martedì 18 ottobre 2016

Renzi (e l'Italia) alla frutta


Sono passati ormai due anni da quando Renzi ha gettato la maschera, e ha dimostrato di non voler risanare l'Italia e farla ripartire, quando ha mandato a casa Carlo Cottarelli, il commissario alla spending review, e ha messo in un cassetto il corposo studio che aveva individuato diverse voci di spesa da ridurre, in modo da poter abbassare le tasse e far ripartire l'economia. Nel frattempo, Renzi aveva trovato due nuovi commissari alla spending review, Roberto Perotti e Yoram Gutgeld. Dei due, solo il primo era veramente interessato a ridurre la spesa pubblica improduttiva, e infatti dopo aver lavorato inutilmente per un po' di tempo, accortosi che il suo lavoro non interessava nel novembre 2015 ha rassegnato le dimissioni, peraltro senza troppo rumore, mentre solo quest'anno ha rilasciato interviste, come questa e questa, in cui spiega che sostanzialmente non c'è la volontà di ridurre la spesa. Ora alla spending review è rimasto soltanto Yoram Gutgeld, che a quanto pare ci si trova benissimo, dato che non sembra interessato a ridurre la spesa improduttiva se non in minima parte (da alcune sue dichiarazioni emerge l'idea superata, di vecchio stampo keynesiano, che la spesa pubblica non deve essere ridotta, altrimenti il Pil si contrae).
Dunque abbiamo la situazione paradossale di un commissario alla spending review che non vuole ridurre la spesa pubblica.
La questione potrebbe sembrare noiosa, in realtà non lo è affatto, dato che ha a che fare con il declino dell'Italia, con il calo del benessere, con il fatto che l'Italia è l'unico paese occidentale (insieme forse al Giappone) che non cresce da vent'anni, e l'unico il cui reddito medio è tornato ai livelli di vent'anni fa. La situazione è grave soprattutto per i giovani, dato che il reddito degli anziani è andato addirittura aumentando (l'Italia ha la spesa pensionistica più alta del mondo), mentre i giovani non trovano lavoro, e quando lo trovano, rimangono precari e con redditi bassi.
Ricapitolando, la situazione è questa:
1 - La spesa pubblica italiana è troppo alta, e soprattutto è in gran parte improduttiva e parassitaria (per fare qualche esempio, abbiamo i politici e i giudici più pagati al mondo, migliaia di partecipate inefficienti e sprecone, migliaia di dipendenti pubblici di troppo che non hanno nulla da fare, migliaia di falsi invalidi, pensionati baby, pensionati d'oro ecc).
2- Per mantenere questa spesa improduttiva, lo stato deve sfruttare le aziende, che piaccia o no sono le uniche che producono ricchezza reale, tartassandole con un livello di imposte insostenibile. L'Italia ha infatti il Total tax rate (vale a dire l'insieme delle tasse e contributi che devono pagare le aziende) più alto al mondo.


A causa di questo folle livello di tassazione, alla gran parte delle aziende, dopo aver pagato le tasse, rimane poco e niente, e dunque esse non hanno la possibilità né di assumere, né di fare investimenti (che consentirebbero alle aziende stesse di crescere e quindi di assumere in futuro). Non a caso abbiamo un tasso di occupazione tra i più bassi dell'Occidente.
3- Dato che le aziende sono tartassate, il Pil non cresce.

Ora, Renzi in quasi tre anni di governo non ha fatto praticamente nulla per cambiare questo meccanismo infernale, e quindi non a caso l'Italia continua ad essere il paese europeo che cresce di meno: dobbiamo dunque certificare il suo totale fallimento in materia economica.
Ma allora, a questo punto ci si può chiedere, come è possibile che Renzi dice sempre di voler ridurre le tasse? Come è possibile ridurre le tasse senza ridurre la spesa? Questa è la stessa domanda che chi sa un po' di economia si faceva già all'epoca di Berlusconi, ma per fortuna di Berlusconi e di Renzi, la gente non si intende di economia, non ne sa nulla, e inoltre in Italia c'è una spiccata tendenza nell'opinione pubblica a credere alle favole, per cui il Presidente del consiglio può tranquillamente dire "stiamo riducendo le tasse", e molti gli credono. Anche perché entrambi hanno fatto il gioco delle tre carte, cioè hanno abbassato alcune tasse ben visibili (sia Berlusconi che Renzi hanno ad esempio tolto la tassa sulla prima casa), e poi ne hanno messe delle altre, o hanno lasciato che gli enti locali ne mettessero delle altre, per compensare. Non a caso la pressione fiscale non scende.

Ora possiamo capire facilmente la tattica di Renzi, che vorrebbe abbassare le tasse per motivi elettorali ma non vuole ridurre la spesa, cioè quella di fare più deficit possibile, usando però il termine meno compromissorio "flessibilità", che in realtà significa addossare alle future generazioni altri debiti. Ma siccome il debito pubblico sono tasse future, abbassare le tasse oggi a debito significa aumentarle (o costringere chi arriverà dopo ad aumentarle) in futuro. A fare deficit, come direbbero a Roma, ci sono buoni tutti, infatti lo hanno fatto anche i governi del passato, negli anni '80, all'epoca d'oro del Caf, a botte del 10% l'anno, mentre dopo l'entrata nell'euro, quando essendo entrati nell'Euro siamo stati costretti a non superare il 3%, Berlusconi e gli altri hanno cercato di avvicinarsi il più possibile a questo valore, e anzi ogni scusa era buona per superarlo (Berlusconi superò il 3% quando la Germania nel 2003 annunciò di voler sforare perché doveva fare delle riforme. "Benissimo!" dissero B. e Tremonti, "allora sforiamo pure noi" (naturalmente senza fare alcuna riforma).

In questa situazione, non è un caso che neanche il debito pubblico scenda. Il ministro dell'economia Padoan è andato dicendo per mesi che quest'anno il debito stava scendendo (ad esempio qui). Poi, di fronte ai dati che lo smentivano, recentemente ha dovuto ammettere che il debito non sta scendendo, però ha trovato naturalmente un colpevole esterno, in questo caso l'inflazione troppo bassa. Questo è veramente ridicolo, innanzi tutto perché ci si aspetterebbe che un ministro dell'economia sappia che siamo in un periodo di bassa inflazione in tutto il mondo, ma soprattutto perché questo significa ammettere che il governo non ha cercato di mettere a posto i conti pubblici, ha soltanto sperato che il debito si riducesse grazie all'inflazione, cioè grazie a un meccanismo che riducendo il valore reale degli stipendi e dei risparmi, impoverisce la gente in maniera silente. L'inflazione è una tassa occulta: che un governo speri che il debito pubblico scenda a causa dell'inflazione dice molto sulla sua serietà.

Per il momento la sostenibilità del debito italiano non è un problema, ma soltanto perché Mario Draghi, il governatore della BCE, con il quantitative easing sta comprando titoli di stato dei paesi europei, abbassando in questo modo i tassi reali. Ma nonappena smetterà di farlo (e prima o poi smetterà, forse già dall'anno prossimo), cosa faranno i mercati quando vedranno che l'Italia non ha ridotto il debito quando avrebbe potuto e dovuto? Ci potrebbe essere una fuga da parte degli investitori e dunque una nuova crisi dello spread come nel 2011, crisi all'epoca fu risolta proprio da Draghi con il famoso discorso del "whatever it takes" (farò qualunque cosa per salvare l'Euro). A quel punto, senza lo scudo di Draghi, rischiamo grosso. Insomma, siamo sull'orlo del baratro anche se non lo sa, e non lo dice, praticamente nessuno.

Ora con la Finanziaria (o Legge di stabilità) di quest'anno, per il 2017, il governo Renzi-Padoan conferma la volontà di tirare a campare, anzi, peggio, perché in vista del Referendum sulle riforme costituzionali, Renzi sta cercando di comprare i consensi e i voti distribuendo soldi a pioggia. Ce n'è per tutti, dai giovani agli anziani, dai dipendenti pubblici agli insegnanti. Naturalmente sono briciole, che non risolvono i problemi strutturali del Paese, anzi li aggravano. Il governo addirittura fa credere che fare deficit aumenti la crescita, come se i precedenti non dimostrassero ampiamente il contrario.

Come ciliegina sulla torta, Renzi essendo in difficoltà se la prende con l'Europa, accusandola di ridurre gli investimenti, ma in realtà l'Italia è il paese europeo che ha più di tutti ridotto gli investimenti, mentre ha lasciato crescere la spesa corrente. Se non avesse mandato a casa Cottarelli e avesse eseguito i suoi suggerimenti per ridurre la spesa improduttiva, si sarebbero liberate risorse per aumentare gli investimenti, l'unico tipo di spesa pubblica in grado di creare crescita., e/o di ridurre (veramente) le tasse. Ma siccome ridurre la spesa improduttiva è politicamente costoso, perché scontenta chi ci mangia, Renzi ha preferito non farlo, e ora il Paese ne paga (e ne pagherà) le conseguenze.
Per carità, è evidente che l'elettorato italiano non vuole riforme serie e dolorose, e che i partiti (e la sinistra Pd) che si oppongono a Renzi vorrebbero fare ancora più regali (basti pensare ai 5 Stelle che vorrebbero uscire dall'Euro per fare più deficit e per stampare moneta, e che propongono il reddito di cittadinanza che costerebbe decine di miliardi l'anno), ma rimane il fatto che Renzi non sta risanando l'Italia, e che è l'ennesimo finto uomo della Provvidenza che ci ha governato durante gli ultimi decenni di declino.

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