giovedì 27 ottobre 2016

Di chi è l'Atac?


"GIÙ LE MANI DALLA NOSTRA ATAC
Vogliono togliere l’Atac ai romani ma noi non lo permetteremo!
L’Atac non si tocca perché è dei cittadini che l’hanno profumatamente pagata con le loro tasse. Per anni.
La strana alleanza Pd-Fi – sì, sono proprio quelli del Patto del Nazareno - ha votato una mozione in Senato per chiedere che l’azienda di trasporto pubblico romano venga commissariata.
Questa mozione della vergogna, che è un insulto a tutti romani, è stata presentata proprio da quei partitucoli che dopo aver spolpato per anni la nostra azienda, dopo averla sovraindebitata, dopo averla abbandonata, senza manutenzioni, senza servizi degni di tale nome, adesso vogliono chiuderla regalandola ai privati.
E lo fanno adesso perché vedono che i romani hanno dato fiducia ad un movimento che da quello scempio sta facendo rinascere un'azienda: 150 nuovi bus in arrivo, riordinare i conti, biglietti elettronici, corsie preferenziali e tanto altro per il rilancio.
I loro giochi sono finiti e allora, per evitare che qualcuno possa scoprire tutto il marcio, vogliono riprendersela ancora una volta.
E, soprattutto, mentre lo fanno scappano dalle loro responsabilità di governanti: avrebbero potuto dare un bel segnale con la riduzione degli stipendi e invece distolgono ancora una volta l'attenzione dalle loro responsabilità.
Ma stavolta non glielo permetteremo: se vogliono la guerra, la guerra avranno.
Il trasporto pubblico locale è un servizio essenziale, Atac è nostra.
Vergognatevi"

Questo post del sindaco Raggi spiega, se mai ve ne fosse bisogno, perché Roma (e probabilmente l'Italia) è destinata al fallimento. Perché i problemi vengono affrontati con ideologie che andavano (forse) bene 60 anni fa, ma certamente non oggi. Oggi si sa (perché i Paesi più avanzati lo hanno dimostrato con prove concrete positive, e l'Italia con prove concrete negative) che il servizio pubblico deve essere efficiente anche se di proprietà dello stato o di un ente locale, perché se è in perdita, i cittadini ci rimettono, dovendolo mantenere con le loro tasse, quindi più che essere "di tutti", diventa di quelli che ci lavorano, che grazie ad esso guadagnano, mentre per la collettività diventa soltanto una zavorra. Per il resto, non è necessario che un servizio pubblico sia per forza gestito dal pubblico, perché quello che conta non è chi possiede cosa, ma la qualità del servizio, quindi un servizio pubblico può essere anche gestito da privati.
Invece il post di Virginia Raggi trasuda ideologia, la vecchia ideologia statalista, da tutti i pori. In pratica secondo la Raggi i cittadini romani dovrebbero considerare l'Atac, l'azienda dei trasporti più inefficiente e costosa d'Europa, come "cosa loro". Invece di essere ben felici di liberarsene, in modo da non dover più pagare le addizionali locali più alte d'Italia, per mantenere un carrozzone che non è in grado di assicurare un servizio di trasporti decenti, ma in cambio ha quasi 12.000 dipendenti, quando ne basterebbero un terzo, secondo la Raggi dovrebbero dolersene. Certo deve essere un gran dolore perdere un'azienda di trasporti che ha il record di dipendenti ma in compenso ha un parco di autobus stravecchi, con mezzi che hanno fatto milioni di chilometri e si rompono in continuazione (a settembre il 32% dei mezzi era guasto).
E naturalmente le due cose sono collegate: gli autobus sono stravecchi perché non ci sono i soldi per comprarne di nuovi, e i soldi non ci sono perché il grosso delle spese dell'Atac se ne va in stipendi, oltre al fatto che quasi nessuno tra i passeggeri paga i biglietti. Quindi non per la "corruzione" o per "mafia capitale", ma perché la vecchia politica, la "casta", che i 5 Stelle dicono di voler superare, faceva regali alla "gente", in modo da tenersela buona e ottenere in cambio i voti.
Ora, sarà anche vero che sono in arrivo 150 autobus nuovi, che comunque sono stati ordinati dalla precedente amministrazione, ma il problema è che questi sono meno di un decimo del totale, oltre 2.000 autobus che hanno un'età media di 17 anni, mentre i 164 tram hanno in media 32 anni, le metropolitane 13 anni, e i treni della Roma-Giardinetti l'incredibile età di 55 anni.
Ora, se fosse stata un'azienda privata, l'Atac sarebbe fallita da tempo, ma fino ad ora la si è tenuta in piedi, facendola mantenere dai contribuenti (non solo romani, peraltro, ma di tutta Italia), seguendo la tradizione italica delle aziende pubbliche che accumulano debiti perché sono concepite come stipendifici per dirigenti e dipendenti, come lo era ad esempio l'Alitalia; e comunque è evidente che per risanare un carrozzone che ha accumulato 1,3 miliardi di Euro di debiti e spende il grosso in stipendi (536 milioni l'anno), ci vorrebbe un miracolo. Non solo i dipendenti sono troppi, ma ci sono anche troppi dirigenti (in media uno ogni mille dipendenti).
Per carità, la Raggi ha trovato una situazione già disperata (la colpa è delle precedenti amministrazioni, di centro-sinistra e centro-destra, che hanno lasciato crescere i debiti e invece di intervenire hanno continuato ad assumere, e da ultimo di Marino che non ha avuto il coraggio di portare i libri in tribunale, e ha pensato, come ora pensa la stessa Raggi, che l'Atac si potesse risanare in maniera soft) e quindi non ha colpe, ma è interessante notare la sua reazione, del resto perfettamente in linea con l'ideologia grillina: il pubblico è sempre buono, ciò che è pubblico è di tutti, anche se offre servizi scadenti e costa moltissimo ai contribuenti, e anche a quelli che non ne usufruiscono. Naturalmente non si dice che uno dei problemi fondamentali è l'eccesso di dipendenti, ma si accusa genericamente le precedenti amministrazioni di aver fatto debiti. Ovvio che con questi presupposti non è possibile risanare alcunché.
Il 16 ottobre scorso sarebbe stato il giorno in cui scadevano i debiti dell'Atac nei confronti delle banche (che ammontano a 182 milioni): se avesse dichiarato di non essere in grado di pagare, l'Atac avrebbe dovuto dichiarare default. Allora cosa ha fatto il Comune? Ha semplicemente rimandato, per l'ennesima volta, e di due anni, la scadenza del pagamento dei debiti che l'azienda deve allo stesso Comune (429 milioni), in modo che potesse versare un po' di denaro alle banche. Insomma, si continua a prendere a calci la lattina, in attesa di non si sa cosa, forse un miracolo. O forse, come ipotizzavo nel precedente articolo, dell'arrivo di un soccorso da parte del Governo (quando sarà a 5 Stelle?), cioè dell'ennesima vagonata di soldi pubblici (che, lo ricordiamo, sono dei contribuenti, non vengono dalla luna, anche se i 5 Stelle questo non sembrano averlo capito).
Ora sarà interessante vedere cosa si inventerà il Comune nel bilancio di fine anno, come potrà coprire il buco dovuto a questa entrata mancante. Ma sono sicuro che ci sapranno di nuovo stupire con effetti speciali, raccontando magari in un altro post su Facebook di come va avanti la "rivoluzione" (che in realtà si legge: restaurazione) dei 5 Stelle al Campidoglio.
Peccato, i 5 Stelle avrebbero potuto rappresentare un vero cambiamento, ma purtroppo hanno le stesse ideologie dei partiti che stanno provando a sostituire, anzi, ne rappresentano la parte più conservatrice, sembrano rimasti agli anni '80, ai mitici anni '80 del Caf in cui la politica regalava soldi a debito, credono che nell'epoca della globalizzazione un Paese, peraltro già iper-indebitato, possa vivere di spesa pubblica a gogo. E in fondo è per questo che ottengono un consenso così ampio: perché fanno credere (e la gente ci crede volentieri) che questo Paese sull'orlo del baratro per essere risanato non abbia bisogno di dolorose riforme, ma soltanto di amministratori onesti, che prendano stipendi un po' più bassi... in pratica che la crisi si possa far pagare alla casta.
La domanda è: quanto ci vorrà prima che si scontrino con la realtà? E quanti danni avranno fatto nel frattempo?

giovedì 20 ottobre 2016

Raggi e il fallimento di Roma


Non credevo che il Movimento 5 Stelle volesse vincere a Roma, in sostanza con questa vittoria si sono creati dei grossi problemi da soli. Già in generale per un partito populista governare è controproducente, dato che la prova del governo è molto più difficile che la protesta, e si è costretti a mostrare che non si possiede la bacchetta magica, e che le soluzioni semplici che si sosteneva di avere finché si era all'opposizione non funzionano. Ma dato che il caso di Roma è veramente disperato, vincere a Roma rischia di essere veramente un suicidio.
Probabilmente hanno accettato di "provare a vincere" perché, dopo il disastro di "Mafia capitale" e delle precedenti amministrazioni di centro-sinistra e centro-destra, hanno visto i sondaggi e hanno capito che non vincere era praticamente impossibile: sarebbe stato già di per sé una sconfitta. Per non vincere avrebbero dovuto scegliere un candidato impresentabile o improponibile, ad esempio un ventenne o un novantenne: sarebbe stata comunque una figuraccia. Oppure sono caduti vittime della loro stessa demagogia, e hanno pensato di essere veramente in grado di risolvere i problemi di Roma: per come la vedo io, Grillo si rende conto di non essere affatto in grado di risolvere i problemi e specula sul malcontento della gente, ma i militanti e chi si candida alle elezioni no, loro ci credono veramente. D'altro canto vengono scelti proprio con questo criterio, in base all'indice di credulità ai vaticini del Sacro Blog.
Come che sia, dopo quattro mesi dall'elezione a sindaco di Roma, Virginia Raggi non ha fatto sostanzialmente nulla. Alcuni dicono che non è vero che non ha fatto nulla, ma che ha già fatto dei danni, ad esempio qui. In ogni caso, sui problemi principali, il debito e le partecipate, in pratica non si è fatto nulla. C'è un motivo o è stata soltanto incapacità e impreparazione? E cosa accadrà adesso?
I primi tre mesi sono passati nel tentativo di nominare gli assessori, ma tra litigi, colpi di mano e dimissioni, ogni volta c'era da rinominare qualcuno. Ora in teoria sarebbe tutto a posto. Ma i problemi grossi della città non vengono affrontati. Perché? Per due motivi.
1. Il primo è che qualunque cosa facesse la Raggi, scontenterebbe una parte del suo elettorato, che essendo un elettorato composito (più o meno diviso a metà tra sinistra e destra) e unito solo nella protesta, quando si tratta di decidere, si divide su tutto. Il caso delle Olimpiadi è stato un buon esempio: la Raggi doveva decidere se confermare o no la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024; in campagna elettorale lei e gli esponenti del suo partito hanno lanciato sapientemente segnali contraddittori, in modo da prendere i voti indipendentemente dalle opinioni degli elettori (Di Maio ha detto a La7 che se avessero vinto avrebbero fatto le Olimpiadi perché loro sono onesti e quindi non rubano, la Raggi ha detto che avrebbe indetto un Referendum, mentre altri, a cominciare da Grillo, hanno detto che le Olimpiadi non s'hanno da fare. Alla fine, quando proprio non si poteva più continuare a prendere tempo, la Raggi ha deciso, e ha scelto per il no alle Olimpiadi.
2. Il secondo motivo, ancora più serio, è che per risolvere i problemi di Roma si dovrebbe sconfessare la diagnosi che il Movimento 5 Stelle fa dei problemi dell'Italia (e in questo caso di Roma), che si può sintetizzare in "è tutta colpa della casta". In sostanza, gli italiani si dividerebbero in una maggioranza di cittadini onesti (la "gente"), vittima del malgoverno, e in una minoranza di politici, imprenditori e banchieri (la "casta"), che li vesserebbe e con le sue malefatte avrebbe distrutto il Paese.
Basta riflettere un attimo per capire che questa è una semplificazione inaccettabile, se non altro perché siamo in democrazia: i "cittadini onesti" votano, e dunque hanno votato per decenni per quei partiti disonesti e incapaci che li avrebbero vessati. E perché lo hanno fatto? Semplice, perché in cambio hanno ricevuto qualcosa. Non tutti naturalmente, ma molti sì. Ma se Grillo avesse l'onestà intellettuale di ammettere questo, cadrebbe tutto il castello di carte che ha costruito, e verrebbe meno la "ragione sociale" del Movimento. D'altro canto, se si esclude i giovani che votano per la prima volta, quelli che ora votano il Movimento, prima per chi votavano? Oppure vengono da Marte?

Ora, il problema fondamentale di Virginia Raggi è cercare di mantenere la promessa di risolvere i problemi di Roma facendo pagare soltanto la "casta" e non la "gente".  Ma questo è impossibile.
Gli automobilisti che parcheggiano nelle isole pedonali o nelle strade in doppia fila sono gente o casta?
Gli inquilini degli appartamenti di proprietà del comune di Roma che pagano un euro al mese di affitto sono gente o casta?
I passeggeri della metropolitana e degli autobus che non pagano il biglietto sono gente o casta?
Le migliaia di dipendenti del Comunque e delle partecipate che sono stati assunti anche se non servivano e ora non hanno nulla da fare, ma prendono uno stipendio pagato dai contribuenti di tutta Italia, sono gente o casta?
E potrei continuare.
Ovvio che di fronte a questa situazione, è impossibile risolvere i problemi di Roma se prima non si fa un'operazione di verità, ammettendo che Roma è ridotta così anche per colpa della famosa "gente".
Questo però in teoria si dovrebbe fare in campagna elettorale, perché se ti sei presentato con un determinato programma, che non prevede tagli e sanzioni di nessun tipo alla "gente", dopo non si hanno i consensi per fare ciò che si dovrebbe fare.
In ogni caso, Roma ha accumulato e accumula debiti ogni anno, quindi bisognerebbe invertire nettamente la rotta.
Quello che la Raggi ha detto in campagna elettorale è che si può trovare più di un miliardo di Euro l'anno, colpendo non ben precisati "sprechi". Ora, un miliardo l'anno non è affatto poco. Sono mille Euro a testa tolti ad un milione di persone. O un milione di Euro a testa a mille persone. O centomila Euro a testa a diecimila persone. Insomma, se veramente ci sono questi sprechi così grossi, se c'è gente che ruba o in qualche modo riesce a intercettare tutti questi soldi senza averne diritto, vuol dire che ora c'è qualcuno (più probabilmente: una gran quantità di persone) che ci mangia (o meglio, ci campa). E se vai a colpire questi "sprechi", tutta questa gente si arrabbia, proverà a resistere, a protestare, e comunque dopo non ti voterà più.
D'altro canto, siccome Roma è una città sull'orlo del fallimento, non colpire questi "sprechi" (o quelli veri, laddove si trovano veramente) significa lasciare che la città fallisca. Oppure la sindaca potrebbe sperare che intervenga il governo con una vagonata di miliardi. D'altro canto, Roma è già stata salvata negli anni passati dai governi Berlusconi e Renzi, l'ultima volta con Marino due anni fa. Forse è un po' presto per chiedere di nuovo i soldi (che, è bene ricordarlo, arrivano dai contribuenti di tutta Italia, un Paese che già non ce la fa più con l'attuale livello di pressione fiscale, anche perché appunto spesso le tasse servono a pagare questi sprechi, e non per garantire servizi pubblici o per fare investimenti). Probabilmente i 5 Stelle aspettano di andare al governo e di pensarci loro. D'altro canto i 5 Stelle vorrebbero uscire dall'Euro, per poter fare tutto il deficit che vogliono, e poter stampare la moneta che serve per renderci tutti felici.
Insomma, questa è la situazione, una città praticamente fallita, degna capitale di un Paese a sua volta sull'orlo del fallimento, in mano a chi ha promesso la luna nel pozzo e ora è alle prese con la dura realtà.





martedì 18 ottobre 2016

Renzi (e l'Italia) alla frutta


Sono passati ormai due anni da quando Renzi ha gettato la maschera, e ha dimostrato di non voler risanare l'Italia e farla ripartire, quando ha mandato a casa Carlo Cottarelli, il commissario alla spending review, e ha messo in un cassetto il corposo studio che aveva individuato diverse voci di spesa da ridurre, in modo da poter abbassare le tasse e far ripartire l'economia. Nel frattempo, Renzi aveva trovato due nuovi commissari alla spending review, Roberto Perotti e Yoram Gutgeld. Dei due, solo il primo era veramente interessato a ridurre la spesa pubblica improduttiva, e infatti dopo aver lavorato inutilmente per un po' di tempo, accortosi che il suo lavoro non interessava nel novembre 2015 ha rassegnato le dimissioni, peraltro senza troppo rumore, mentre solo quest'anno ha rilasciato interviste, come questa e questa, in cui spiega che sostanzialmente non c'è la volontà di ridurre la spesa. Ora alla spending review è rimasto soltanto Yoram Gutgeld, che a quanto pare ci si trova benissimo, dato che non sembra interessato a ridurre la spesa improduttiva se non in minima parte (da alcune sue dichiarazioni emerge l'idea superata, di vecchio stampo keynesiano, che la spesa pubblica non deve essere ridotta, altrimenti il Pil si contrae).
Dunque abbiamo la situazione paradossale di un commissario alla spending review che non vuole ridurre la spesa pubblica.
La questione potrebbe sembrare noiosa, in realtà non lo è affatto, dato che ha a che fare con il declino dell'Italia, con il calo del benessere, con il fatto che l'Italia è l'unico paese occidentale (insieme forse al Giappone) che non cresce da vent'anni, e l'unico il cui reddito medio è tornato ai livelli di vent'anni fa. La situazione è grave soprattutto per i giovani, dato che il reddito degli anziani è andato addirittura aumentando (l'Italia ha la spesa pensionistica più alta del mondo), mentre i giovani non trovano lavoro, e quando lo trovano, rimangono precari e con redditi bassi.
Ricapitolando, la situazione è questa:
1 - La spesa pubblica italiana è troppo alta, e soprattutto è in gran parte improduttiva e parassitaria (per fare qualche esempio, abbiamo i politici e i giudici più pagati al mondo, migliaia di partecipate inefficienti e sprecone, migliaia di dipendenti pubblici di troppo che non hanno nulla da fare, migliaia di falsi invalidi, pensionati baby, pensionati d'oro ecc).
2- Per mantenere questa spesa improduttiva, lo stato deve sfruttare le aziende, che piaccia o no sono le uniche che producono ricchezza reale, tartassandole con un livello di imposte insostenibile. L'Italia ha infatti il Total tax rate (vale a dire l'insieme delle tasse e contributi che devono pagare le aziende) più alto al mondo.


A causa di questo folle livello di tassazione, alla gran parte delle aziende, dopo aver pagato le tasse, rimane poco e niente, e dunque esse non hanno la possibilità né di assumere, né di fare investimenti (che consentirebbero alle aziende stesse di crescere e quindi di assumere in futuro). Non a caso abbiamo un tasso di occupazione tra i più bassi dell'Occidente.
3- Dato che le aziende sono tartassate, il Pil non cresce.

Ora, Renzi in quasi tre anni di governo non ha fatto praticamente nulla per cambiare questo meccanismo infernale, e quindi non a caso l'Italia continua ad essere il paese europeo che cresce di meno: dobbiamo dunque certificare il suo totale fallimento in materia economica.
Ma allora, a questo punto ci si può chiedere, come è possibile che Renzi dice sempre di voler ridurre le tasse? Come è possibile ridurre le tasse senza ridurre la spesa? Questa è la stessa domanda che chi sa un po' di economia si faceva già all'epoca di Berlusconi, ma per fortuna di Berlusconi e di Renzi, la gente non si intende di economia, non ne sa nulla, e inoltre in Italia c'è una spiccata tendenza nell'opinione pubblica a credere alle favole, per cui il Presidente del consiglio può tranquillamente dire "stiamo riducendo le tasse", e molti gli credono. Anche perché entrambi hanno fatto il gioco delle tre carte, cioè hanno abbassato alcune tasse ben visibili (sia Berlusconi che Renzi hanno ad esempio tolto la tassa sulla prima casa), e poi ne hanno messe delle altre, o hanno lasciato che gli enti locali ne mettessero delle altre, per compensare. Non a caso la pressione fiscale non scende.

Ora possiamo capire facilmente la tattica di Renzi, che vorrebbe abbassare le tasse per motivi elettorali ma non vuole ridurre la spesa, cioè quella di fare più deficit possibile, usando però il termine meno compromissorio "flessibilità", che in realtà significa addossare alle future generazioni altri debiti. Ma siccome il debito pubblico sono tasse future, abbassare le tasse oggi a debito significa aumentarle (o costringere chi arriverà dopo ad aumentarle) in futuro. A fare deficit, come direbbero a Roma, ci sono buoni tutti, infatti lo hanno fatto anche i governi del passato, negli anni '80, all'epoca d'oro del Caf, a botte del 10% l'anno, mentre dopo l'entrata nell'euro, quando essendo entrati nell'Euro siamo stati costretti a non superare il 3%, Berlusconi e gli altri hanno cercato di avvicinarsi il più possibile a questo valore, e anzi ogni scusa era buona per superarlo (Berlusconi superò il 3% quando la Germania nel 2003 annunciò di voler sforare perché doveva fare delle riforme. "Benissimo!" dissero B. e Tremonti, "allora sforiamo pure noi" (naturalmente senza fare alcuna riforma).

In questa situazione, non è un caso che neanche il debito pubblico scenda. Il ministro dell'economia Padoan è andato dicendo per mesi che quest'anno il debito stava scendendo (ad esempio qui). Poi, di fronte ai dati che lo smentivano, recentemente ha dovuto ammettere che il debito non sta scendendo, però ha trovato naturalmente un colpevole esterno, in questo caso l'inflazione troppo bassa. Questo è veramente ridicolo, innanzi tutto perché ci si aspetterebbe che un ministro dell'economia sappia che siamo in un periodo di bassa inflazione in tutto il mondo, ma soprattutto perché questo significa ammettere che il governo non ha cercato di mettere a posto i conti pubblici, ha soltanto sperato che il debito si riducesse grazie all'inflazione, cioè grazie a un meccanismo che riducendo il valore reale degli stipendi e dei risparmi, impoverisce la gente in maniera silente. L'inflazione è una tassa occulta: che un governo speri che il debito pubblico scenda a causa dell'inflazione dice molto sulla sua serietà.

Per il momento la sostenibilità del debito italiano non è un problema, ma soltanto perché Mario Draghi, il governatore della BCE, con il quantitative easing sta comprando titoli di stato dei paesi europei, abbassando in questo modo i tassi reali. Ma nonappena smetterà di farlo (e prima o poi smetterà, forse già dall'anno prossimo), cosa faranno i mercati quando vedranno che l'Italia non ha ridotto il debito quando avrebbe potuto e dovuto? Ci potrebbe essere una fuga da parte degli investitori e dunque una nuova crisi dello spread come nel 2011, crisi all'epoca fu risolta proprio da Draghi con il famoso discorso del "whatever it takes" (farò qualunque cosa per salvare l'Euro). A quel punto, senza lo scudo di Draghi, rischiamo grosso. Insomma, siamo sull'orlo del baratro anche se non lo sa, e non lo dice, praticamente nessuno.

Ora con la Finanziaria (o Legge di stabilità) di quest'anno, per il 2017, il governo Renzi-Padoan conferma la volontà di tirare a campare, anzi, peggio, perché in vista del Referendum sulle riforme costituzionali, Renzi sta cercando di comprare i consensi e i voti distribuendo soldi a pioggia. Ce n'è per tutti, dai giovani agli anziani, dai dipendenti pubblici agli insegnanti. Naturalmente sono briciole, che non risolvono i problemi strutturali del Paese, anzi li aggravano. Il governo addirittura fa credere che fare deficit aumenti la crescita, come se i precedenti non dimostrassero ampiamente il contrario.

Come ciliegina sulla torta, Renzi essendo in difficoltà se la prende con l'Europa, accusandola di ridurre gli investimenti, ma in realtà l'Italia è il paese europeo che ha più di tutti ridotto gli investimenti, mentre ha lasciato crescere la spesa corrente. Se non avesse mandato a casa Cottarelli e avesse eseguito i suoi suggerimenti per ridurre la spesa improduttiva, si sarebbero liberate risorse per aumentare gli investimenti, l'unico tipo di spesa pubblica in grado di creare crescita., e/o di ridurre (veramente) le tasse. Ma siccome ridurre la spesa improduttiva è politicamente costoso, perché scontenta chi ci mangia, Renzi ha preferito non farlo, e ora il Paese ne paga (e ne pagherà) le conseguenze.
Per carità, è evidente che l'elettorato italiano non vuole riforme serie e dolorose, e che i partiti (e la sinistra Pd) che si oppongono a Renzi vorrebbero fare ancora più regali (basti pensare ai 5 Stelle che vorrebbero uscire dall'Euro per fare più deficit e per stampare moneta, e che propongono il reddito di cittadinanza che costerebbe decine di miliardi l'anno), ma rimane il fatto che Renzi non sta risanando l'Italia, e che è l'ennesimo finto uomo della Provvidenza che ci ha governato durante gli ultimi decenni di declino.