mercoledì 26 settembre 2012

Alcune leggende sull'Euro

La crisi economica che dura ormai da anni sta provocando la diffusione di un malessere in vari strati della popolazione. Insieme a questo malessere, si stanno diffondendo alcune accuse nei confronti dell'Euro, che viene visto da molti, con un atteggiamento semplicistico, come l'unico o il principale colpevole della crisi. Alcune accuse sono di antica data, ma mentre negli anni passati erano limitate alla polemica politica di parte, con la crisi vengono riprese e condivise da una fetta più ampia della popolazione.
Ecco alcune accuse diffuse nei confronti dell'Euro, con il mio relativo commento.

- Il cambio Euro/Lira fu sopravvalutato. L'Euro avrebbe dovuto essere fissato a 1.500 lire, ma fu fissato a 1936,27 lire da Prodi e dai suoi compagni di merende.

Il cambio Lira/Euro, come quello delle altre monete, si basò sul cambio delle diverse monete con l'Ecu, la valuta europea virtuale che aveva preceduto l'Euro. In questo documento del Tesoro si legge quale fosse il cambio Lira/Ecu in quegli anni, fino al passaggio definitivo all'Euro. Come si vede, il cambio fu fissato al livello che la Lira aveva con l'Ecu (1940 Lire per un Ecu), anzi di pochi centesimi più in basso. Dunque, nessuna svalutazione "truffaldina" della Lira.

- A causa del cambio troppo alto, gli italiani persero potere d'acquisto e i prezzi raddoppiarono.

In realtà, se veramente la Lira fosse stata fissata troppo in basso, l'Italia avrebbe perso potere d'acquisto nelle merci importate, importando un po' di inflazione, ma avrebbe potuto esportare di più. Insomma un cambio diverso avrebbe avuto i suoi pro e contro, ma non è detto che sarebbe stata una tragedia.
Comunque, la storia del raddoppio dei prezzi sembra essere una leggenda metropolitana. Del resto basta ragionare: se i prezzi fossero raddoppiati, il reddito degli italiani si sarebbe dimezzato di colpo.
In ogni caso, ecco l'andamento dei prezzi della benzina dal 1998 al 2008. Come si vede, non c'è nessun aumento sensibile in corrispondenza con l'introduzione dell'Euro, nel gennaio 2002. Il prezzo della benzina, che valeva 1 Euro preciso nel dicembre 2001, un anno dopo, nel dicembre 2002, valeva 1,064 Euro, quindi era aumentato del 6,4%. Per quanto riguarda i prezzi degli altri beni, ricordiamo che secondo le statistiche ufficiali, l'inflazione media del 2002 fu del 2,5%, e non del 100% come sarebbe accaduto qualora i prezzi fossero veramente raddoppiati.
Magari ci sarà stato anche qualche aumento ingiustificato dei prezzi in qualche settore, ma questo non fu generalizzato, e quindi ebbe un impatto contenuto sull'inflazione.
Il potere d'acquisto degli Italiani è andato in realtà diminuendo gradualmente nel corso degli anni, per una serie di ragioni, prima fra tutte la stagnazione che ha caratterizzato l'economia italiana, e non quella degli altri Paesi europei, negli ultimi quindici anni.

- L'ingresso dell'Italia nell'Euro e in Europa è anticostituzionale perché non è stato fatto alcun Referendum e si è ceduta sovranità, contravvenendo a quanto scritto negli articoli 1 e 11 della Costituzione.

L'articolo 11 della Costituzione dice:
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

E' evidente che questo articolo si riferisce alla guerra, e alle eventuali cessioni di sovranità allo scopo di assicurare la pace. In ogni caso, non vieta nessuna cessione di sovranità.

L'articolo 1 dice invece:

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Quelli che sostengono che sia vietato cedere sovranità all'Europa, ricordano solo la prima parte (La sovranità appartiene al popolo) e "stranamente" ignorano la seconda (che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione), per cui pensano che la Costituzione italiana preveda la democrazia diretta come unica forma di democrazia accettabile.

Quanto al Referendum, ricordiamo che nel 1989 fu svolto un Referendum  per decidere se conferire il mandato costituente al Parlamento Europeo.

Poi ciascuno è libero di pensare che non avremmo dovuto entrare nell'Euro, che con la Lira avremmo fatto grandi cose, che saremmo passati indenni sopra tutte le crisi, che avremmo contrastato la Cina e l'India e fatto faville nel mondo globalizzato. Ma come sempre, un conto sono i fatti, un altro le opinioni (legittime).



mercoledì 19 settembre 2012

La gaffe di Romney e il sogno americano


La recente gaffe di Mitt Romney sugli elettori di sinistra, che a suo dire sarebbero dei parassiti che vogliono vivere grazie ai sussidi dello Stato, può essere un'occasione per riflettere non solo sui reciproci pregiudizi che hanno gli elettori di destra nei confronti di quelli di sinistra e viceversa, ma anche sulle rispettive visioni del mondo. E' evidente che Romney, il candidato repubblicano alla Casa Bianca che si stava rivolgendo ad un pubblico di suoi finanziatori, credendo di non essere ripreso, abbia espresso un punto di vista già diffuso nell'elettorato di destra, soprattutto quello più facoltoso.
Ma ecco la frase incriminata di Ronney: "C'è un 47% di americani che votano Obama, che sono con lui a prescindere, che dipendono totalmente dal governo, pensano di essere vittime, pensano che il governo abbia la responsabilità di dare loro il diritto alla sanità, al cibo, alla casa. Sono persone che non pagano le tasse sulle entrate. Il mio compito non può essere quello di preoccuparmi di loro, non li convincerò mai di assumersi le loro responsabilità personali e prendersi cura di loro stessi".
Ora, è interessante come Romney non distingua la sanità dal cibo e dalla casa, distinzione che a un europeo verrebbe spontanea, dal momento che in Europa si considera la sanità, e anche l'istruzione, come un diritto.
L'accusa di non pagare le tasse sulle entrate è ridicola, perché in America chi percepisce un reddito basso è esentato dal pagamento delle tasse, tra l'altro per una norma voluta da un presidente repubblicano, Ronald Reagan. Inoltre questa accusa viene da un super-ricco il quale ha fatto di tutto (magari utilizzando vie legali) per pagare meno tasse possibile, in un Paese che già garantisce una tassazione bassa per le fasce di reddito più alte (il famoso finanziere, il miliardario in dollari Warren Buffett ha ricordato di pagare in percentuale meno della sua segretaria).
E' poi ridicolo accusare addirittura il 47% della popolazione americana (cioè tutti gli elettori di Obama) di aspettarsi un'assistenza dallo Stato, soprattutto in un Paese dove predomina l'ideologia del "farsi da sé" e del "sono americano". Certamente una visione manichea di questo tipo, dove tutti quelli che non la pensano come noi sono cattivi, non è il massimo da parte di un candidato alla presidenza.
Ma quanti di noi tendono a ragionare allo stesso modo?
Invece, prima di dare un giudizio sprezzante, dovremmo sentire l'altra campana, e cercare di capire il punto di vista altrui, senza demonizzarlo. Magari l'altro ha torto, ma perché sostiene ciò che sostiene? siamo sicuri che lo faccia in malafede o per interesse? Perché il nostro punto di vista dovrebbe essere più genuino di quello altrui?
In effetti, magari non in America e non nel 47% dei suoi elettori, ma in Europa, soprattutto nei Paesi mediterranei, è diffusa (ovviamente non in tutti) l'idea che lo Stato debba trovare un lavoro ai suoi cittadini. Una volta un elettore del Movimento a 5 stelle mi disse proprio una cosa del genere: Grillo aveva fatto bene a dire che lo Stato è peggio della mafia, perché lo Stato non trova lavoro a tanti disoccupati del Sud (evidentemente la mafia sì?).
E mentre in America chi prende un sussidio lo fa per cause di forza maggiore (leggi: disoccupazione, tra l'altro conseguenza della crisi economica scoppiata sotto il presidente repubblicano Bush), in Italia, per esempio, e ancora più in Grecia, molti hanno sognato un posto fisso statale, per lavorare il meno possibile e avere uno stipendio assicurato a vita.
Il punto di vista più equilibrato mi sembra quello delle socialdemocrazie europee, dei Paesi nordici come la Germania o la Svezia: lo Stato garantisce i diritti essenziali come istruzione e sanità, e offre anche un sussidio di disoccupazione per chi perde il lavoro; d'altro canto l'individuo si comporta in maniera responsabile, per cui studia e lavora per dare il proprio contributo alla società. Insomma, il cittadino ha dei diritti ma anche dei doveri.
Le posizioni ideologiche sono quelle di chi pensa che un individuo si possa "fare da sé" prescindendo dalla società in cui è cresciuto e in cui lavora, senza magari poi dover dare nulla in cambio, e anche quella di chi pensa che debba essere lo Stato a fornire la pappa pronta ai suoi cittadini. Per fortuna quest'ultima idea non viene ufficialmente fatta propria da nessuno, anche se una parte dei politici di destra e di sinistra (e forse anche certe trasmissioni televisive...) fa più o meno intendere che sia possibile una cosa del genere. E molti elettori ci cascano e pensano che se alle prossime elezioni vincerà il loro candidato, saranno rose e fiori. D'altro canto le assunzioni facili che si vedono sopratutto in certe regioni del Sud fanno pensare come purtroppo lo Stato svolga una funzione di datore di lavoro (o meglio di stipendio) secondo una distorta visione del Welfare State.
Speriamo che la lotta contro gli sprechi portata avanti dalla Germania (un Paese dove lo stato sociale è generoso) contribuisca a rendere più efficiente anche lo Stato italiano, e a distinguere nettamente lo Stato come stipendificio (cosa che non deve essere), dallo Stato come assicuratore dei diritti fondamentali (cosa che deve essere).
L'ideologia americana, secondo cui l'individuo si deve fare da sé senza chiedere niente a nessuno, aveva un senso fino all'Ottocento, quando per vivere bene secondo i parametri dell'epoca bastava un pezzo di terra, che in America non veniva negato a nessuno perché ce n'era a sufficienza, e una buone dose di forza di volontà per lavorarla. Il personaggio di John Wayne nel  film "Il fiume rosso", che non ha altro scopo nella vita che comprare un terreno e allevare una mandria di vacche, mostra molto bene quale fossero la mentalità e i sogni di quell'epoca.
Ma pensare che oggi tutti possano vivere bene soltanto con la propria forza di volontà, quando si sa che in una società moderna ad essere fondamentali per la crescita personale e lavorativa sono l'istruzione e le condizioni sanitarie in cui si vive sin dalla nascita, è assolutamente folle. D'altro canto nessuno può diventare ricco in un Paese che non produca già una qualche forma di ricchezza, e infatti i ricchi sono molti di più oggi che duecento anni fa. Nessuno viene da Marte, neanche quelli che "si fanno da sé".
Il "sogno americano" inteso poi come la possibilità di diventare molto più ricchi (e magari famosi) della media, se si riferisce a tutti è soltanto una presa in giro, o quantomeno non può essere alla base dell'organizzazione della società. Non si può cioè dire "questa è una società giusta perché uno su mille ce la fa": sarebbe interessante sapere come finiscono gli altri novecentonovantanove.
D'altro canto non si può neanche pretendere che la società non premi il merito o non consenta a chi vuole emergere in qualche campo, di farlo.
Se depuriamo questa visione dalle incrostazioni ideologiche tipiche della destra liberista, possiamo trarne un nocciolo razionale, che consiste nel dire che al di là di un minimo di stato sociale a cui tutti hanno diritto, e ad un serie di condizioni per vivere bene e poter operare al meglio che devono essere garantite dallo Stato (infrastrutture, legalità ecc.), l'individuo è comunque responsabile della propria condizione, e non può lamentarsi sempre con il governo se la sua condizione personale non è quella che desidererebbe.
Cioè l'individuo non può prescindere dalle condizioni in cui si trova né in un senso né nell'altro, non può credere di essere l'unico artefice della propria fortuna se le cose gli vanno bene, ma non può neanche lamentarsi con la società o con il governo, se ad esempio ha studiato poco o ha scelto un corso di laurea con pochi sbocchi professionali, e poi si ritrova disoccupato.

domenica 16 settembre 2012

Il caso Fiorito e la politica italiana


La reazione del segretario del Pdl Alfano ("Non abbiamo niente a che fare con rubagalline, ladri e mascalzoni "), e ancora di più quella dell'ex ministro Giorgia Meloni allo scandalo che riguarda l'uso dei fondi del Pdl per uso privato nel Lazio, è quantomeno eccessiva. La Meloni ha addirittura detto: "La gente come Fiorito ci fa schifo. Chi ha rubato come lui va cacciato fuori dalle palle a calci sui denti". Peccato che il Pdl sia già pieno, sia a livello nazionale che a livello locale, di esponenti coinvolti in procedimenti giudiziari, di indagati e condannati. A cominciare naturalmente dal suo padrone. E fino ad ora, per anni, valeva sempre la presunzione di innocenza, anzi i politici indagati erano sempre vittime dei magistrati politicizzati, e i parlamentari venivano regolarmente salvati dalle indagini, oltre che naturalmente dal carcere.
Negli altri partiti non va molto meglio, anche se il record del Pdl non lo batte nessuno.
Una delle possibilità per spiegare una reazione così intransigente, è che si avvicinano le elezioni e dunque il partito vuole apparire pulito, come già fece nel 2010, quando Berlusconi promise in pochi giorni una legge contro la corruzione, che naturalmente, a elezioni avvenute, non si fece.
Un'altra possibilità è che sia un'occasione per un regolamento di conti interno, tra le diverse anime del partito nel Lazio.
Anche la reazione del presidente del Lazio Polverini è curiosa, dal momento che dopo anni nel consiglio regionale, è curioso che non si sia mai accorta di quale fosse l'andazzo. Come al solito non è pervenuta l'opposizione, che evidentemente partecipava (come già si è visto per il caso Lusi) ad un sistema in cui i partiti non devono rendere conto a nessuno dei lauti finanziamenti che ricevono.
Ma l'aspetto più interessante della vicenda riguarda probabilmente il motivo per cui un sistema politico di questo tipo, fino ad ora ha funzionato senza che nessuno protestasse, mentre adesso mostra la corda e suscita l'indignazione popolare. La ragione sta nel fatto che la politica ha sempre distribuito favori e privilegi alla stessa popolazione.
Franco Fiorito, già sindaco di Anagni, detto Mr. Preferenze, già dal curriculum si capisce che fa pienamente parte del sistema politico italiano, dove la politica funziona in un certo modo, soprattutto nel centro-sud.
Per questo il tentativo di dipingerlo come una "mela marcia" da parte del suo partito è ridicolo, mentre ha sicuramente ragione lui dicendo che "così fan tutti", anche se questa naturalmente non può valere come giustificazione, da parte del reo colto con le mani nella marmellata.
Evidententemente, se ha saputo collezionare molte preferenze, vuol dire che in qualche modo ha saputo ottenere consensi nella popolazione. Per questo non credo alla favola, raccontata dai demagoghi, del popolo buono vittima innocente di una classe politica cattiva e ingorda. La differenza rispetto al passato è che oggi c'è la crisi economica, ci sono meno soldi, e la gente accetta sempre di meno i privilegi dei politici, se non può avere qualcosa in cambio. Ma questi privilegi sono stati per decenni la merce di scambio tra gli elettori e la classe politica, un do ut des in cui una mano lavava l'altra e ognuno curava i propri interessi particolari.

martedì 4 settembre 2012

Legalizzare la prostituzione?


La recente proposta del sindaco di Napoli De Magistris di aprire quartieri a luci rosse gestite dai comuni ha riacceso il dibattito sulla legalizzazione della prostituzione. Per completezza d'informazione va detto che lo stesso De Magistris ha sostenuto che non ci deve essere "nessuna legittimazione" perché "deve passare il principio che non e' ammissibile che una persona venda il proprio corpo", quindi ha aperto il dibattito più che altro per trovare la soluzione migliore al problema.

E' comunque curioso che alcuni Stati appartenenti alla stessa area geografica e culturale (l'Europa, l'Occidente) abbiano leggi di stampo opposto rispetto alla prostituzione.
Alcuni proibiscono la prostituzione in sé (come gli Stati Uniti), altri vietano solo lo sfruttamento (come l'Italia), altri puniscono il cliente (come la Svezia).
A ben guardare però nei fatti la realtà dei diversi Paesi è più somigliante, perché chi la proibisce di fatto spesso la tollera, mentre le punizioni nei confronti dei clienti non sono abbastanza dure da scoraggiare del tutto la pratica. Inoltre, anche laddove la prostituzione è legalizzata o in qualche modo regolamentata, non è scomparso del tutto il mercato clandestino. 

Ma qual è la posizione più corretta dal punto di vista teorico?

A mio avviso si deve partire da alcuni punti fermi.
1- Uno Stato liberale moderno non può proibire un determinato comportamento per motivi puramente morali, altrimenti si trasformerebbe in Stato etico.
2- D'altro canto, legalizzare e non proibire sono due cose diverse. Non proibire significa sostenere che non ci sono gli estremi del reato, mentre legalizzare significa che lo Stato accetta pienamente, considera pienamente legittimo un determinato comportamento.

Ora, a mio avviso considerare pienamente legittima la prostituzione non è corretto. La questione non è morale nel senso di una morale prescrittiva e di stampo religioso, ma è morale nel senso che ha a che fare con la dignità personale e con il concetto di "vendere sé stessi". Non è dunque il sesso il problema, è semmai il denaro, o meglio il denaro usato non come contropartita di una prestazione qualunque (come può essere ad esempio, raccogliere i pomodori o vendere giornali), ma di una prestazione che consiste nel cedere il proprio corpo controvoglia in cambio di denaro. Si potrebbe obiettare che non è detto che questa cessione del proprio corpo avvenga controvoglia, anche se penso che all'atto pratico sia così per la maggior parte delle prostitute, dal momento che questo "mestiere" consiste nell'andare con qualunque cliente si presenti (chi vende qualcosa non può certo scegliersi il cliente). Chi difende la legalizzazione della prostituzione dovrebbe sostenere che sia normale ("normale" qui inteso in senso statistico) fare sesso con chiunque, senza poterlo scegliere, quindi giovani, vecchi, belli, brutti, simpatici, antipatici ecc., anzi, che per molte persone sia un'attività "bella in sé". Infatti, se lo si vuole paragonare ad un mestiere come un altro, bisognerà riconoscere che qualcuno lo considererà una vocazione, una passione, come accade almeno a qualcuno, riguardo agli altri mestieri. Certamente ci può essere chi fa il pescivendolo o l'avvocato o il giornalista solo per guadagnare, per mangiare, per sbarcare il lunario. Ma tutti i mestieri, o quasi, hanno almeno qualche sostenitore, qualche appassionato, qualcuno disposto a farlo anche gratis. O quantomeno qualcuno che vi trova (nel mestiere in sé, non nel guadagno che comporta) qualcosa di buono.
I difensori della legalizzazione della prostituzione non si possono limitare a difendere la scelta personale, perché con lo stesso criterio si potrebbe giustificare qualunque comportamento, qualunque azione, dal momento che c'è chi per "scelta personale" si arruola nella mafia, fa il sicario, o più banalmente accetta di lavorare tutto il giorno in uno scantinato a confezionare borse in nero. Si dirà che chi si arruola nella mafia viola la legge, ed è vero, e infatti è giusto proibire le azioni criminali e l'arruolamento nella mafia, mentre la prostituzione, nella misura in cui è libera, non va proibita. Ma da qui a legalizzarla ce ne corre.

Ma ecco alcuni argomenti addotti per sostenere la legalizzazione della prostituzione, con il mio relativo commento.

- La prostituzione è il mestiere più antico del mondo. E' inutile cercare di eliminarla, non ci si è mai riusciti.

Benissimo. Allora con lo stesso ragionamento si potrebbe dire: "è inutile cercare di eliminare la guerra, non ci si è mai riusciti". E' evidente che questo è un argomento che ha senso solo se la cosa di cui si parla viene considerata "buona in sé", o quantomeno non "cattiva in sé". Ma allora si abbia il coraggio di dirlo apertamente, e si dica non che è inutile, ma che è sbagliato.

- Se c'è richiesta e c'è mercato, allora è legittimo.

Anche qui siamo di fronte ad un modo indiretto per cercare di dare piena legittimità a qualcosa, utilizzando uno strumento, in questo caso il mercato, che c'entra poco. Infatti, con lo stesso ragionamento, si potrebbe difendere la vendita degli organi. Se c'è qualcuno disposto a venderli e qualcuno disposto a comprarli, che male c'è? E che dire allora della vendita dei bambini? Che male c'è se una coppia vuole vendere il proprio bambino, magari ad un'altra coppia che lo desidera ed è disposto a crescerlo con tanto amore? Come si vede, la legge non riconosce i casi in cui si fa qualcosa che viola la dignità della persona, e nega che il mercato possa riguardare tutti gli ambiti dell'esistenza.

- Non vi sono motivi per non legalizzare la prostituzione, dal momento che vi sono già mestieri legali in cui è palese lo sfruttamento del lavoratore, o comunque in cui le condizioni sono disagiate.

Questa è una posizione curiosa. Normalmente si dovrebbe cercare di rendere la società migliore e non peggiore. Legalizzare un fatto negativo solo perché ne esistono altri negativi, non mi sembra un'idea geniale. Forse sarebbe meglio cercare di migliorare la condizione di quei lavoratori che si considerano in qualche modo sfruttati? Io direi di sì.

- Anche altri mestieri provocano disgusto, come quello dell'infermiere.

Intanto nessuno è costretto a fare l'infermiere. Poi, chi lo fa, si presuppone (si spera) che vi trovi anche degli elementi positivi. Anzi questo è uno dei mestieri in cui vi è chi lo fa per vocazione, e anche gratis (volontariato). E' curioso (anzi è illuminante) che comunque, per difendere la prostituzione, invece di portare elementi positivi a suo favore, si cerchi di degradare gli altri mestieri.

- Meglio fare la prostituta per scelta personale e non essere schiavizzata da nessuno, che fare l'impiegata o la segretaria con un capo poco rispettoso, maleducato, incivile, sfruttatore.

Qui siamo sempre nel filone del "meno peggio". Quindi, invece di cercare di migliorare la società, accettiamo una cosa negativa, perché ve ne sono anche altre. Peccato che esistono le leggi contro il mobbing. A me se un'amica raccontasse di subire molestie di qualche tipo o pressioni psicologiche sul lavoro, io le consiglierei di cambiare lavoro, non di accettare in silenzio, perché in India ci sono gli schiavi o in Pakistan lavorano i bambini di otto anni.

- La prostituzione è una scelta personale. Nessuno può arrogarsi il diritto di giudicare se le condizioni di lavoro siano degne.

E' curioso come per difendere la prostituzione si sostenga il contrario di quello che normalmente si fa in altri ambiti. La maggior parte delle persone riconosce come positive le leggi sull'orario di lavoro, sul salario minimo, contro il mobbing ecc. E adesso si scopre che nessuno può dire nulla sul lavoro perché è una scelta personale. Benissimo, allora torniamo all'800, e sosteniamo (con i liberisti più estremi) che il lavoro è un libero contratto alla pari tra datore di lavoro e lavoratore, in cui lo Stato non deve interferire. Sostenetelo pure, ma dopo non venite a lamentarvi per le condizioni di lavoro in Cina o in Vietnam. Se si accetta che esista un criterio oggettivo per valutare il rispetto della dignità del lavoratore, questo deve valere sempre. Io considero legittima una posizione diversa dalla mia, purché sia coerente.

- La legalizzazione della prostituzione porterebbe molti soldi nelle casse dello Stato.

Se è per questo, lo farebbe anche la legalizzazione della mafia. Veramente pensiamo che lo Stato si debba vendere per un piatto di lenticchie? No, non ci siamo. Ribadisco che chi chiede di legalizzare la prostituzione, dovrebbe sostenere che sia in sé un mestiere bello, o gradevole, quantomeno per chi decide di praticarlo. Poi può anche aggiungere che chi lo pratica dovrebbe pagare le tasse.

- I politici sono ipocriti perché sono i primi ad andare con le prostitute.

Se questo è un argomento, allora legalizziamo pure l'evasione fiscale, la corruzione ecc. Siamo sempre alle solite: vogliamo che la società migliori o ci limitiamo a riconoscere l'esistente? Basta dirlo, ma dopo non voglio sentire critiche nei confronti degli italiani furbi che non pagano le tasse o dei politici che rubano. Se va tutto bene così, va tutto bene sempre.

- La prostituzione non fa del male a nessuno.

Questo, lo ribadisco, è un motivo per non proibire, non per legalizzare una cosa, che significa accettarla pienamente. Tra l'altro, a mio avviso invece la prostituzione fa del male a qualcuno, perché all'atto pratico la prostituzione sarebbe (è) per la maggior parte delle prostitute, una "scelta" che avviene in condizioni di degrado morale e/o economico. E' vero che non si possono proibire le scelte personali, e che ciascuno è giudice in causa propria, ma bisogna anche fare in modo che le condizioni della scelta siano le migliori possibili: più consapevolezza, e più opzioni disponibili. Quello a cui bisogna puntare è una società in cui sia assicurato a tutti il mantenimento della dignità personale. D'altro canto la stessa Costituzione italiana riconosce l'esistenza del concetto di dignità, e il suo legame con il lavoro:
Art. 41. L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

- Molti si prostituiscono per pagarsi gli studi o per arrotondare, per arrivare a fine mese, pagare il mutuo ecc., e vivono bene lo stesso.

Questa non mi sembra una prova che sia una scelta piacevole, anzi. Semmai è la prova che spesso lo si fa per necessità. In ogni caso la prostituzione saltuaria, come scelta da parte di chi in qualche modo ha una vita tutto sommato agiata (si pensi allo studente che poi diventerà un avvocato), non può essere paragonata alla prostituzione come mestiere full time. Ad esempio in questo caso ci si potrebbe permettere di selezionare i clienti.

- C'è chi fa film pornografici, foto erotiche, spettacoli erotici ecc., con piena soddifazione.

Qui però si sta cambiando argomento, si sta traslando lo scenario. Non è detto che rispondere ad un telefono erotico o esibirsi in una webcam siano la stessa cosa del prostituirsi in un bordello. In ogni argomento ci sono eccezioni, casi limite, casi diversi, che non possono essere usati per fare confusione.

In sintesi, per sostenere la legalizzazione della prostituzione, bisogna sostenere che essa non è un male in sé, che anzi può essere un bene, un'attività dai risvolti sociali positivi, e che né in teoria né in pratica andrebbe contro la dignità della persona. A me pare che non ci siano le condizioni per sostenere una tesi del genere.