (cioè il governo Merkel) ha dato prova di realismo: sembra quasi che si accontenti che i singoli Paesi non aumentino ulteriormente i loro debiti, e ciò è assicurato dal vincolo del pareggio di bilancio, sempre che il Pil non continui a scendere, si intende.




venerdì 6 giugno 2014

Grillo e l'evasione fiscale

Se chiedessi ad un elettore o ad un simpatizzante del Movimento 5 Stelle se Grillo e il movimento intendono lottare contro l'evasione fiscale, sicuramente mi risponderebbe di sì. Eppure, ascoltando i discorsi di Grillo e leggendo il suo blog, si può notare una cosa un po' inquietante: Grillo non parla mai di evasione fiscale.
Magari però ci è sfuggito qualcosa, quindi per sicurezza facciamo una ricerca su google: nel blog di Grillo compare mai la parola evasione?


Come si può vedere, nel blog si parla di evasione, ma non nella cartella principale, dove compaiono i post di Grillo e Casaleggio, ma nelle cartelle interne, cioè nei forum delle liste civiche e nelle interrogazioni parlamentari. Andando avanti nelle pagine successive dei risultati di Google, si trovano, nei primi 50 risultati, tra i post principali, soltanto i seguenti articoli:
- Uno intitolato "Yacht ed evasione fiscale", del 2010, scritto per la verità da altri autori (Ferruccio Sansa, Marco Preve), ma che comunque compare nella cartella principale del blog. In questo post si denuncia il fatto che in Italia si trovano molti yacht battenti bandiere straniere, spesso di paradisi fiscali, e ciò viene fatto probabilmente per non pagarci le tasse.
- Un altro, intitolato "I veri evasori", del 2012, anch'esso non scritto da Grillo (l'autore è Paolo Cicerone), in cui si sostiene che la vera evasione non è quella degli artigiani e dei commercianti, cioè dei "piccoli", ma quella dell'economia criminale, delle grandi imprese e degli extracomunitari.
- Un articolo intitolato "Passaparola- L'Italia che evade", del 2012, firmato da Bruno Tinti, dove c'è effettivamente una trattazione abbastanza ampia sul tema, e l'evasione viene effettivamente considerata un problema, senza sottovalutare il problema o scusare qualcuno.
- Un articolo del 2010, intitolato "Lo spesometro", non firmato, quindi scritto probabilmente da Grillo o Casaleggio. Qui si parla dello spesometro, introdotto da Tremonti (chiamato "Tremorti"), che viene definito con un epiteto non proprio elogiativo, e viene presentato come uno strumento di vessazione per il piccolo contribuente, mentre il governo Berlusconi, con la complicità (ovviamente) del Pd (o Pd-l) varava lo scudo fiscale per proteggere i grandi evasori.

Ma voglio restringere la ricerca al periodo successivo al 31 ottobre 2013, cioè quando si avvicinavano le elezioni politiche e ormai il M5S era diventato un partito di rilevanza nazionale. Ecco cosa si trova:

- Un articolo del maggio 2014, intitolato: "Punto 6 programma elettorale M5S: Abolizione del pareggio di bilancio", firmato Sergio Di Cori Modigliani, dove è scritto che il Movimento 5 Stelle si oppone al pareggio di bilancio, perché è figlio di una dottrina "liberista", ed è una scusa per operare "tagli lineari" allo stato sociale. Sull'evasione fiscale si dice: "In un paese come l’Italia in cui l’evasione fiscale tocca la punta massima in Europa (quindi poche entrate) e la spesa di enti pubblici (cioè le uscite) raggiunge picchi vertiginosi (l’Italia ha il più alto numero di enti pubblici nel pianeta, il 90% dei quali è improduttivo, serve soltanto a dare posti di lavoro a tempo indeterminato alle clientele dei partiti verticali) parlare di pareggio di bilancio non ha alcun senso. Se esistesse la volontà politica, lo si potrebbe risolvere in un pomeriggio. Ma non c’è. Non c’è mai stata." Questo è molto interessante: alla vigilia delle elezioni europee, il blog di Grillo non dice che il pareggio di bilancio, che sarebbe utile per rimettere a posto i conti di un paese con un debito pubblico elevato come l'Italia, si deve raggiungere non con tagli lineari ma combattendo l'evasione fiscale e riducendo la spesa pubblica improduttiva. No: ci dice che il pareggio di bilancio non si deve fare, perché "non c'è la volontà politica" di combattere l'evasione e gli sprechi.
Che dire: evidentemente loro questa volontà non ce l'hanno. Essendo un partito che si candida alle elezioni, il Movimento 5 stelle ci dovrebbe dire se lui ce l'ha o no, questa volontà di combattere l'evasione, invece ci dice che non ce l'ha nessuno, quindi va bene così. E il post si conclude con: "Il Movimento 5 Stelle vuole abolire immediatamente tale parametro per consentire alla Banca d’Italia la possibilità di poter varare un piano di investimenti che rilanci l’economia.". Spero non significhi che secondo il Movimento 5 Stelle la Banca d'Italia dovrebbe stampare moneta, per pagare direttamente gli investimenti, ma comunque il concetto è chiaro: per loro la spesa pubblica deve aumentare, non deve diminuire.

Ma la prova definitiva che il Movimento 5 Stelle non considera l'evasione fiscale una priorità, si vede nel programma elettorale per le elezioni politiche del 2013, dove non c'è il minimo accenno all'evasione fiscale. Qualcuno potrebbe pensare che si sia trattato di una dimenticanza, ma in tal caso sarebbe una dimenticanza molto grave, che farebbe pensare che il programma sia stato scritto con i piedi. In ogni caso, ad oggi, dopo più di un anno, il programma non è stato aggiornato, e questa "dimenticanza" è rimasta tale.

Ma perché Grillo e il Movimento non vogliono ridurre l'evasione fiscale e non la denunciano come un problema? Il motivo è molto semplice: perché l'evasione è un comportamento illegale diffuso nella popolazione, mentre l'ideologia grillina prevede un popolo buono e onesto a cui si contrappone una "casta" di politici, grandi imprese e banche, che sarebbero responsabili di tutti i problemi dell'Italia. Dunque l'evasione viene sottaciuta perché farebbe crollare questa ideologia populista, e richiamerebbe la cosiddetta società civile alle sue responsabilità. Ma per i populisti, si sa, il popolo è puro e innocente, e le colpe sono sempre degli altri.



giovedì 20 marzo 2014

La bufala dell'acqua pubblica


A febbraio, durante l'incontro tra Renzi e Grillo, in occasione dei colloqui per la formazione del governo, Grillo ha impedito a Renzi di parlare, usando tra gli altri argomenti, quello secondo cui Renzi vorrebbe privatizzare l'acqua: "noi siamo i conservatori, noi vogliamo l'acqua pubblica tu la vuoi privatizzare", e questa frase l'ha detta due volte. "Tu sei una persona buona che rappresenta un potere marcio, che noi vogliamo cambiare totalmente".
Dunque la privatizzazione dell'acqua sarebbe uno degli "scandali" per cui Grillo si rifiuta di abbassarsi al livello dei partiti tradizionali, e con cui rifiuta ogni dialogo.
Ma in cosa consisterebbe questo scandalo della privatizzazione?
Nel 2011 si tenne un Referendum per abrogare una legge del 2009 che consentiva a società private di intervenire nella gestione, e non nella proprietà, dell'acqua. Infatti, per legge l'acqua appartiene al demanio pubblico, e la proprietà è una cosa diversa dalla gestione.
Ma quali sono i motivi per cui il comitato per l'acqua pubblica si è battuto per abrogare la legge? Per prima cosa, si notano considerazioni che sembrano più che altro folkloristiche o tutt'al più poetiche: l'acqua è pura, è buona, è dolce, è trasparente ecc. Con questo ragionamento anche la terra, che è madre, ci nutre, ci ospita ecc., dovrebbe essere resa pubblica, ma siccome nessuno ha il coraggio di chiedere una cosa del genere, si preferisce mettere un paletto su un bene molto meno rilevante dal punto di vista economico, quindi di fatto si fa un discorso di principio, che non cambia nella sostanza le cose, come spesso accade in Italia.
A parte questo, ciò che si è voluto impedire è che i privati ottenessero un profitto dalla gestione dell'acqua. Essendo l'acqua un bene comune, dicevano i promotori, non è giusto che sia fonte di profitto.
Ma cosa è meglio, che la gestione sia pubblica o privata? La questione non è così semplice come viene presentata, ma è complessa, comunque si possono fare alcune considerazioni generali.
Da un lato, il settore pubblico tende ad essere inefficiente (quanto meno in Italia), e non è neanche detto che non sia costoso. E i costi non sempre sono chiaramente individuabili, perché non è detto che tutti i costi legati alla gestione dell'acqua finiscano in bolletta: i dipendenti pubblici, magari assunti secondo logiche clientelari, o i dirigenti, magari troppo pagati, potrebbero essere pagati dallo stato senza che il cittadino se ne accorga, cioè con le sue tasse anziché con la bolletta dell'acqua.
Dall'altro lato, il settore privato tende ad essere efficiente solo se stimolato dalla concorrenza o da regole certe, e comunque richiede un profitto per poter lavorare.
Dunque, al di là del principio (su cui si può discutere, ma che all'atto pratico conta poco) se sia "giusto" o meno che un bene pubblico possa portare un profitto, è evidente come il diavolo si nasconda nei particolari, e quindi è comunque necessario che lo stato ponga delle regole e vigili sulla gestione dell'acqua (mentre in Italia in genere i controllori e i controllati coincidono). Non è cioè sufficiente che l'acqua sia pubblica, come sembrano far credere quelli che difendono l'acqua pubblica in maniera ideologica, rifiutandosi persino di discutere con chi la pensa diversamente.
E la pessima situazione italiana è lì a ricordarcelo: soprattutto al sud, le condutture sono un colabrodo, spesso l'acqua arriva razionata, non arriva per nulla o arriva cattiva e salata, mentre in alcune zone mancano i depuratori per cui le acque reflue vengono scaricate direttamente nei fiumi o in mare. La bolletta per i cittadini è più alta (rispetto alle zone dove funziona meglio) per avere un servizio peggiore.
E' stato calcolato che rimettere a posto tutta la rete costerebbe 2/4 miliardi l'anno per i prossimi 20/25 anni, cioè una cinquantina di miliardi in tutto. Prima o poi questi soldi qualcuno li dovrà tirare fuori. I privati, chiedendo (giustamente, se chiamati a contribuire) in cambio un profitto, oppure lo stato stesso (cioè i cittadini), sperando (o vigilando) che non ne approfitti per moltiplicare le spese, assumendo amici e parenti, facendo passare mazzette ecc.
Insomma, l'alternativa non è tra il paradiso e l'inferno, ma tra due situazioni che probabilmente non saranno molto diverse tra loro.
Ancora una volta la politica italiana, invece di pensare a risolvere i problemi reali, fa battaglie di principio, su questioni inutili, secondarie (chi dovrà gestire l'acqua) o del tutto inesistenti, facendole passare per questioni di vitale importanza, e le usa come armi per delegittimare gli avversari.
Come è evidente per chiunque abbia un po' di buon senso, la cosa importante per quanto riguarda l'acqua (e non solo) è come viene gestita, non chi la gestisce.

martedì 18 febbraio 2014

Lo pseudo-keynesismo che ha rovinato l'Italia

L'economista britannico John Maynard Keynes aveva spiegato come durante le crisi fosse utile sostenere la domanda con iniezioni di spesa pubblica, ma questa politica, che può avere un senso nelle epoche di crisi, fu utilizzata dai governi italiani a partire dalla metà degli anni '60, quando si accorsero che il boom era finito e la spinta propulsiva della crescita sostenuta stava venendo meno. E così decisero di stimolare l'economia con un aumento della spesa pubblica, non supportato da un adeguamento dell'imposizione fiscale. Una volta messa in moto la macchina della spesa pubblica, che nel tempo andava aumentando, gradualmente il livello delle tasse cominciò a crescere per inseguire la spesa pubblica stessa, ma non raggiungendola mai, si provocò un deficit strutturale che durò all'incirca trent'anni, dal 1965 al 1995. Quella che doveva essere un'arma da usare nelle epoche di crisi e poi rimettere nel cassetto, è diventata una sorta di doping permanente.
Solo a partire dal 1992, con la crisi della lira e il Trattato di Maastricht, si dovette porre un freno a questa politica, riducendo il deficit su livelli più contenuti. Intanto il debito pubblico era arrivato al 125% sul Pil, risultando tra i più alti d'Europa. Da quel momento l'Italia ha smesso sostanzialmente di crescere, risultando incapace di produrre una ricchezza aggiuntiva senza la droga del deficit.
Ancora oggi ci portiamo dietro il fardello del debito pubblico, ma non solo: cosa ancor più grave, ci portiamo dietro le distorsioni della spesa pubblica clientelare e inefficiente, basti pensare alle pensioni baby, alle pensioni d'oro, ai troppi centri di spesa senza controllo, ai molti dipendenti pubblici che non hanno nulla da fare, ai costi della politica più elevati che negli altri paesi ecc.
Anche la corruzione è in un certo senso una forma distorta di spesa pseudo-keynesiana: se quello che conta è "sostenere la domanda", va bene anche dare e ricevere mazzette, purché si facciano "girare i soldi".
Contrariamente a quanto normalmente si crede, tutto questo è stato voluto: dalle regioni alle province, dalle migliaia di municipalizzate inefficienti e in perdita, tutto questo sistema è stato voluto dai politici, non solo per alimentare le clientele ed assicurarsi la rielezione, ma anche perché alla base c'era la convinzione che comunque si sarebbe fatta "girare l'economia".
Fintanto che il debito pubblico era basso, il mondo cresceva, e i giovani erano più dei vecchi, quindi la somma dei redditi era molto più elevata di quella delle pensioni, questo sistema poteva pure funzionare, ma intanto si andava accumulando il debito pubblico, a scapito delle generazioni future. La concorrenza internazionale non era elevata come oggi, e con le ricorrenti svalutazioni l'Italia recuperava competitività nei confronti degli altri paesi, ma questo non era sufficiente a fermare la crescita del debito pubblico, che prima o poi avrebbe presentato il conto.
Ma poi tutto questo perché veniva fatto? Per recuperare il gap con gli altri paesi, illudendosi che esistessero "pasti gratis". Eppure basta ragionare un attimo: se questo sistema funzionasse, il Messico potrebbe diventare ricco come gli Stati Uniti semplicemente stampando più moneta e spendendo di più nel settore pubblico, o la Bulgaria potrebbe diventare ricca come l'Austria ecc. Anzi, la prova che il gioco non funziona è data proprio dall'Italia: se fosse vero che il deficit crea da solo ricchezza, l'Italia oggi sarebbe il paese più ricco d'Europa.

Qualche settimana fa al programma di Michele Santoro erano ospiti Renato Brunetta e Federico Rampini, l'uno politico di Forza Italia (ex socialista), e l'altro giornalista economico di Repubblica. Ebbene, entrambi si sono detti d'accordo con le politiche "keynesiane", si spesa a deficit. Eppure in teoria dovrebbero trovarsi su sponde opposte. Ecco, questa è la prova che su certe scelte strategiche la destra e la sinistra condividono le stesse idee, e dunque sono state d'accordo nel portare avanti la stessa politica fallimentare. Del resto il presidente del consiglio che ha aumentato di più il debito pubblico è stato Berlusconi, ricalcando la politica del suo amico-predecessore Craxi, di finto liberismo associato ad una spesa pubblica inefficiente e clientelare. 
Ultimamente si sta diffondendo l'idea che l'Italia dovrebbe andare in Europa a battere i pugni sul tavolo e reclamare il diritto a sforare il limite del 3% del deficit richiesto dai parametri di Maastricht. Come se fosse questo che serve all'Italia: spendere di più. Due anni dopo il governo Monti, abbiamo ancora mille parlamentari, che sono ancora i più pagati d'Europa, abbiamo ancora le province e i dirigenti pubblici più pagati d'Europa. Ogni volta viene presentata una spending review che poi non si attua perché si fa strategicamente cadere il governo.
Insomma, mentre l'Europa ci chiede di fare le riforme, noi non le facciamo, e però la accusiamo di essere la responsabile dei nostri problemi, impedendoci di spendere. Come se l'unico modo per rilanciare l'economia fosse aumentare la spesa pubblica. A nessuno viene in mente che la spesa pubblica potrebbe essere ridotta o riqualificata, che se si diminuisse la pressione fiscale potrebbero aumentare i consumi e gli investimenti, che se si riducesse la burocrazia e si velocizzassero i tempi della giustizia il sistema diverrebbe più efficiente. No, ogni volta che si pensa ai problemi economici, scatta il riflesso condizionato del "trovare soldi da spendere".
Lo pseudo-keynesismo, consistente nel credere che si debba strutturalmente operare in regime di deficit e che tutte le risposte debbano venire dalla spesa pubblica, continua a fare danni.