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giovedì 16 febbraio 2012
Norma Rangeri e l'Articolo 18
Il fatto che l'Italia sia un Paese fortemente ideologizzato lo si deve constatare tutti i giorni, e il dibattito sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non fa eccezione. Invece di cercare di risolvere i problemi, la politica punta i piedi e fa battaglie di principio su questioni secondarie, che non influiscono sulla vita reale dei cittadini se non in minima parte, ma avendo un certo potere simbolico, possono mobilitare l'attenzione dell'opinione pubblica, dividendola in schieramenti pro o contro. La moltiplicazione delle questioni di principio (come ad esempio la Tav, i ministeri a Monza o l'acqua pubblica) mostra il carattere demagogico della politica italiana.
Non fa eccezione l'articolo 18, difeso a spada tratta dai sindacati (che vanno in brodo di giuggiole quando vengono consultati e possono sedere al tavolo, mentre minacciano scioperi generali quando questo non accade), ma anche dalla cosiddetta sinistra "radicale", o per meglio dire, comunista, come se tutto il problema del lavoro, dei diritti dei lavoratori, della disoccupazione ecc., ruotasse intorno ad esso. In realtà si tratta soltanto di una bandiera, di un luogo dove puntare i piedi sperando di ottenere riconoscimento e consensi senza pensare veramente a risolvere i problemi reali, che sono ben più complessi.
Prendiamo ad esempio il dibattito tra Pietro Ichino e Norma Rangeri nella puntata di "Otto e mezzo" del 21 dicembre 2011.
Pietro Ichino, giuslavorista e parlamentare del Pd, da anni studia il modo di combattere il dualismo tra il lavoro ipertutelato di chi ha un vecchio contratto a tempo indeterminato, e l'estrema precarietà e lo sfruttamento a cui sono sottoposti coloro i quali hanno un contratto atipico e a tempo determinato.
Ichino provava a spiegare le ragioni della sua proposta che vorrebbe inserire anche in Italia il modello della "Flexicurity" di tipo scandinavo. Interessante la replica della direttrice del Manifesto Norma Rangeri:
"Io sono terrorizzata da questi modelli perfetti in cui il lavoratore vive in un paradiso perché passa da un lavoro all'altro senza perdere se non il 10% dello stipendio e nel frattempo viene professionalizzato, quindi può passare a lavori più interessanti, quando invece c'è una situazione in cui il lavoro è sempre diventato, soprattutto in Italia, un meccanismo dell'ingranaggio produttivo, senza più personalità né diritti".
Qui si vede come, con un lapsus freudiano, Norma Rangeri ammetta di essere terrorizzata da uno stato in cui le cose funzionano, e voglia lasciare tutto com'è.
Aggiunge la Rangeri: "Se noi fossimo in una situazione in cui la Danimarca, il modello danese, potesse essere importata in Italia saremmo i più felici, ma la Danimarca, ha sei milioni di abitanti, e ha il 75% di livello occupazionale, e spende tre volte tanto di stato sociale". Al che Ichino ha fatto notare che "La Danimarca è un Paese all'incirca delle stelle dimensioni del Piemonte dell'Emilia. La Svezia ha esattamente gli stessi abitanti della Lombardia e lo stesso reddito pro-capite. Si da il caso che le nostre Regioni dal 2001 hanno la competenza legislativa ed amministrativa integrale in materia di servizi e del mercato del lavoro. Mi si deve spiegare perché la stessa cosa che si può fare in Svezia o in Danimarca non si può fare in Lombardia o in Veneto".
Al che ha replicato la Rangeri: "Il nostro Paese è Italia, non è Lombardia o Piemonte, è un Paese che purtroppo ha una situazione generale che non è riassumibile con quella delle regioni più industrializzate. Bisogna fare i conti con tutto il Paese".
Ichino: "Sì ma una delle versioni della mia proposta è: cominciamo sperimentalmente laddove si può provare nelle condizioni migliori, ma voi avete sparato a zero anche contro l'ipotesi della sperimentazione".
E' interessante che, pur di non migliorare la condizione dei lavoratori, Norma Rangeri ricorra all'argomento "non ci sono i soldi", in genere utilizzato da chi sta dall'altra parte rispetto alle sue idee. Ma come, proprio quella parte politica che ha sempre considerato la questione della spesa come secondaria, anzi mostrando una certa simpatia per la crescita smisurata del debito pubblico, visto come baluardo contro il "privato" e il "capitalismo" (secondo la semplicistica equazione più stato = meno mercato), quando si parla dei diritti dei lavoratori, si preoccupa perché "non ci sono i soldi"? E l'argomento, usato in altre circostanze e tutto sommato corretto, che dal recupero dell'enorme evasione fiscale che c'è in Italia si potrebbero recuperare le risorse per accrescere lo stato sociale, che fine ha fatto? Per non parlare dell'altro argomento caro alla sinistra radicale, la famosa patrimoniale, che quando deve far piangere i ricchi viene evocata volentieri, ma quando potrebbe servire per migliorare la vita reale della gente reale, viene opportunamente messo nel cassetto?
Purtroppo si ha l'impressione che l'estrema sinistra ancora una volta preferisca che le cose vadano male, magari per lucrare facili consensi, da parte di chi preferisce contestare il sistema nel suo complesso invece di riformarlo.
Ora, visto che il Manifesto è in crisi, e a quanto pare non vende abbastanza per potersi mantenere solo con gli introiti dati dai lettori e dalla pubblicità, e la redazione si lamenta per la mancanza di denaro pubblico, si potrebbe replicare a Norma Rangeri, usando il suo stesso argomento: "Io sono terrorizzato da questi modelli perfetti in cui viene assicurato il pluralismo dell'informazione. Ma purtroppo siamo in Italia e non ci sono i soldi".
Link: il video della puntata: http://www.youtube.com/watch?v=6gRGqia1RPM
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